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Viva l'Itaglia! il teatro della maschera
15 novembre 2010

A dirla con Carl Gustav Jung, «Viva l’Itaglia!» è come un sogno indefi nibile, dove il sognatore è allo stesso tempo la scena, l’attore, il suggeritore, il cantante e il musicista, la voce, l’autore, il pubblico, il critico. Mimmo Amato champagne nella riproposizione di uno spettacolo già apprezzato dalla critica a marzo 2010, arricchito con aggiunte e nuovi interpreti. Il chiostro dell’ex convento di San Domenico si è riempito d’immagini, suoni e parole dei dialetti italiani e l’appuntamento di «Sere d’estate 2010», patrocinato dal Comune di Molfetta, ha riesumato il piacere del teatro puro. Vito Vilardi alla chitarra e Vito Mongelli alle tastiere hanno scandito le diverse fasi dello spettacolo, tra parti recitate a sezioni cantate con Giusy Andriani. Tra i brani, «Vitti ‘na crozza», «‘A città ‘e Pulcinella », «Roma Capoccia», «O mia bela Madunina». Non secondari i balletti, che spezzano il continuum scenico, coreografate da Anna Capodieci e Giusy Andriani. Una serata indimenticabile per Mimmo Amato: aria di festa e di condivisione, con l’ovazione conclusiva che ha commosso non solo lo stesso mattatore, ma anche i suoi commilitoni di scena. «Viva l’Itaglia!», il teatro di Gigi Proietti. È un collage di vari dialetti, siciliano e napoletano, romano, bolognese e abruzzese, ligure e veneto, fi no al meltin pot meneghino-pugliese, senza mai scendere nella volgarità. Un’accurata ricerca della parola dialettale, del tono, del suo intimo ritmo, per esprimere con fi ne immediatezza emozioni generali. «Amo questo teatro e non è la prima volta che portiamo sulle scene uno spettacolo del genere - ha commentato Mimmo Amato - è un vintage, il connubio di più generi teatrali, parodia, satira, dramma». Citati Dante, Marain, Cecco Angiolieri, Gioacchino Belli, il teatro della maschera e quello bolognese, con la maschera di Ballanzone e il napoletano Pulcinella. «È, insomma, il teatro di Gigi Proietti, amato e apprezzato sin da bambino, e recentemente di Ettore Petrolini, in cui è continuo il cambio dei personaggi e della cadenza ritmico-linguistica». Spezzata l’illusione della pièce bien fait, il pubblico non è più passivo: è chiamato a intervenire, a giocare con i personaggi dello spettacolo. Sono gli spettatori la vera spalla di Mimmo Amato. Nella simbiosi tra lingua e palco si è liberata una potente e feconda ispirazione, risoltasi in quello spettatore che non solo si è lasciato coinvolgere, ma ha osservato con attenzione il fi eri teatrale. Perché il dialetto? «Secondo Petronini “un attore per essere tale deve conoscere tutti i dialetti d’Italia” - ha spiegato Mimmo Amato - potremmo defi nirlo come il teatro nel teatro, che si crea tessera dopo tessera, come un mosaico o un puzzle e alla fi ne non sembra». E il Pulcinella molfettese preferisce la profondità e musicalità del vernacolo alla piattezza dell’italiano standard, per «la sua immediatezza del dialetto, senza ipocrisie e falsi pudori, senza timori di censure, intraducibile, con la consapevolezza che ogni parola può essere detta e interpretata». Una scena senza scena. «La scena è vuota, non c’è dubbio - ha chiarito Giulio Bufo, new entry tra gli interpreti - ma si popola degli attori, dei suoni e dai silenzi, dai gesti, dai colori, dalle atmosfere, dagli abiti». Il teatro con la T maiuscola, come poteva essere il teatro di Shakesperare, «dove la scena era praticamente vuota e si riempiva dell’opera e dei personaggi stessi». Tira fuori gli oggetti e le essenze, le sistema e le ripropone al pubblico in un ambiente imploso sullo sfondo. Così Mimmo Amato, spalleggiato da Tania Adesso (new entry) e Giulio Bufo, lascia crescere la materia, mano a mano che corre il tempo del palco: dall’idea di un gesto-parola-sguardo all’oggetto del soggetto, isolato nel vuoto, presente e vivo. Nessuna collocazione ambientale: non è necessario, l’ambiente si crea nella mente dello spettatore, al suono di ogni posa inaspettata, che rapisce e si libera attimo dopo attimo. Per dirla con Cesare Pavese, i tre attori hanno parlato in solitudine e alla folla, svelando l’artifi - cio illusorio dello spazio teatrale, richiamando in alcuni tratti le commedie plautine e goldoniane. Annullate le convenzioni sceniche del pubblico di Molfetta, abituato al semplice fatto raccontato in atti, requisito per quasi due ore tra un idioma locale e l’altro in un ritmo dinamico e turbinoso. Grande merito ai tre attori, ma soprattutto a Mimmo Amato, che ride, si diverte e fa divertire, non solo recita, fa innamorare del teatro con ritmo e velocità. La trama. Primo personaggio, un siciliano vittima di un tradimento coniugale, dopo il bizzarro e breve monologo iniziale di Tania Adesso. Il dialetto romanesco e napoletano con gli stereotipi immaginifi ci e superstiziosi della cultura campano-laziale, ma la vera protagonista del napoletano è la maschera di Pulcinella (Giulio Bufo): un monologo sulle sue sfortune d’amore, concluso con una preghiera per gli attori. Seconda parte, e ancora Tania Adesso a introdurre il dialetto abruzzese: si accende la politica, ma il cartello promozionale del nuovo partito P.I.Z.Z.A. (Partito Italiano di Zappatori, Zoticoni e Alfabeti) e il comizio del suo leader dissacrano la materia. Dal toscano popolare di Cecco Angiolieri alla spilorceria ligure, per arrivare al discorso ampolloso e senza senso di Ballanzone, tipica maschera bolognese, con i suoi inappropriati cavilli e inutili sproloqui. Non manca il veneto, che si atteggia a lingua musicale nell’interpretazione della poesia «Il lonfo» di Tania Adesso: Narcisa Vanesio la sua maschera più estrosa. Il meneghino-pugliese, miscuglio linguistico degli emigrati pugliesi in terra lombarda, ha infi ammato il pubblico, nonostante l’ora tarda: gli stereotipi baresi divertono gli stessi pugliesi. La chiusa di Massimo Troisi, tagliata dallo spettacolo per ragioni temporali, ma riprodotta dalla voce di Mimmo Amato su richiesta del pubblico. Giulio Bufo nel ruolo di un irriverente e malinconico Pulcinella e Tania Adesso, risoltasi in più voci e ruoli, hanno accentuato la materia metateatrale dello spettacolo, già gremito di giochi multilinguistici e polisemantici. Come se la pièce si sia svolta sul palcoscenico all’interno dell’evento teatrale, percepito come un’azione degli attori intenti nella rappresentazione di un dramma. Uno spaccato dell’Italia. «Abbiamo cercato di portare dal palco uno spaccato della nostra Italia - ha concluso Mimmo Amato - scorrendo da Nord a Sud, captiamo le stesse manie, gli stessi tic, gli stessi atteggiamenti perché, nonostante le diversità culturali, ideologiche, politiche e linguistiche, abbiamo un comune sostrato italico». Lieve ironia politica, ridotta a qualche battuta. Direbbe Bertolt Brecht, il compito del teatro è ricreare la gente.

Autore: Marcello la Forgia
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