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Una famiglia di Molfetta tra microstoria e macrostoria
15 settembre 2016

C’è un nuovo libro nel panorama editoriale cittadino che oscilla sapientemente tra microstoria e macrostoria, tra storia locale e storia nazionale. Si tratta di Numero unico. Una famiglia di Molfetta tra microstoria e macrostoria, uscito dai “torchi” del Nuovo Centro Stampa e dovuto alla penna di Rodolfo Nicola Azzollini, dirigente scolastico emerito, che ha terminato il suo servizio pluridecennale nel Liceo Linguistico e delle Scienze Umane “Vito Fornari” di Molfetta. La famiglia che popola le pagine di questo volume ben illustrato appartiene alla piccola borghesia meridionale, non alla piccola borghesia intellettuale detestata da Salvemini perché «marcia spiritualmente», ma a quella più laboriosa e più sana del nostro Sud. Tale famiglia abitava in un palazzo antico, che tra ’800 e ’900 si chiamava la Casa di Palummo (la casa del magistrato e senatore Natale Palummo), ma che nel secondo ’700 era stata la dimora del barone Graziano Giovene e di suo fratello, il canonico e naturalista Giuseppe Maria. Non a caso nella copertina del libro campeggia splendidamente (grazie a una foto di don Ignazio Pansini) il palazzo Giovene, che negli anni Quaranta e Cinquanta del ’900 fu anche l’abitazione dell’austero pater familias Nicola Azzollini, sarto accorsato, ammogliato con Maddalena Salvemini, casalinga e madre amorosa, che gli donò sette figli: Antonia, Vincenzo, Cosmo, Guido, Erasmo, Giovanni Rodolfo e Lucrezia. Dopo un’introduzione storica che riassume gli eventi degli anni 1935-1940, l’autore porta in luce la figura di suo padre Guido Azzollini nel ’40 studente universitario di Lettere a Roma e poi, fra il settembre 1940 e il febbraio 1941, allievo ufficiale di Fanteria nella Scuola di Avellino presso la Casermetta “Giulio Lusi”. Frutto delle velleità goliardico-militaresco- letterarie degli allievi del 1° Corso avellinese è il Numero unico pupazzettato che i futuri sottotenenti di complemento presentarono alla fine delle lezioni e dell’addestramento al loro colonnello comandante e il cui ritrovamento, dopo 75 anni di oblìo in una vecchia scrivania, ha dato l’abbrivo alla ricostruzione di Rodolfo Nicola Azzollini e il titolo al libro che la squaderna ai lettori in fluide sequenze. Il capitolo Il contesto storico riporta la narrazione dalla microstoria alla macrostoria, ovvero al fatidico 1940, dai rovesci del maresciallo Graziani in Nord-Africa alla scriteriata invasione mussoliniana della Grecia e alla sciagurata «notte di Taranto». Si ritorna alla microstoria con il sottotenente Guido Azzollini assegnato tra il ’41 e il ’43 ad un battaglione costiero, prima in Abruzzo, poi in Puglia presso Lesina, Gallipoli e Taviano, dove conobbe la futura moglie Maria Melica. Il tenentino finì vittima della malaria, ma fu risparmiato da pericoli maggiori. Dopo il congedo nell’agosto del 1944, si parla della laurea in lettere all’Università di Bari nel ’46, non senza un flashback, che ci mostra lo studente liceale Guido prodigarsi generosamente in un salvataggio in mare. Ed ecco che entra in scena Giovanni Rodolfo Azzollini, l’autentico eroe della famiglia. È una guardia di finanza. Ha 19 anni appena, ma quando vede un’autocolonna italiana attaccata da partigiani slavi presso Kvasica, in Slovenia, non esita ad accorrere con due commilitoni in soccorso dei compatrioti, rimanendo gravemente ferito. È il 22 settembre 1942 quando muore dopo atroci sofferenze. Nel 1948 verrà decorato con una medaglia di bronzo al valor militare e nel 1963 i suoi resti saranno traslati a Molfetta. Chi ha letto Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi può farsi un’idea della più breve odissea capitata al sottotenente del Genio Erasmo Azzollini. L’Armata Italiana in Russia è in ritirata e il magazzino affidatogli a Radtschenskoje non deve finire in mano ai nemici. Soltanto dopo aver fatto partire i suoi uomini, il 17 dicembre 1942 l’ufficiale dà fuoco al magazzino del Genio e si avvia da solo a piedi nella neve verso Woroschilowgrad. Dopo cinque giorni di cammino nelle steppe gelate raggiunge fortunosamente la destinazione e si salva. La fortuna gli sarà propizia anche dopo l’8 settembre 1943, quando, trovandosi con la moglie per servizio in Slovenia a Fontana del Conte, oggi Knežak, si allontanerà dalla zona prima dell’arrivo dei partigiani di Tito. La saga famigliare, attraverso alcune lettere, si allarga per un po’ alle vicende di un amico di gioventù di Guido Azzollini, Damiano Altomare, operaio a Milano fra il ’37 e il ’38 e poi fuochista sull’incrociatore “Bolzano”, su cui muore a 22 anni il 9 luglio 1940 durante la battaglia di Punta Stilo, ricevendo il 20 settembre successivo alla memoria una medaglia d’argento al valor militare. Gli ultimi capitoli del libro riguardano la figura esemplare di don Cosmo Azzollini, molto legato alla sorella primogenita Ninetta (Antonia) e morto cinquantaduenne nel 1966 in sentore di santità. Dal patriarca Nicola e dalla formazione seminariale aveva ereditato un’eccessiva severità morale, ma si comportò da novatore, pur sulla scia di San Filippo Neri e di San Giovanni Bosco, per le energie consumate a vantaggio dei ragazzi poveri e abbandonati e dei giovani in disagio, soprattutto con la fondazione e l’ampliamento dell’Oratorio “San Filippo Neri”. Non pecca di enfasi l’autore, quando scrive: «l’amore per gli ultimi lo colloca su una linea ideale che, nel clero molfettese, va da don Ambrogio Grittani a don Tonino Bello». Insomma, la discrezione e l’acribia di Rodolfo Nicola Azzollini rendono il suo libro utile e prezioso, non solo per le foto, le lettere e altri documenti, ma in modo particolare per la presentazione equilibrata e priva di retorica dei diversi personaggi famigliari, nuovi vividi tasselli che vanno a coprire significativamente alcuni vuoti nel gran puzzle della storia di Molfetta.

Autore: Marco Ignazio de Santis
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