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VILLAGGIO GLOBALE - Il giornalista deve suscitare stupore e indignazione Il rischio dell'ozio professionale e della superfizialità dell'informazione
18 febbraio 2017

La capacità di raccontare  la vita quotidiana degli uomini e delle donne del loro tempo, nelle miniature più che nei grandi eventi, dovrebbe essere la grande virtù dei giornalisti. Ma i giornalisti hanno ancora la capacità e il desiderio di stupirsi?

Domina una informazione pronta a stupire ma incapace, o quasi, di stupirsi. C’è bisogno di un giornalismo capace di farsi spiazzare dalla realtà, che riscopra la voglia di andare a cercare, di scoprire. I giornalisti cioè come rabdomanti, esploratori delle storie invisibili, ma reali, nascoste tra le pieghe dell’umanità.

La meraviglia che può trovare spazio nel lavoro giornalistico è la disponibilità del cronista a farsi sorprendere dalla realtà. E’ l’arte di non sapere già tutto, di non perdere la capacità di osservare uomini e cose con umiltà e rispetto. Continuando a porsi domande, a scavare, doti sempre più difficili da esercitare in un panorama informativo omologato in cui più che cronisti, i giornalisti sono diventati confezionatori di notizie.

Per il giornalista la meraviglia deve essere una sfida profonda: quella di continuare a suscitare stupore e indignazione. Senza la meraviglia anche il giornalista rischia di restare rinchiuso nell’ozio professionale, dove tutto resta superficiale e, alla fine, senza interesse per chi scrive e quindi anche per chi legge. Il giornalista abitato dallo stupore è quello che ha la capacità di meravigliarsi, di cogliere il continuo divenire del mondo nella sua osmosi drammatica e stupefacente di vita e di morte, di luce e di ombre, di creato e di incompiuto.

Vivere e scrivere la vita è meravigliarsi, essere aperti ad ogni novità. Osservare le cose e coglierne ogni volta un diverso  particolare. Il giornalista deve provare curiosità e desiderio di imparare continuamente dalle proprie esperienze. Trasformare ogni storia ordinaria in una vicenda straordinaria.

Il giornalista deve andare alla scoperta dell’invisibile”: può sembrare quasi un ossimoro ma è l’essenza del mestiere. Il giornalista è un inviato sempre teso alla scoperta, una parola che indica rivelazione, svelamento, apertura. Invisibile, una parola che implica mistero, rarefazione, impalpabilità. Ma le due parole, unite nella medesima locuzione, acquistano una risonanza particolare in quanto appaiono apertura verso una ricerca continua, quella del giornalista  e del suo viaggio intorno all’uomo.

Autore: Valentino Losito
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