Recupero Password
A Molfetta nasce il Partito della Democrazia Cristiana
14 gennaio 2012

MOLFETTA - Si è costituito a Molfetta il Partito della Democrazia Cristiana, il partito politico italiano di ispirazione democratico-cristiana che nel dopoguerra ha avuto un ruolo primario nella rinascita culturale, sociale ed economica del Paese.
I Democristiani che si ritrovano sotto l’emblema dello scudo crociato intendono rivolgere un appello ai cattolici, ai  moderati ed ai liberaldemocratici di questa città per condividere insieme un percorso di avvicinamento alla politica concepita nella sua accezione più alta.
A breve il partito, come cita un comunicato, costituirà i suoi organismi statutari preceduti da una assemblea costituente e forum monotematici per la stesura di un programma amministrativo da sviluppare nel prossimo quinquennio.
Tutti coloro che intendono collaborare  ad una idea di politica sviluppata come progetto d’ascolto delle esigenze della propria città e per dare contributi concreti ai processi di risanamento avviati e da avviare nei settori dello sviluppo socio-culturale, della crescita economica e dell’ambiente possono ritrovarsi sotto lo stesso storico simbolo della Democrazia Cristiana.

Nominativo  
Email  
Messaggio  
Non verranno pubblicati commenti che:
  • Contengono offese di qualunque tipo
  • Sono contrari alle norme imperative dell’ordine pubblico e del buon costume
  • Contengono affermazioni non provate e/o non provabili e pertanto inattendibili
  • Contengono messaggi non pertinenti all’articolo al quale si riferiscono
  • Contengono messaggi pubblicitari
""

