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Troppi misteri sul Francesco Padre 10 ANNI 100 COPERTINE
15 febbraio 2004

Lo “scandalo informazione” sulla tragedia del “Francesco padre”, il motopesca molfettese misteriosamente esploso, al largo delle coste montenegrine, nella notte fra il 3 e il 4 novembre dello scorso anno. “Quando abbiamo appreso dai mezzi di comunicazione che il m/p Francesco Padre trasportava armi ed esplosivi, abbiamo avuto una reazione di sdegno e personalmente sono insorto anche violentemente contro un giornalista della Rai. Conosciamo le famiglie delle vittime e la loro dignità, quella notizia non poteva che sconvolgerci, dice l'avv. Antonio Pansini, legale dei familiari dei marittimi. I periti che hanno esaminato i circa 40 reperti dell'imbarcazione sono giunti alla conclusione che “esistono chiare tracce di una dinamica di esplosione che ha agito dall'interno della nave verso l'esterno - dice la relazione del prof. Giulio Russo Krauss -, che si può escludere in modo assoluto che sul materiale repertato vi siano tracce di materiale metallico e che la causa del sinistro è stata un'esplosione dovuta ad una quantità di esplosivo notevole di rilevante potenza e di tipo detonante. Secondo Alessandro Massari e Giulio Vadalà, periti chimici della polizia scientifica “sono state individuate ed identificate tracce di tre esplosivi tipici di miscele per uso civile e due (tritolo e pentrite) che si trovano in composizioni per uso civile e militare”. Questi gli esiti della perizia, poi il resto lo ha fatto soprattutto la televisione scatenando un autentico vespaio e mettendo, come se ce ne fosse bisogno, in angoscia i parenti delle vittime e in subbuglio tutta la marineria molfettese. La seconda flotta peschereccia dell'Adriatico accusata di traffico e contrabbando di armi ed esplosivi con il dirimpettaio Montenegro. I marinai molfettesi rifiutano l'accusa e chiedono che venga fatta luce sugli eventi, gridano ad alta voce: “Questa è un'Ustica molfettese”. Anche il sindaco Minervini ha subito rifiutato qualsiasi tipo di accusa, sulla base di un'attenta lettura della perizia e sulla personale stima che nutre nei confronti delle famiglie delle vittime: “Le famiglie di trafficanti di armi notoriamente se la passano bene, quelle dei nostri concittadini, invece, vivono in condizioni economiche quasi drammatiche. Come sindaco della città non ho potuto far altro che riscontrare l'assenza di qualsiasi traccia di questo genere di commercio all'interno della nostra città”. Pansini ritiene che le indagini finora eseguite dalla Procura (l'autopsia sul corpo di Mario De Nicolo l'unico recuperato e le analisi dei periti non erano le uniche da poter effettuare. “La prima operazione da eseguire secondo Pansini doveva essere la ricognizione dello scafo, mediante riprese filmate da una telecamera subacquea. Se il Pubblico Ministero, dott.ssa Pugliese non lo riterrà opportuno provvederemo noi, con l'aiuto del Comune e di un'imbarcazione messa a disposizione dalla marineria molfettese, entro il mese di maggio, ad acquisire queste importantissime ed indispensabili informazioni, potendo contare già sulla disponibilità di una ditta specializzata di Massa Carrara”. Sono, inoltre, di notevole importanza e da non trascurare le tesi dell'ing. Mele delle “Generali” (la compagnia che assicurava il natante), il quale non ritiene assolutamente possibile un trasporto di armi e munizioni e contesta anche la tesi del prof. Krauss circa la notevole quantità di esplosivo. Se così fosse stato, ha affermato l'ing. Mele, l'imbarcazione si sarebbe frantumata e si sarebbero trovati reperti di ogni sua parte. Invece gli unici reperti ritrovati si riferiscono alla poppa sinistra. Anche rispetto alla tesi di un'esplosione dall'interno verso l'esterno dell'imbarcazione, l'ing. Mele ha qualche dubbio perché nell'ipotesi di un missile di basso potenziale, questo avrebbe potuto prima penetrare e poi esplodere. È da escludere un eventuale trasporto di armi (bombe a mano, fucili, mitra), poiché nella deflagrazione schegge di esse si sarebbero conficcate nel fasciame laterale; la perizia invece esclude, come detto, la presenza di materiale metallico sui reperti. Ci sono dunque molti punti oscuri nella vicenda ed anche alcuni gialli. Li ha evidenziati l'avv. Pansini: “Perché il corpo del De Nicolo è stato ripescato con gli abiti e poi è arrivato a Molfetta senza di essi? Dove sono? Chi li ha presi? Perché non sono stati esaminati i resti del cane? Tutte cose che ci lasciano perplessi. Se fossimo anche noi degli sciacalli potremmo dire che siamo di fronte ad un secondo caso Ustica, che ci sono depistaggi”. Non mancano altri interrogativi: perché la “Fenice”, la corvetta, è intervenuta dopo i nostri pescherecci che