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Una strana e tardiva lettera aperta di Guglielmo Minervini al sindaco di Molfetta Paola Natalicchio
17 maggio 2016

MOLFETTA – Il consigliere regionale Guglielmo Minervini interrompe lo strano silenzio seguito all’annuncio delle dimissioni del sindaco di Molfetta Paola Natalicchio, che veniva attribuito a un raffreddamento dei rapporti fra i due. Minervini, forse dopo aver letto l’intervista “esplosiva” pubblicata in esclusiva sul numero della rivista “Quindici” in edicola, nella quale Paola racconta tutti i retroscena della crisi con nomi e cognomi, ha deciso di scrivere una lettera aperta che in realtà oggi appare tardiva, quasi tesa a giustificare il suo strano silenzio.

Infatti, nell’intervista a “Quindici” la Natalicchio esclude ogni ipotesi di ripensamento e di ritiro delle dimissioni e ne spiega i motivi (vi rimandiamo al giornale per conoscerli). Ecco perché, a 4 giorni dal termine ultimo per il ritiro delle dimissioni, prima che diventino irrevocabili, Guglielmo Minervini prova a scrivere questa lettera che appare un po’ tardiva e anche politicamente sospetta (il timore di una possibile concorrente all’interno di Sinistra Italiana?).
Infatti i rapporti fra i due si erano raffreddati dopo che, per superare la prima crisi dell’amministrazione di centrosinistra e ritirare le dimissioni, Paola Natalicchio aveva scelto di mettere in atto un rimpasto che l’aveva costretta a sacrificare l’assessore ai Lavori Pubblici Giovanni Abbattista, per fare posto ad un altro assessore del Pd e tacitare l’inquieto partito politico, vero artefice della crisi politica che porterà al lungo commissariamento della città, della durata di oltre un anno.
Lo stesso Pd, inoltre, finora ha scelto la strada del silenzio a conferma che il suo obiettivo fosse quello delle dimissioni del sindaco. Questa verità scomode (compreso il silenzio del segretario politico del Pd locale Piero de Nicolo), che “Quindici” racconta nel numero in edicola e nell’editoriale del direttore Felice de Sanctis intitolato “La storia siamo noi”, fanno comprendere come la frattura determinatasi nella maggioranza sia insanabile.
La lettera di Minervini appare quindi più come una foglia di fico che un reale tentativo di recuperare la situazione, che il consigliere regionale sa di essere compromessa. Non è possibile, infatti, che un’amministrazione possa stare sempre sotto ricatto del tredicesimo consigliere di turno e delle sue eventuali pretese. Forse Minervini avrebbe dovuto scrivere una lettera aperta al Pd, col quale la frattura è insanabile e a determinarla fu proprio la sua scelta di candidarsi alla Regione in una lista vicina al presidente uscente Nichi Vendola. Di qui la frattura e la fuoruscita di molti iscritti e dirigenti (la metà del partito) e l’inizio dell’instabilità della maggioranza. E’ pur vero che i consiglieri comunali vicini al movimento politico “Democrazia è partecipazione” sono rimasti fedeli al sindaco, ma i rapporti non erano più gli stessi. Quale sarebbe stata l’alternativa? Fare un rimpasto della giunta inserendo un assessore di Dep e un altro del Pd? La città avrebbe compreso? O avrebbe pensato che l’obiettivo fosse solo quello di un giro di poltrone?
Qual è l’obiettivo di Minervini? Attribuire a Paola Natalicchio la responsabilità del commissariamento della città? Cosa ha fatto per rimettere insieme la maggioranza e soprattutto recuperare il suo rapporto col Pd, unica via d’uscita dalla crisi? Le sue 6 domande, nella situazione attuale rischiano di apparire come ipocrite? Sono questi gli interrogativi che si pone l’opinione pubblica e alle quali il consigliere regionale dovrebbe dare le risposte che non ci sono nella sua lettera, che riproduciamo testualmente:

«Caro Sindaco

scusami se mi rivolgo alla tua funzione piuttosto che alla tua persona.

Di Paola s'è parlato tanto.

Dei costi privati sostenuti con generosità e slancio nello svolgimento di un servizio duro e difficilissimo. Del tuo stile così immediato e schietto con cui ti sei fatta amare dai cittadini. Della passione integrale con cui hai anteposto gli interessi pubblici alle tue scelte personali.

Di questo s'è detto tanto, e la nostra gratitudine, la nostra riconoscenza, come ben sai, sono totali dai primi vagiti di questa avventura. Anche quando espresse con il linguaggio dei gesti piuttosto che con quello delle parole.

Ma questa è l'ora che la politica svolga le sue ragioni, oltre il terreno dell'affetto.

Per questo mi rivolgo al Sindaco e non solo a Paola.

Perché abbiamo il dovere di rimettere le ragioni della città a confronto con quelle della persona.

