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“Una notte con la morte accanto, soli tra cielo e mare, in balia delle onde”
I marittimi molfettesi naufragati a 25 miglia dalle coste del Montenegro col motopesca “Cunegonda”. La paura di non farcela e la gioia del ritorno
15 febbraio 2003
di Felice de Sanctis
“Eravamo soli tra cielo e mare in un buio fitto e pauroso aggrappati soltanto a una tenue speranza. Quando sei in un mare in burrasca con le onde alte sei metri e nell'impossibilità di governare la zattera, puoi solo avere paura e sperare”. Giovanni D'Ercole (nella foto col figlio Giuseppe), armatore della nave “Cunegonda” di 150 tonnellate, naufragata a 25 miglia dalle coste del Montenegro non nasconde il suo stato d'animo. Appena sbarcato al porto di Bari dal traghetto “Sansovino” che lo ha riportato a casa insieme con gli altri 4 naufraghi, è sicuramente quello che ha sofferto di più, sia perché aveva a bordo anche suo figlio, sia perché ha visto colare a picco la sua nave costata tanti sacrifici. Ma aver riportato la pelle a casa, lo rende felice. Piange, abbraccia la moglie, tiene per mano il figlio, stringe quella mano ancora ruvida della salsedine di tante ore in mare, per essere sicuro di averlo ancora con sé quel ragazzo che ha scelto il suo stesso lavoro, noncurante di rischi e sacrifici. Ma i pescatori sono così, si tramandano il mestiere di generazione in generazione e il mare o lo si ama o non si può affrontarlo ogni giorno per ricavare il sostentamento per sé e la propria famiglia. La signora Giacoma lo guarda a lungo, per avere ancora certezza che la Madonna, quella Vergine che gli era apparsa in sogno poggiandole sulle spalle un manto nero, che ella rifiutava, l'aveva veramente graziata da un triste destino annunciato. E quel coraggio onirico è stato premiato. “E' un miracolo se siamo tornati a casa”, ripete Giovanni, “ci sono stati dei momenti e delle situazioni assolutamente inspiegabili, come l'avvicinamento delle due zattere. Siamo stati, insomma, una notte con la morte accanto” (Nella foto, l'armatore Giovanni D'Ercole con Mimmo Farinola).
La zattera della salvezza
In realtà le condizioni meteorologiche il mare in tempesta e il forte vento e soprattutto la posizione della seconda zattera sulla quale erano imbarcati il comandante, Giuseppe D'Ercole e Nicola Catanzaro, non avrebbe permesso un avvicinamento fra le sue scialuppe. “Ma ho provato a tirare l'ancora galleggiante e stranamente ho visto che ci avvicinavamo sempre più alla prima zattera lanciata in mare con Giovanni D'Ercole e Cosimo Scardicchio, e alla fine ci siamo toccati e da quel momento siamo rimasti sempre uniti, fino all'arrivo del traghetto Palladio che ci ha salvati”, racconta il comandante Giuseppe Forte. Oltre al comandante del peschereccio a bordo c'erano Giovanni D'Ercole, direttore di macchina e armatore, 47 anni, suo figlio, aiutante di macchina, Giuseppe D'Ercole di 26 anni e i marinai Cosimo Scardicchio, 53 anni capopesca e Nicola Catanzaro, 42 anni, tutti di Molfetta. Ripercorrere quelle tragiche ore, a distanza di qualche giorno (dopo le prime impressioni date ai cronisti all'arrivo al porto di Bari), nella sede dell'Associazione Armatori da pesca in compagnia del direttore Cosimo Farinola e del consulente tecnico, comandante ing. Francesco Mastropierro, non è stato facile. Ma, prima con difficoltà, poi sempre più spedito, il racconto viene fuori.
Un dramma in poche ore
E' Scardicchio il più “loquace” e racconta come l'urlo del comandante (“stiamo imbarcando acqua, affondiamo”) abbia scosso tutto l'equipaggio che ha tentato in tutti i modi di salvare il peschereccio. Inutilmente. “Forse c'era una falla - dice Forte (nella foto) – dovuta forse a qualche colpo preso in banchina, che col mare grosso, si è dilatata fino ad allagare la sezione di poppa. Abbiamo attivato le pompe di esaurimento per espellere l'acqua, ma non è stato sufficiente, il “Cunegonda” continuava a riempirsi lentamente, ma insesorabilmente”.
