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<Settembre 1943 - Diario di viaggio in una Patria perduta e ritrovata RECENSIONI
15 giugno 2001

di Lorenzo Palumbo Sottolineava Mario Pirani, commentando su “la Repubblica” del 28 febbraio scorso il discorso tenuto a Cefalonia dal presidente Ciampi, l’esigenza di un ripensamento sulla Resistenza non più celebrativo o ripetitivo di una stanca vulgata, ma improntato a una consapevole riflessione. A questa esigenza sembra rispondere pienamente la pubblicazione del diario di una sua drammatica esperienza, nei giorni immediatamente successivi l’armistizio dell’8 settembre, che Giovanni de Gennaro, a distanza di cinquant’anni, si è deciso a pubblicare, lasciando praticamente intatto il testo, nella sua freschezza e immediatezza, come fu steso alla fine del settembre 1943, ma facendolo precedere da una nota introduttiva sulla Resistenza del Sud (Settembre 1943 - Diario di viaggio in una Patria perduta e ritrovata, Disegni di Michele Paloscia, Nota introduttiva sulla resistenza del Sud, Postfazione, Edizioni Mezzina, Molfetta 2001, pp. 114). Che non è, bisogna dire, una nota di circostanza, stilata in occasione della stampa di questo suo diario giovanile, impeccabilmente realizzata dalle maestranze della tipografia di Angelo Alfonso Mezzina. Al contrario quello di Giovanni de Gennaro è un discorso maturato da assai lungo tempo, con interventi tenuti in varie circostanze e in diversi luoghi, a cominciare dagli scritti su “Risorgimento e Mezzogiorno”, la rivista che egli dirige. Di questo discorso assai meditato, più che un riassunto è forse opportuno citare la conclusione: ”Se muore una certa concezione della Patria, retorica, autoritaria e in divisa, espressione minoritaria e prevalente di fasce sociali e culturali, diversamente distribuite nel territorio nazionale e condizionate da esperienze storiche diverse, nasce e si manifesta nella società civile un sentimento popolare di solidarietà, di nuova Patria. E prima che assumesse, nel Nord, aspetti di scontro ideologico e di guerra civile” (p. 28). Di quella solidarietà l’autore di questo diario ebbe diretta esperienza nelle due settimane che, dopo l’armistizio dell’8 settembre, dovette impiegare per raggiungere Molfetta lasciando Roma, dove con Beniamino Finocchiaro aveva frequentato i corsi dell’Università e il campo allievi di Manziana. Chi scrive ricorda nitidamente il triste fenomeno dei soldati sbandati dopo l’8 settembre. A Molfetta, essi si aggiravano nei pressi della stazione nella vana attesa di un treno che li riportasse alle loro case. Alcuni erano ancora in divisa, altri indossavano abiti borghesi, ottenuti in cambio della divisa, nell’illusoria speranza di potere passare inosservati. Poiché le comunicazioni erano da vari giorni interrotte, la gente forniva loro tutte le informazioni necessarie perchè a piedi potessero raggiungere i loro paesi: Bitonto, Modugno, Mola, Monopoli, Conversano, Acquaviva, Gioia del Colle. E questa solidarietà, sia concesso anche quest’altro ricordo, permise a due miei amici, poco più grandi di me, di rientrare in famiglia dopo avere addirittura attraversato le linee: Cosmo Petronelli e Domenico Rotondella, più tardi professori e miei colleghi, l’uno di matematica, l’altro di italiano e storia, nell’Istituto Magistrale di Molfetta. Questo diario di un viaggio in una Patria perduta e ritrovata si snoda in una prosa essenziale, che non indulge mai alla frase ad effetto, che non indugia mai sul dettaglio non indispensabile, ma procede rapidamente, di capitolo in capitolo, alla conclusione che è sì, a casa, nella “festa fra le lacrime”, ma è anche la maturata consapevolezza di un nuovo senso del dovere e il balenare di una nuova speranza, quella che gli era stata testimoniata dalla gente che aveva incontrato nell’avventuroso viaggio di ritorno. Per esempio a San Giorgio del Sannio, dove un contadino impietosito invita a montare sul suo carro o quegli altri ancora che offrono un piatto di spaghetti fumanti “con una letizia amorevole e festosa che sembra la felice agnizione di fratelli perduti e ritrovati” (p. 62). Il diario di Giovanni de Gennaro è stato illustrato da Michele Paloscia i cui diciassette disegni, per merito anche di Angelo Alfonso Mezzina, che ne ha curato personalmente la riproduzione, sembrano altrettante acqueforti nitide e plastiche. Fra questi disegni, eseguiti con l’abituale perizia e accuratezza che caratterizzano da sempre l’impegno artistico di Michele Paloscia, qualcuno si impone perchè assurge a simbolo di condizioni umane o traduce impressioni che segnano la vita di un uomo: il soldato sbandato o la strada principale di Rocchetta Sant’Antonio, la bicicletta di Feluccio Ruta, con la quale Giovanni de Gennaro abbreviò la strada per raggiungere da Ruvo Molfetta e, per ultimo, i libri ritrovati in casa: “una storia parallela, letta diversamente”, come opportunamente è stato scritto nel volume in recensione, una storia ripercorsa con una intensa e passionale partecipazione del pittore alle vicende narrate dal protagonista. Fra le pubblicazioni di memorialistica, assai frequenti negli ultimi anni, questa di Giovanni de Gennaro si distingue particolarmente, come quella che non indulge affatto al mero piacere del ricordo, ma innesta quei ricordi in una più ampia vicenda, che ben può dirsi esemplare: il tracollo dell’estate del 1943 e la ricostruzione che, prima di essere stata materiale, è stata soprattutto di carattere morale. Ma soprattutto va detto che l’Autore, tanto per ritornare al Pirani citato all’inizio, superando la versione ripetitiva di una stanca vulgata, che la identifica solo nelle “vicende epiche” della lotta armata partigiana, propone una valutazione globale della Resistenza, nel Sud come nel Nord, ma che nel Sud si manifesta immediatamente, a cominciare dal 25 luglio per continuare, con episodi di grande significato politico e militare, nella successiva fase caratterizzata dall’avanzata delle truppe alleate e dalla ritirata delle truppe tedesche. E fu una Resistenza che coinvolse un po’ tutti, militari, civili e intellettuali, che proprio in quei giorni drammatici ritrovarono una loro identità e maturarono dolorosamente una nuova coscienza.
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