Domenica 4 dicembre gli italiani saranno chiamati al voto con il referendum sulla riforma costituzionale. Si tratta di un appuntamento importante da non sottovalutare. Per non farsi condizionare dalla propaganda e dalla confusione in atto, abbiamo approntato brevi note esplicative per gli elettori. 1. I costi della politica. Quanto si risparmia? In quale articolo della Costituzione si parla di costi della politica? Solo in uno: art. 69 «I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge». Non si dice quanto: 1 euro, 1000 euro o 10.000 euro. Basta, solo questo. Era necessario riformare la Costituzione per eliminare tutti i benefit o ridurre le indennità di tutti i parlamentari? No, assolutamente. Era sufficiente una legge ordinaria. Poi ci sono altre due norme nuove di zecca inserite dalla cosiddetta riforma. L’aggiunta fatta all’art. 122 della Costituzione che recitava «Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi.» A questo punto viene aggiunto: «e i relativi emolumenti nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione». E poi il comma 2 dell’art. 40 (Disposizioni finali): «2. Non possono essere corrisposti rimborsi o analoghi trasferimenti monetari recanti oneri a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli regionali.» Era necessario riformare la Costituzione per introdurre queste norme? Assolutamente no. Si poteva fare tranquillamente e molto prima con legge ordinaria, così come con legge ordinaria si potevano decurtare le indennità e i benefit di tutti i parlamentari. A me sembrano proprio delle norme “acchiappagonzi”, messe lì proprio per fare l’occhiolino all’antipolitica e racimolare un po’ di voti dei più ingenui che credono alla favoletta del “togliamo i soldi ai politici”. Ma a quanto ammonterebbero i presunti risparmi ottenuti dalla riforma? A oltre 500 milioni, secondo Renzi e la Boschi. Falso! Mentono sapendo di mentire. La verità è che nell’ottobre 2014 la Ragioneria Generale dello Stato, con nota 28 ottobre 2014 prot. n. 83572, fa davvero la stima delle minori uscite che deriverebbero dalla riforma: 40 milioni circa dalla soppressione della diaria per i Senatori 9 milioni circa dalla riduzione del numero dei Senatori 8,7 milioni dalla soppressione del CNEL In totale 57,7 milioni di euro. Ma la boutade dei risparmi in riforma è troppo ghiotta per l’effetto che fa e quindi, sparando la balla dei 500 milioni di euro, diventa comunque uno dei cavalli di battaglia della campagna #bastaunsi. 2. La leggenda della navetta e la scusa della stabilità dei governi e della necessità di essere veloci. Se andiamo a leggere i dati ufficiali del Servizio studi del Senato apprendiamo che nella scorsa legislatura, dal 2008 al 2013, il Parlamento ha approvato complessivamente 391 leggi, cioè in media 78 normative all’anno, cioè una legge ogni 5 giorni. Di queste 391 leggi, 301 sono state approvate in doppia lettura senza cambiamenti. In cinque anni soltanto 90 leggi hanno subito modifiche nell’iter legislativo: di queste ben 75 hanno richiesto soltanto la terza lettura. In questi 75 casi è logico ipotizzare che il cambiamento della norma sia stata opportuno, visto che poi è stato confermato da chi in origine aveva predisposto il disegno di legge. Sono soltanto 12 i casi di normative che hanno richiesto quattro letture, cioè una doppia modifica e soltanto 3 quelli con più di quattro letture. Insomma, se togliamo i casi di correzioni di errori e di modifiche migliorative (per i quali la navetta è probabilmente stata utile e opportuna), le leggi che in cinque anni hanno visto una divergenza di opinioni tra Camera e Senato sono davvero minime. In questa legislatura la situazione non è diversa: delle 224 leggi approvate al 30 giugno 2016, ben 180 hanno avuto una sola lettura in entrambe le Camere, 39 hanno necessitato di tre passaggi e solo 4 sono state esaminate due volte da entrambe le Camere, mentre quella sull’omicidio stradale ha avuto bisogno di 5 passaggi. Si tenga