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Un atto di coraggio Quindici invita il sindaco a lasciare perdere il nuovo porto che rischia di non vedere mai la luce e dirottare i finanziamenti ad altra opera utile e fattibile
15 maggio 2010

Continua a mietere danni il progetto del nuovo porto di Molfetta. Dopo lo scandalo del tentativo di spostare la nuova foresteria della capitaneria della Guardia costiera, dopo aver autorizzato i lavori e cambiato idea troppo tardi, che costerà ai cittadini un milione di euro di risarcimento danni; dopo il ritardo nei lavori della nuova diga foranea e dello sminamento del porto con il primo risarcimento danni di 7,8 milioni di euro già versati alla società Cmc di Ravenna; è ora la volta dell’avviso della conclusione delle indagini della magistratura per 47 persone fra cui lo stesso sindaco Antonio Azzollini del Pdl, di quasi tutta la giunta, di tecnici comunali e di funzionari regionali e del ministero dell’ambiente. Il reato ipotizzato, come è possibile leggere nel dettaglio nelle pagine interne di questo numero della rivista “Quindici” è quello di lottizzazione abusiva e danneggiamento ambientale per la distruzione di una pianta, la Posidonia, indispensabile per l’ecosistema marino. E poi, si parla ancora di possibili avvisi di garanzia per un’altra indagine della Procura della Repubblica di Trani relativa a presunte irregolarità amministrative nell’appalto dei lavori del porto. Questo vuol dire ulteriore esborso di denaro dei cittadini, oltre alle spese legali che a Molfetta non sono mai leggere, ma servono a risarcire copiosamente gli avvocati, anche quando sono costretti a non portare a termine le cause (ricordate altre vicende, nelle quali alcuni legali sono stati lautamente risarciti a spese dei contribuenti?). Ma tutto questo significa anche allungare i tempi, già abbondantemente sforati della conclusione dei lavori, col rischio che, alla fine, malgrado tutti i milioni di euro spesi, Molfetta non riuscirà ad avere un nuovo scalo commerciale, oppure quando questo fortunosamente sarà completato, non servirà a nulla, se non a rappresentare l’ennesimo monumento allo spreco nel Mezzogiorno, un’altra cosiddetta cattedrale nel deserto, magari bella da vedere (per i turisti), ma assolutamente inutile sul piano economico. Ecco che a questo punto “Quindici”, anche a nome dell’opinione pubblica chiede al sindaco Azzollini un gesto di coraggio, che sarebbe allo stesso tempo un comportamento saggio e ammirevole da parte di chi amministra con oculatezza il denaro pubblico che i cittadini gli hanno affidato, senza correre il rischio di indebitare la città per i prossimi 50 anni, debiti che, come è avvenuto in passato in materia di edilizia, saranno scaricati sulle tasche dei cittadini con nuove tasse. Alla faccia dello sviluppo e della nuova occupazione! Un gesto lungimirante e responsabile sarebbe quello di lasciar perdere questo progetto faraonico e inutile. Tra l’altro alla Regione sono stati definiti i ruoli dei porti pugliesi (dai quali Molfetta, per una folle autarchia amministrativa, si è autoesclusa) che vedono come principali scali commerciali, oltre Bari, Brindisi e Taranto, anche Manfredonia che diviene porto regionale di riferimento. Ecco perché mollare un progetto ormai superato dai tempi e dalle prospettive future, sarebbe il modo migliore per non gravare sui contribuenti e valutare la possibilità di utilizzare quei fondi per progetti più utili e di sicuro favorevole impatto economico sulla città. Anche la Regione dovrebbe fare la sua parte, soprattutto ora che l’assessorato ai trasporti (e quindi al porto) è stata assegnata al molfettese Guglielmo Minervini: non si può continuare a ignorare quello che avviene sul porto di Molfetta, occorre decidere se ritirare la delega al sindaco oppure costringerlo ad agire in linea con la programmazione regionale, con la possibilità di recuperare un ruolo e garantirsi un parte dei traffici marittimi (sempre se l’opera andrà “in porto”). Una proposta era venuta qualche mese fa dall’Ing. Lillino Di Gioia, già assessore regionale all’urbanistica e candidato sindaco del centrosinistra che, in un’intervista a “Quindici”, proponeva di spostare i lavori nella parte antistante il Duomo per realizzare un approdo turistico di sicura efficacia (che potrebbe legarsi al costruendo albergo di Palazzo Dogana), utilizzando gli stessi finanziamenti ottenuti per il porto commerciale. Oltre a ciò si potrebbe creare il raddoppio del lungomare fino alla 1ª cala adeguando il water front (fronte mare) e avviando un piano spiagge libere fino alla seconda e terza cala a fini turistici. Quella che fino a tre mesi fa era solo una proposta di un esponente politico, oggi potrebbe rivelarsi una necessità o, comunque, un’ipotesi di lavoro per venire fuori dal labirinto del porto e dal ginepraio dei problemi connessi: dalle bombe ai problemi ambientali, dall’appalto alle richieste di risarcimento. Ammettere un errore di valutazione o riconoscere che le condizioni di partenza sono cambiate, per correggere un progetto in corso d’opera, non è segno di debolezza, ma di lungimiranza e saggezza amministrativa che verrebbe sicuramente apprezzato dalla città e, crediamo, perfino dall’opposizione con la quale si potrebbe trovare un’ampia convergenza su nuovi progetti concreti e fattibili. Continuare ad intestardirsi di fronte ad una realtà mutata, proseguire con il paraocchi per dimostrare di avere avuto ragione, col rischio di fare un flop, quando sarà troppo tardi per rimediare, non ci sembra una politica assennata e degna di rispetto e considerazione. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum, come già ci insegnava un antico saggio scrittore romano, come Lucio Anneo Seneca il vecchio (55 a. C. ca. – 40 d. C.). Il sindaco ne faccia tesoro e compia un passo indietro: gli saranno tutti riconoscenti, anche quei servitori sciocchi che lo circondano, i quali oggi non si rendono conto del danno che possono provocare alle generazioni future, ma che cambiando metodi e rinunciando a capricci e ostinazioni, tutelerebbero veramente gli interessi dei cittadini, ora già abbondantemente tartassati. Errare è umano, perseverare è diabolico, ma correggersi è divino.

Autore: Felice de Sanctis
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