Videosorveglianza remota
Dalla cassa numero 3 si aveva una perfetta visuale della grande sala d’ingresso della Banca, con le porte girevoli di accesso, il bancomat, i pannelli pubblicitari delle proposte bancarie alle pareti. Il grande schermo della videosorveglianza remota era però posto trasversalmente alla porta a vetri che divideva l’ingresso dalla sala interna dove era collocato un altro schermo più piccolo e anche questo mostrava l’addetto che nella sua postazione a chilometri di distanza sorvegliava le due sale. Il cassiere della cassa numero 3 era giovane e curioso e quando non serviva i clienti si divertiva a guardare chi, entrando, si fermava al bancomat. Aveva già notato l’uomo perché lo aveva fatto pensare a Benigni nel film Johnny Stecchino, ma con sostanziali differenze: piuttosto piccolo di statura, i capelli radi sulla sommità della testa, un impermeabile fuori moda e soprattutto, all’opposto del Roberto nazionale, perché tanto quello sprizzava vitalità e irrequietezza, tanto l’uomo aveva un aspetto dimesso, da perdente. L’arrivo di un cliente aveva fatto sospendere al cassiere le sue considerazioni e quando il cliente particolarmente pignolo che aveva richiesto tutta la sua attenzione si allontanò, guardò pigramente fuori: l’uomo era ancora lì, fermo, con le mani dietro la schiena. Non c’era nessuno al bancomat ed entravano e uscivano dalle porte girevoli clienti che non si fermavano ma procedevano spediti verso l’interno o verso l’esterno della sala centrale, quindi il cassiere si chiese perplesso che cosa facesse l’uomo ancora lì. “Boh! – disse a se stesso – evidentemente aspetta qualcuno”. Il giorno dopo e quello seguente il cassiere giovane, alzando gli occhi, vide l’uomo ancora nella sala d’ingresso. Aveva in testa un cappello di feltro che lo faceva ancora più simile a Johnny Stecchino e continuava a guardare fisso in un punto, immobile. Il cassiere cominciò a chiedersi se non fosse il caso di chiamare il sorvegliante, ma per che cosa?, l’uomo era lì fermo, tranquillo, e non disturbava nessuno. Per due o tre giorni non si fece vedere e il cassiere della cassa numero 3 aveva dimenticato completamente la sua esistenza, anche perché si avvicinava il Natale e il movimento alla cassa richiedeva tutta la sua attenzione, quando lo rivide. Sempre allo stesso punto, immobile da almeno due ore – aveva continuato a guardarlo alzando gli occhi ogni tanto – e senza mostrare segni di impazienza. Era evidente che non aspettava nessuno. A questo punto la curiosità del cassiere non fu più contenibile, appena ebbe la possibilità di farlo chiese ad una collega di sostituirlo per una pausa caffè ed uscì nella sala d’ingresso. Senza dar nell’occhio, perché la sala era piena di gente che attendeva il proprio turno per avvicinarsi al bancomat, si accostò all’uomo, che da vicino gli parve ancora più mingherlino e dimesso, e guardò nella sua stessa direzione. Fu un lampo: l’uomo guardava adorante il grande schermo della videosorveglianza remota dove, in tutta la sua bellezza, dominava Laila. Il cassiere rientrò precipitosamente dentro non riuscendo a trattenere le risa, ma si ripropose di non parlarne con i colleghi: era evidente, l’uomo era innamorato. Che Laila fosse bella non c’erano dubbi, l’avevano chiamata così gli impiegati perché chissà qual’era il suo nome, per ragioni di sicurezza non si conoscevano i nomi di coloro che si alternavano sullo schermo, e scherzavano a volte commentando i suoi capelli biondo miele che le incorniciavano ondulati l’ovale perfetto, gli occhi azzurri con sfumature di verde, le ciglia lunghe e nere, la piccola bocca tumida a cuore, il collo sottile che sembrava sbocciare come lo stelo di un fiore da una camicetta leggera di pizzo bianco. Sì, c’era da perderci la testa, ma il cassiere della cassa numero 3 non la poteva soffrire, così sofisticata, con quel sorriso perenne appena accennato, il suo muovere lentamente la testa per seguire sul monitor i movimenti all’interno della Banca. Poi, quel nome da anni Trenta, da diva del muto, ma questo non se lo era certo dato da sola. Ad ogni buon conto il cassiere pensò che non poteva farci niente e che prima o poi la cosa si sarebbe risolta da sola. O l’uomo si sarebbe stancato o Laila sarebbe stata sostituita da qualche altro sorvegliante. Ogni tanto il cassiere della cassa numero 3 alzando gli occhi dal suo lavoro guardava nella sala d’ingresso e lui era sempre lì, timido, riservato, la sua presenza sembrava inavvertibile nel flusso dei clienti che entravano, si fermavano pochi minuti al bancomat o procedevano verso l’interno. Il giorno prima della vigilia di Natale – poi sarebbero arrivate le sospirate ferie – guardando pigramente fuori il cassiere impallidì: tutto si svolse in pochissimi minuti, guardò l’uomo che era fuori, nel suo solito angolo, e vide una espressione di orrore stravolgergli la faccia. Si sporse dalla cassa e guardò lo schermo interno della videosorveglianza remota. Una grossa mano rivestita di un guanto di gomma aveva afferrato senza riguardi gli splendidi capelli di Laila e con uno strattone aveva fatto venir via l’intera capigliatura rivelando un tenero cranio roseo. Il sorriso di Laila non mutava, ma la testa si afflosciò sul collo e la mano, con riguardo questa volta, aprì uno sportellino dietro la nuca e cambiò la pila. “Imbecilli! – pensò il cassiere con rabbia – hanno dimenticato di spegnere lo schermo!”. Lasciò il suo posto, si avvicinò alla porta interna e con un gran senso di pena vide l’uomo che assomigliava a Johnny Stecchino uscire singhiozzando.
Autore: Marisa Carabellese