Tutto comincia intorno alle 14,30: il “Cunegonda” comincia a imbarcare acqua, ma la situazione non sembra drammatica. Poi, intorno alle 17,30 tutto è sembrato perduto e “quando mi sono reso conto che l'acqua stava raggiungendo il livello del motore – aggiunge D'Ercole – ho capito che per la barca non c'era più nulla da fare”. E' il comandante, con molto coraggio e molta perizia, a gestire tutte le operazioni dalla plancia: “L'unica decisione da prendere, anche se dolorosa, era quella di prepararsi ad abbandonare la nave ed è quello che abbiamo fatto, dopo aver lanciato il “may day”, l'Sos, segnalando la posizione – racconta Forte – poi abbiamo calato la prima zattera con D'Ercole e Scardicchio, che si è subito allontanata”. Paura e speranza cominciano ad alternarsi nell'animo dei primi due naufraghi che grazie a un colpo di fortuna, riescono a restare a poca distanza dal peschereccio, grazie alla parte superiore della zattera, che anziché disperdersi in mare all'apertura della scialuppa, rimane agganciata alla cima collegata al peschereccio, trasformandosi in una sorta di àncora galleggiante. “Dalla zattera vedevo il comandante in plancia e mio figlio dal quale non ho mai staccato gli occhi – ricorda D'Ercole – e aspettavo con ansia che lanciassero in mare la seconda zattera”. “E a me è toccato il compito di rassicurare Giovanni, che in alcuni momenti ha avuto una grande paura”, racconta Scardicchio (nella foto il marinaio Catanzaro).
“Io cercavo di essere più tranquillo, non so cosa mi dava quella sicurezza, ma sentivo che ce l'avremmo fatta. Poi è arrivato l'elicottero: una luce che si avvicinava sempre più, una fiaccola di speranza. Mai rumore assordante fu più gradito dalle nostre orecchie. Il velivolo con una forte luce non solo ci ha rassicurato, ma ha permesso a chi era ancora a bordo di raggiungerci con facilità”.
L'elicottero si allontana
“Ero morto – ricorda D'Ercole - in una situazione apocalittica: pioggia, vento, mare grosso, sembrava di essere all'inferno. Ecco perché quella luce ci ha riportato speranza. Poi, l'elicottero a corto di carburante è rientrato: a quel punto siamo rimasti veramente soli”. E' stato quello il momento più brutto e terribile per i 5 uomini. “Poi abbiamo intravisto una luce lontana – racconta ancora Scardicchio – e i nostri cuori in quella gelida notte hanno cominciato a riscaldarsi. Poi la luce s'è fatta sempre più intensa fino all'arrivo del traghetto Palladio, che ci ha individuati e ha cominciato a manovrare per tirarci a bordo”. Ma i pericoli non sono finiti. Salire a bordo di una grossa nave da una zattera in un mare in tempesta non è impresa da poco: se perdi la cima, rischi di ritrovarti senza il canotto sotto e di venire trascinato via dalle onde. E' già accaduto con il marittimo molfettese Nicola Samarelli dopo il naufragio della “Siba Foggia” nel Golfo Persico, altra vittima del mare, che non riuscì a prendere la corda e fu trascinato via dalla corrente a pochi metri dalla salvezza. “Ho rischiato anch'io di fare la stessa fine – interviene Scardicchio – perché avevo una sola mano libera, l'altra era occupata a tenere le carte di bordo. C'è stato un momento che con la sola mano destra non sono riuscito a tener ferma la cima. Per fortuna, non avevo ancora lasciato la zattera e al secondo tentativo ce l'ho fatta” (nella foto, il figlio dell'armatore Giovanni).
Ma da questa esperienza drammatica è venuto fuori finalmente, dopo 15 anni, un provvedimento giusto: la possibilità per i pescatori di uscire in mare anche il sabato e la domenica, superando l'assurdo vincolo dei cinque giorni del fermo tecnico. Lo afferma con soddisfazione Mimmo Farinola, direttore dell'Assopesca, che sottolinea il valore del decreto legge approvato proprio in questi giorni dal governo. “Se avessimo avuto quel decreto, non avremmo rischiato la vita in previsione di una cattiva giornata. Eravamo consapevoli dei rischi che correvamo, anche se siamo partiti col tempo buono – sostiene il comandante Forte – ma a casa abbiamo le famiglie che aspettano e se non lavoriamo, nessuno ci garantisce lo stipendio”. Ora per i marittimi comincia una nuova delicata e difficile fase, quella del possibile recupero del natante, che non era assicurato, per poter usufruire dei contributi della rottamazione e comprare un'altra barca. Per tornare ancora a pescare. “E' il nostro lavoro, la nostra vita”, afferma con un sospiro il giovane Giuseppe D'Ercole. Per lui è stata una scelta e la vuole portare fino in fondo.
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