conto comunque che la Camera non sta ferma mentre il Senato ridiscute una legge. Anche la velocità di approvazione di una legge non ha nulla a che fare con la Costituzione e con il bicameralismo paritario. Dipende dai regolamenti parlamentari, dai tempi di lavoro dei parlamentari ma soprattutto da motivazioni politiche e da contrasti all’interno della maggioranza. Esattamente quello che ha provocato la presunta instabilità dei governi nei 60 anni di vita della nostra Costituzione. La Costituzione non ha nessuna colpa per la frequente caduta di governi per larga parte sempre a guida democristiana, così come adesso i problemi di rallentamento e discussione sono tutti interni al PD o al massimo ai contrasti interni alla maggioranza. Il vero problema sta nella velocità di approvazione dei decreti o disegni di legge di fonte governativa da parte del Parlamento. Anche in questo caso i dati (fonte: “Il Governo in Parlamento XVI legislatura”) smentiscono chi sostiene che il Parlamento di fatto costituisca un intralcio all’attività del Governo. Nella scorsa legislatura il Parlamento ha approvato oltre 300 normative di iniziativa governativa, a fronte dell’approvazione di 85 proposte di legge di iniziativa parlamentare, corrispondenti al 22% della legislazione. È evidente che il vero problema è lo scarso peso del Parlamento nell’elaborazione delle leggi, materia di evidente competenza prioritaria del potere legislativo (e non di quello esecutivo, cioè del Governo). Quanto alla velocità lasciatemi dire che visti certi risultati, a cominciare dai pa-sticci presenti proprio nella riforma elettorale e dall’Italicum, che ora Renzi dice di voler cambiare, solo pochi mesi dopo l’approvazione e prima della sua entrata in vigore, delle improvvise accelerate ne farei volentieri a meno e preferirei di gran lunga maggiore ponderazione. Faccio solo 3 esempi: 1. La demenziale introduzione dell’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione di cui tutte le forze politiche sono tanto responsabili quanto pentite; 2. La riforma delle pensioni Fornero che tra gli altri danni ha lasciato in mezzo alla strada migliaia di lavoratori cosiddetti esodati proprio per insipienza legislativa; 3. Il Job Act che lungi dal risolvere il gravissimo problema della disoccupazione soprattutto giovanile ha contribuito a un notevole aggravamento della precarietà. A parte la velocità, abbiamo in Italia una produzione legislativa insufficiente in confronto agli altri paesi europei? Assolutamente no. La produzione legislativa italiana, nell’ambito dei grandi Paesi europei, risulta comparabile soltanto con quella tedesca, ed è di gran lunga superiore a Francia, Regno Unito e Spagna:. Negli ultimi 10 anni la media di produzione legislativa in Italia è stata di 152,9, in Germania 146,1, in Francia 69,6, nel Regno Unito 47,2 e in Spagna 49,9. Non abbiamo bisogno di più leggi, meno che mai fatte in fretta, ma di leggi migliori. 3. Rivedere la Costituzione è indispensabile per attrarre investimenti dall’estero? Se vince il no sarà un disastro? Questo il ritornello che ci sentiamo ripetere tutti i giorni da Renzi e da rappresentanti del governo e della maggioranza con i toni di una vera e propria campagna terroristica. Ma non è la stessa cosa che ci è stata ripetuta in maniera martellante per imporre l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori? Da allora, ovvero nell’ultimo biennio, la localizzazione di investimenti in Italia è stata sostanzialmente nulla. La stessa cosa si è ripetuta con il Job Act; ci hanno detto: le imprese non investono in Italia perché abbiamo un mercato del lavoro troppo rigido. Risultato identico. Ora ci vengono a dire che le imprese non investono in Italia perché i tempi di decisione della Politica sono troppo lenti. Balle. A parte il fatto che la finanziarizzazione estrema dell’economia a livello planetario permette di spostare in pochi secondi somme ingentissime, spesso frutto di capitali illeciti, in