E abbiamo il dovere di farlo in modo pubblico e trasparente.

E' l'unico modo per non seppellire sotto le macerie l'enorme esplosione di speranza che ha accompagnato la nascita di questa esperienza amministrativa.

La buona politica, la legalità e la limpidezza amministrativa, la politica come cura del bene comune e non come tutela degli interessi di pochi: questo è il carico di attese che oggi rischia di sprofondare in un senso di sconfitta e di delusione.

E' su questo che abbiamo il dovere di interrogarci fino all'ultimo momento, senza tatticismi e senza calcoli ma su un terreno di responsabilità condivisa.

Per questo dobbiamo essere disposti a contaminare le nostre singole idee.

Per governare una città complessa occorre un incrocio ampio di sguardi e di pensieri.

Da soli nessuno può farcela, nessuno basta.

Con la lealtà di sempre, vorrei farti sei domande su cosa accade a Molfetta se questo percorso si dovesse interrompe con due anni di anticipo, così e ora:

  1. Che fine fa la vicenda del porto? I numerosi processi avviati sulla redazione dei progetti di messa in sicurezza e di completamento, l’adesione all'Autorità Portuale del Levante, le proposte sociali che per la prima volta sono state elaborate dal basso con una bellissima concertazione da parte di tutta la comunità portuale: una volta interrotto tutto questo, non si rischia di far insabbiare ogni prospettiva nel pessimismo e nel fatalismo?
  2. Che fine fa la pianificazione urbanistica del territorio? Con una gestione della vecchia pianificazione ancora incompiuta e conflittuale? E con gli indirizzi sulla nuova in uno stadio assolutamente embrionale? Se ritornano i lanzichenecchi del mattone, che fine fa la prospettiva del prima piano urbanistico in cui invece dei palazzi si curano il territorio e la città?
  3. Che fine fa la raccolta differenziata, forse il cambiamento strutturale più rilevante con cui la città si sta misurando giusto da qualche settimana ma in uno stadio ancora troppo iniziale per non rischiare di regredire rapidamente, se non sostenuta da una solida volontà politica?
  4. Quali sono i costi di un nuovo commissariamento di Molfetta, che durerà oltre un anno, il quinto in un quindicennio? Non solo rappresenta una lesione all'immagine e all'onore di Molfetta ma anche un danno ai processi amministrativi che si interrompono mentre importanti passaggi accadranno: penso al nuovo ciclo di fondi europei che richiedono un'amministrazione non ordinaria ma nella pienezza della sua funzione per intercettare, con tempestività ed efficacia, la enorme mole di risorse disponibili.
  5. Lo scioglimento traumatico del mandato non rafforza l'idea di una città divisa, litigiosa, in una condizione permanente di rissa, incapace di condividere il senso di un destino comune? Il compito della politica non può limitarsi a ratificare i conflitti. La politica è chiamata, con l'arte della mediazione (che non è trattativa né compromesso) a risolverli e governarli. Per questo il racconto della crisi come contrapposizione tra buoni e cattivi non convince. Non aiuta e non fa crescere. La politica è capacità di cogliere le ragioni dell'altro, anche quando ti sembra di scorgere solo errori e trappole.
  6. Infine, e sono un grappolo di domande. Che fine fa la nostra comunità politica, quella comunità del cambiamento, la Molfetta sana e civica, onesta e perbene? Il suo disorientamento, il senso di frustrazione diffuso di queste ore, rischiano di essere una ferita che durerà a lungo. Nuovamente succube del ritorno dei faccendieri, che almeno quelli sanno governare insieme fine all'ultimo giorno? I buoni ma incapaci che perdono la partita con i disonesti capaci? E dare la partita persa a tavolino, pur avendo i numeri per giocarsela in campo e fino in fondo, tra tante innegabili difficoltà, non ha il sapore di una rinuncia preventiva rispetto al patto con la città? Spingere il PD locale verso scenari di Partito della Nazione, pur essendo attraversato da una tensione politica profonda (e lo dico io che da quel partito ho subito un indegno linciaggio) non è un errore gratuito che compromette ogni prospettiva politica futura?
Ecco queste le domande che meriterebbero un confronto pubblico vero e teso, senza alcun tabù. Un confronto necessario che renderebbe le tue scelte anche le nostre scelte, e ci restituirebbe, tutti, il ruolo di protagonisti e non di spettatori.

Credo, infatti, che il dibattito in atto sulle tue dimissioni vada riportato sui binari della politica. Gli unici che consentono di rimettere la città al centro, con le sue ragioni e i suoi bisogni; gli unici per permettere ai cittadini di essere soggetti attivi e consapevoli, e di non ridursi solo in tifosi, con l'effetto di un progressivo allontanamento di tutti coloro che non sono schierati nè “pro” né “contro”.

Perché in gioco è il destino di tutti, della città.

Con l'amicizia vera di sempre

Guglielmo Minervini»

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