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Un felice esperimento la “Traviata” in scena al Regina Pacis
15 aprile 2018

Il coraggio merita sempre di essere ammirato, soprattutto quando si fonda su un lavoro serio e solido come quello che ha condotto all’allestimento della Traviata presso il Teatro Regina Pacis di Molfetta il 18 marzo. Il capolavoro verdiano è stato solo il primo appuntamento della rassegna teatrale di lirica “Il carro all’opera”, voluta dalla Compagnia del “Carro dei Comici”, di Francesco Tammacco, regista, affiancato, nel ruolo di direttore artistico, dal soprano Marilena Gaudio. Seguirà la rappresentazione di altri due capolavori, l’operetta di Lehar La vedova allegra, con le deliziose schermaglie di Hanna Glawari e Danilo Danilowitsch, e Carmen di Georges Bizet, trionfo di fatalismo (“le mot redoutable … écrit par le sort”) e sensualità. L’evento è stato il frutto di una serie di felici collaborazioni: il canto corale affidato all’Alter Chorus dell’ottimo maestro Antonio Allegretta, l’accompagnamento al pianoforte del maestro Alessandro Giusto, le pregevoli scenografie di Damiano Pastoressa e le coreografie di Cinzia D’Addato, eseguite dalle sue allieve del Liceo coreutico “Leonardo da Vinci” di Bisceglie. La docente Lucrezia Palumbo, collaboratrice del Dirigente del “da Vinci”, prof. Cristoforo Modugno, è apparsa pienamente a suo agio nel ruolo di madrina della serata, condotto con garbo ed eleganza. Le note di regia sono state lette dalla giovanissima studentessa Claudia Gadaleta. Le scelte registiche di Tammacco hanno voluto introdurre una cornice narrativa, con Vincenzo Raguseo nelle vesti di Alexandre Dumas padre, autore del romanzo La dame aux camelias (da cui Piave trasse il libretto dell’opera), voce che commenta e giudica Marguerite/Violetta, non di rado manifestando una punta di polemica nei confronti della riscrittura operistica verdiana. L’opera si snoda nella sua splendida partitura; una vicenda d’amore appassionato, non coronato dall’happy end, a causa delle convenzioni sociali e della caducità dell’umano esistere. Il vitalismo in realtà depresso del primo atto cede il posto al romanticismo e all’intensa drammaticità del secondo, per poi volgere verso lo sgomento dell’Addio del passato del terzo atto, culmine elegiaco del melodramma. Gli interpreti si rivelano all’altezza del compito: particolarmente intensa è la Violetta Valery del soprano Marilena Gaudio, che regala al pubblico un’interpretazione sicura, appassionata, in più occasioni anche commovente, come nel celeberrimo grido di addolorato amore (Amami, Alfredo) o nella desolata romanza della quarta scena del III atto. Bravo il tenore Roberto Cervellera, un Alfredo nitido, dal bel timbro, che risalta in particolar modo nel Brindisi e nel Duetto del primo atto; efficace anche la resa del mezzosoprano Giulia Calfapietro, nei ruoli di Annina e Flora. Il baritono Antonio Stragapede (Giorgio Germont), dotato di buona presenza scenica, convince soprattutto nell’aria Di Provenza, il mare, il suol; abile il basso Onofrio Salvemini, che volge dallo sdegnoso Barone Duphol al pietoso e delicato Grenvil. Ricordiamo inoltre il Gastone del tenore Dino De Bari, Giuseppe (il servo di Violetta) e il commissario del tenore Paolo Gadaleta. Un plauso particolare spetta al maestro Alessandro Giusto, che ha retto le sorti dell’intero allestimento; una scelta coraggiosa quella del solo pianoforte, che si è rivelata un valore aggiunto, dando vita a un’atmosfera sommessa e raccolta, quasi a voler dialogare musicalmente con l’intimo dolore di Violetta. Brava ed elegante nelle soluzioni prescelte (si veda il ricorso a proiezioni della psiche della Valery) Cinzia D’Addato, così come le allieve del Liceo coreutico (De Palo Ylenia, Corato; Leuci Letizia, Bisceglie; Matera Maria, Trinitapoli; Pisani Elena, Molfetta; Pisicchio Adriana, Trani; Zagaria Simona, Andria; Zonno Nicole, Bari), che hanno eseguito le coreografie dell’insegnante di danza con grazia, naturalezza e armonia, dominando le scene decima e undicesima del secondo atto. Onore anche all’Alter Chorus, che soprattutto in Oh, infamia orribile e nel bellissimo concertato di fine atto secondo ha regalato una performance notevole, destando emozione. Emozione accresciuta dalla possibilità di assistere a un efficace allestimento operistico nella nostra città; ci piace l’idea che sia stato prescelto proprio il dramma di Violetta, creatura eterea nel suo amore assoluto, indomito, nel suo slancio ora apparentemente civettuolo ora pensoso. Dramma in cui gli uomini patiscono una bruciante sconfitta: Giorgio Germont, nel suo perbenismo che giudica la figlia “pura siccome un angelo” e non si lascia smuovere, se non troppo tardi, dal reale angelicismo della Valery; Alfredo, che per i suoi “bollenti spiriti” non esita a oltraggiare pubblicamente la creatura sublime che diceva d’amare… Tutti vinti dalla dignità della traviata, consapevole di quanto il gaudio amoroso sia un “fior che nasce e muore” eppure pronta ad abbandonarvisi con tutta l’anima, fiduciosa in una rinascita che quel grido strozzato del finale, “Oh gio…ia”, forse ci lascia presagire. © Riproduzione riservata

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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