Don Luigi Sturzo, il sacerdote siciliano che Giolitti definiva sprezzantemente “l'intrigante pretino”, varcò la soglia della sua camera, al secondo piano dell'albergo Santa Chiara, nel cuore della Roma papalina. Erano le 5 del pomeriggio del 17 gennaio 1919. Dal basso giungevano attutite le voci di alcuni seminaristi che stavano giocando a palla in cortile. Il religioso restò ad ascoltarle, soprappensiero, per qualche secondo. Poi, malgrado il feroce mal di testa che lo affliggeva, prese carta, penna e calamaio e si sedette allo scrittoio. Due ore dopo, aveva davanti a sé cinque fogli fitti fitti, riempiti con una calligrafia sottile: la bozza del discorso che avrebbe letto, l'indomani, per comunicare alla stampa la sua intenzione di dar vita al Partito Popolare Italiano, il movimento politico cattolico dalle cui ceneri, 24 anni dopo, sarebbe nata la Democrazia Cristiana. Il documento si concludeva con un appello indirizzato “a tutti gli uomini liberi e forti”; uomini che don Sturzo invitava a unirsi a lui per contribuire concretamente alla ricostruzione morale del Paese, provato da una guerra vittoriosa, ma luttuosissima. I giornali pubblicarono la notizia senza darle troppo risalto, ma, evidentemente, il sacerdote aveva saputo suonare” le note giuste, perché, di lì a cinque mesi, il suo partito era già in grado di fare la prima sortita ufficiale, coronando un sogno cominciato molti anni prima. Per l'esattezza nel 1895, anno in cui il giovane sacerdote lasciò Roma, dove aveva frequentato la Pontificia Università Gregoriana addottorandosi in teologia, per ritornare nella natia Caltanisetta. Qui don Sturzo, che apparteneva a una famiglia dell'aristocrazia siciliana, si mise subito a mostrare le sue idee anticonformiste. Divenne un efficiente organizzatore della resistenza e degli scioperi contadini, e cominciò a predicare contro lo statalismo e il malcostume politico che imperavano in Italia. Un'attività che, ben presto, lo avrebbe portato davanti al pretore di Militello con l'accusa di essere “un pericoloso sovversivo”. La Democrazia Cristiana non fu mai la continuità del Partito Popolare, il partito di don Sturzo. - L'accusa che si rivolgeva a don Sturzo, era quella di non aver cercato di differenziare il suo partito dagli altri gruppi politici in modo dichiaratamente cattolico e di aver relegato soltanto all'ottavo punto del programma la questione della libertà e dell'indipendenza della Chiesa. Al primo congresso che si svolse al teatro Comunale di Bologna, dal 14 al 16 giugno del 1919, don Sturzo affidò l'apertura ad Alcide De Gasperi, giunto in rappresentanza del “Trentino riunito all'Italia”. Poi partì all'attacco, com'era suo costume, prendendo di petto proprio i “confessionalisti” che lo avevano criticato. “ E' superfluo dire perché non ci siamo chiamati partito cattolico”, esordì con voce tonante. “I due termini sono antitetici: il cattolicesimo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione. Fin dal principio abbiamo escluso che la nostra insegna politica fosse la religione, e abbiamo voluto chiaramente metterci sul terreno specifico di un partito, che ha per oggetto diretto la vita pubblica della nazione........” Dopo aver sgominato il campo da ogni possibile malinteso, don Sturzo si scagliò contro alcuni esponenti della corrente di sinistra, capeggiati da Guido Miglioli, che miravano alla costituzione di un movimento di classe. “Noi saremo interclassisti” – sentenziò, “perché la società è formata di classi differenti”. - Ci sarebbe ancora tanto da scrivere e da dire, dicci..........
“E ADESSO CHE NE FACCIAMO?”: il vincitore Alcide De Gasperi, leader della Democrazia Cristiana, era come stordito. Al di là della felicità per un trionfo che superava le più ottimistiche previsioni, tutti quei voti quasi lo imbarazzavano. Era il 21 aprile 1948, un mercoledì. Quei quasi tredici milioni di voti erano davvero tanti. Un acutissimo osservatore della politica e della vita italiana, il giornalista Vittorio Gorresio, scrisse che quel “E adesso che ne facciamo?” era la traduzione in termini politici di un'esclamazione delle donnette che, talvolta sgomente, dicono: “Troppa grazia Sant'Antonio”. La troppa grazia turbava De Gasperi un po' per il carico di responsabilità, molto perché temeva che la destra e gli integralisti del partito, il Vaticano, l'Azione cattolica, la gerarchia della Chiesa levassero più alta la voce nella richiesta di un governo monopartitico, di un'egemonia clericale sul paese. Sappiamo tutti come andò a finire. L' Italia aveva scelto la sua strada e, in tempi di guerra fredda, si era proclamata, con slancio, occidentale. La figura di De Gasperi si presta a letture diverse. Come Giolitti, era un conservatore illuminato, un liberalcristiano severo e sincero, che dal Parlamento di Vienna, dove s'era formato rappresentandovi una minoranza, aveva imparato che libertà significa anche – forse soprattutto – rispetto e protezione delle minoranze. Non abusò mai della sua maggioranza assoluta, e questo va a suo merito, ma forse non ne usò nemmeno come avrebbe potuto, e questa, forse, fu la sua colpa. Proprio perché era un conservatore, e un ricostruttore, non volle e non osò – trovandosi peraltro , riconosciamolo, a maneggiare un partito che era piuttosto una coalizione a volte rissosa – incidere su talune strutture dello Stato delle quali, venuto da un'amministrazione esemplare, individuava pure le immense lacune. Grazie a lui, e con lui, l'Italia prese lo slancio per il miracolo economico, ma trascinandosi dietro un'amministrazione vecchia, inefficiente, lenta, che la democrazia peggiorò anziché risanarla: perché là dove s'erano esercitate – spesso senza successo – le pressioni e le influenze d'un partito unico, non si ebbe la decontaminazione politica; si ebbe invece la moltiplicazione delle pressioni, quella che in gergo viene definita ormai LOTTIZZAZIONE. Le pressioni, dapprima prevalentemente democristiane, furono poi ripartite nel modo che tutti sappiamo (?). I fenomeni di degenerazione cominciarono appena, con De Gasperi. Non per niente ora si parla di rivedere la Costituzione. La televisione di Stato metteva la calzamaglia alle ballerine, i vescovi avevano l'aria di superprefetti e mi prefetti guardavano più al Vaticano che al governo di De Gasperi. I difetti che il miracolo ebbe, derivano dalla sua incontrollata spontaneità. Con le sinistre ancorate ancora a schemi ottocenteschi, con i democristiani incapaci di afferrare la realtà, legati com'erano, al loro vecchio assistenzialismo, l'Italia “camminò da sola”. Con disordine, con abusi, con le sgomitate dei capaci e dei furbi, e l'emarginazione di chi capace e furbo non era. Oggi, raccogliamo ancora i tristi e drammatici risultati . Cosa vuoi ancora, vecchia, logora, “furba e capace” Democrazia Cristiana?







Quindici OnLine - Tutti i diritti riservati. Copyright © 1997 - 2025
Editore Associazione Culturale "Via Piazza" - Viale Pio XI, 11/A5 - 70056 Molfetta (BA) - P.IVA 04710470727 - ISSN 2612-758X
powered by PC Planet