A colloquio con un rom al semaforo tra un rosso e l'altro
Siamo abituati a vederli mentre “lavorano” e forse troppo presto li giudichiamo: in base alla nostra morale. Noi di Quindici ci siamo fermati a chiacchierare con uno di loro, ma solo il tempo di un semaforo rosso anche se è stato piuttosto diffi cile stabilire una comunicazione biunivoca, un po' per l'italiano biascicato, un po' per diffi denza e sospetto. Ecco quel poco che siamo riusciti a sapere. Da dove venite e perché siete immigrati in Italia? «Molti di noi provengono dai paesi dell'Est. Io dall'Albania. Soffrivamo la fame, mancava tutto, ogni giorno dovevamo affrontare la morte. Qui, invece, viviamo un po' meglio e siamo sempre costretti ad elemosinare». Quello che “guadagnate” durante il giorno è un modo per sfamare le vostre famiglie. Se qualcuno vi privasse di questa vostra “attività”, che cosa fareste? «Non lo so. Viviamo di questo. Quel poco che guadagniamo – quanto? – qualche euro, lo usiamo per comprarci qualcosa. Privarcene signifi cherebbe non avere più niente». In quali condizioni vivete? «Siamo una decina e ci sono anche bambini. Viviamo in cattive condizioni. Ci siamo procurati quanto occorre per mettere su una baracca, un letto, un tavolo e qualche sedia» (ma i nostri occhi hanno anche visto antenne, televisori e molto più che una semplice baracca, ndr)». Perché portate i fi gli piccoli con voi anche in pessime condizioni meteorologiche? Nessuna risposta. Intanto è scattato l'ennesimo rosso e siamo dovuti partire. Siamo consapevoli della precarietà delle risposte ricevute: ma, ribadiamo, è sempre diffi cile parlare con chi si fi nge malfi - do, tra un rosso e l'altro.