grado di mettere in crisi grandi aziende e persino interi Stati e nessuna riforma può far diventare competitivo su questo piano nessun governo, il vero obiettivo è proprio la democrazia, vista come un lusso che non ci possiamo più permettere. La partecipazione popolare è incompatibile con le politiche di austerity e di deprivazione dei diritti. Se si vogliono attrarre capitali dall’estero, che non chiedano solo bassi salari, precarietà e assenza di diritti, bisogna affrontare le vere piaghe del nostro paese che tengono lontani gli investitori esteri. Secondo il CENSIS l’Italia ha un deficit reputazionale accumulato negli anni a causa di corruzione diffusa, scandali politici, pervasività della criminalità organizzata, lentezza della giustizia civile, farraginosità di leggi e regolamenti, inefficienza della pubblica amministrazione, infrastrutture carenti. 1. La giustizia civile e la burocrazia: costi elevati e tempi lunghissimi; come conferma l’ISTAT, in Italia il processo civile si svolge in un ampio arco temporale: il 17,2% dei rispondenti dichiara che la controversia si è conclusa nei cinque anni successivi all’anno di inizio, il 40,0% in un periodo compreso tra 2 e 5 anni, il 19,1% nell’anno successivo all’avvio e il 23,8% nello stesso anno dell’avvio. Il 52% degli italiani non è soddisfatto. Negli ultimi tre anni un milione e mezzo di persone hanno rinunciato ad avviare una causa civile per il timore di costi troppo elevati rispetto al vantaggio conseguibile e soprattutto per l’incertezza dei tempi del processo. Secondo il CENSIS diminuisce sempre più in Italia la capacità di attrarre capitali stranieri, perché occupiamo il 65° posto nel mondo per procedure, tempi e costi necessari per avviare un’impresa, ottenere permessi di costruzione, risolvere una controversia giudiziaria. «Per ottenere tutti i permessi, le licenze e le concessioni di costruzione, in Italia occorrono mediamente 233 giorni, 97 in Germania. Per allacciarsi alla rete elettrica servono 124 giorni in Italia, 17 in Germania. Per risolvere una disputa relativa a un contratto commerciale il sistema giudiziario italiano impiega in media 1.185 giorni, quello tedesco 394». Altro che riforma della Costituzione. 2. La corruzione disincentiva l’investimento diretto estero, in quanto il potenziale investitore, già eventualmente scoraggiato dal timore di dover affrontare un impianto regolatorio eccessivamente complesso, teme al contempo di dovervi fare fronte ricorrendo alla corruzione dell’ufficiale pubblico (ma anche privato). Inoltre, la capacità di controllo della corruzione, il livello del crimine organizzato e la percezione della corruzione (stimato dalla classifica di Transparency International, che vede l’Italia al 69° posto su 182) mostrano allarmanti ritardi nei confronti dei concorrenti. Una vera emergenza. E la Costituzione non c’entra niente. 3. Il terzo elemento ad allontanare gli investitori esteri è la criminalità organizzata. La criminalità “ha un effetto negativo sugli investimenti in generale e quelli dall’estero in particolare”secondo il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, che ricorda che senza di essa “tra il 2006 e il 2012 i flussi di investimento esteri in Italia sarebbero risultati superiori del 15 per cento” pari “a quasi 16 miliardi di euro”. La Costituzione in questi giorni viene imputata di tutti i mali dell’Italia. Troppo comodo per una classe dirigente incapace, inefficiente, spesso corrotta. Molti cittadini vorrebbero indicare con il sì la loro voglia di cambiamento, ma stanno sbagliando bersaglio. La domanda che il referendum pone non è “volete cambiare?”, ma “ritenete che la Costituzione sia responsabile dei mali dell’Italia?”. La mia risposta è NO. “Volete dare più poteri a chi ci governa?” La mia risposta è NO. “Volete rinunciare a votare per il Senato?” La mia risposta è NO. “Volete contare sempre meno, lasciando ai potenti la capacità di decidere il vostro destino?” La mia risposta è NO.