hanno raccolto tutti i reperti e li hanno consegnati al comandante della nave militare? Al di là di tutto questo ciò che importa è l'accertamento della verità. Forse è giunto il momento di accogliere l'invito del PM dott.ssa Pugliese: “Chi sa, parli”. Ed ecco che l'associazione di pescatori “Pegaso” si è impegnata a fornire al magistrato un elenco di nominativi di marittimi che potrebbero dare un notevole impulso all'accertamento della verità. Dice Pasquale Valentini, responsabile dell'associazione molfettese: “Hanno attaccato la dignità delle famiglie e quella di tutta la marineria molfettese”. La compagnia di assicurazione potrebbe non pagare nulla perché la polizza copriva i rischi solo nelle acque territoriali, mentre la tragedia è avvenuta a circa 18 miglia dalle coste montenegrine. È vero che esiste, inoltre, un contributo di cinquanta milioni già stanziato dalla Federpesca ma non ancora consegnato? L'associazione Armatori da pesca ha elaborato le pratiche per le pensioni, ma la mancanza dei documenti di bordo sta creando non pochi problemi. L'INPS sta cercando di attivare una pensione provvisoria, mentre la Cassa marittima aspetterà l'esito dell'inchiesta prima di attivarsi. C'è da dire, comunque, che gli eventi degli ultimi giorni hanno frenato il procedere di ogni pratica. Intanto l'Associazione Pegaso propone l'istituzione di una fondazione per la raccolta di contributi e ha deciso di costituirsi parte civile. Indispensabile sarà il contributo dei parlamentari progressisti Nichi Vendola, Rosa Lopedote e Pietro Leonida Laforgia, quest'ultimo legale del Comune, che hanno assunto impegni a livello istituzionale. Paradossalmente sono stati stanziati dal governo 5 miliardi per la dislocazione dell'esercito in Puglia, al fine di arginare il fenomeno dello sbarco di profughi, soprattutto albanesi. “Sarebbe stato certamente più auspicabile che questi quattrini fossero stati destinati a stipulare accordi protocollari tra Albania e Italia per la promozione e lo sviluppo dei rapporti commerciali tra questi due paesi dell'Adriatico, dice il sindaco Minervini. So di scommettere con la verità. Per quest'estate organizzeremo certamente iniziative per rilanciare il nostro prodotto ittico, perché siamo fieri di quello che il Francesco padre, insieme con tutti gli altri pescherecci, rappresentava per Molfetta. Era la testimonianza di un'impresa pulita, onesta e sana". Lazzaro Gadaleta 26.5.1995 Corsivi Iprite, anisakis, colera ed ora anche bombe e armi La pesca non trova proprio pace. Qualche giorno fa i pescherecci molfettesi sono andati al largo e hanno lanciato il loro grido di dolore, suonando a lungo le sirene. La città è stata svegliata da questo lamento proveniente dal mare: pianto e rabbia insieme. Poi i motori si sono fermati. La protesta del silenzio contro troppe voci senza verità. I pescatori dicono basta alle promesse mai mantenute di garantire loro sicurezza, alle indagini sui tanti misteri del mare rimasti senza risposta. E basta soprattutto alla diffusione di notizie gonfiate per improbabili scoop o notizie mal interpretate per l'informazione-spettacolo. A pagare, alla fine, sono solo loro, per i contraccolpi su un'attività già con grossi problemi, anche economici. I marinai di Molfetta non accettano che i risultati della perizia legale sul “Francesco Padre", che fanno riferimento a un'esplosione dall'interno all'esterno dell'imbarcazione, vengano interpretati come presenza a bordo di armi ed esplosivi e quindi avvallino la teoria di un traffico di armi. Ma la loro non è solo una protesta contro “notizie infondate ", ma contro i troppo misteri dell'Adriatico: dall'improvviso mitragliamento del “Modesto senior” vicino Brindisi da parte di un aereo Nato, all'esplosione del “Francesco padre” nei pressi delle coste montenegrine. Di pesca si può anche morire. Lo sanno bene questi uomini abituati a sfidare il mare ogni giorno. Ma oggi si muore anche di guerra nelle nostre acque. L'Adriatico non è più un mare di pace. La guerra interetnica nell'ex Jugoslavia, la mafia montenegrina che ricatta i nostri pescatori, il racket albanese, il contrabbando di pesce, ma anche di droga e armi, hanno reso questo mare pieno di insidie e ricco di misteri. E questa parola nel nostro Paese evoca trame, ricorda stragi ancora senza responsabili, intrighi interni e internazionali, la mai scomparsa P2 e colpevoli silenzi, come il caso di Ustica. “Il mare non è mai stato amico dell'uomo. Tutt'al più è stato amico della sua irrequietezza", scriveva Conrad. E il pescatore oggi è più irrequieto del solito: ha paura non del suo amico-nemico mare, non delle insidie della natura, ma di quelle dell'uomo, certamente ben più devastanti. Felice de Sanctis
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