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Tracce per uno studio su Salvatore Pappagallo
15 giugno 2016

Un mare di insignificanza da decifrare. Così appaiono le carte d’archivio di Salvatore Pappagallo, tracce di una vita dedicata alla musica sacra, alla didattica, alla composizione. Sfogliando faldoni di documenti (l’opera di ricostruzione ormai avviata), traspare il clima musicale, lo scenario di fondo che ha visto lo sviluppo della sua estetica. Dal rapporto epistolare, riscoperto, con il suo maestro Armando Renzi, emerge parzialmente il mondo romano musicale degli anni Sessanta del Novecento; si desume poi un intenso rapporto con il Rota sacro, quello del Mysterium e de La vita di Maria: Pappagallo è molto impressionato dalla musica di Rota, dalla Messa Breve (cantata spesso con la schola cantorum del Seminario Regionale di Molfetta) ma anche da O vos omnes che propone per alcune funzioni nella chiesa di Santo Stefano a Molfetta. E che dire della collaborazione con Raffaele Gervasio del quale, spesso, con i cantori del suo coro “Josquino Salepico”, esegue il melanconico Concerto spirituale? Di altre storie si apprende poi sfogliando le lettere del maestro francese Marcel Couraud; si intravedeno le relazioni artistiche tessute con mons. Bartolucci della Cappella Sistina e con il maestro brasiliano Roberto Riccardo Duarte. La ricerca di un paradigma, questo lo scopo di uno studio in archivio incominciato ormai da qualche tempo e che ha posto in luce, quasi ce ne fosse bisogno, la difficoltà estrema di scrivere del ‘‘contemporaneo’’, in particolare quando poi si è conosciuto di persona (e da vicino) il soggetto di indagine. E’ un paradigma compositivo ed estetico, quello di Salvatore Pappagallo, lontanissimo dalle sperimentazioni della “Fase seconda”, di cui scrive nel 1969 Mario Bortolotto. Sembrerebbe sussistere, infatti, una vicinanza di sensibilità ed una significanza archetipica più con il Respighi della Lauda per la Natività del Signore (composta tra il 1928 ed il 1930), che con le sperimentazioni alla Kagel. La “Generazione dell’Ottanta” (Respighi, Pizzetti, Malipiero e Casella), protesa a contestare l’unilateralità dell’opera lirica per rendere moderna la musica italiana, sembra aver influenzato Pappagallo quando compone la Lauda della Natività, tra il 1961 ed il 1962 (Bari-Conservatorio). Segnatamente, alcune reminiscenze di Respighi, lì, sono ben evidenti. Come già detto, Pappagallo è distante dalla “nuova musica” già acclarata ricerca dell’inusitato, ai corsi estivi di Darmstadt. Fuori ‘‘dalla storicità dei precedenti, delle lezioni, come si suol dire, degli autori esemplari o classici”, gli adepti di Darmstadt respingono ogni sedimento o ‘‘elemento compositivo che rechi con sé la traccia della storia, cioè della violenza’’ (Bortolotto, 1969). Esemplare il caso di Kagel che “procede ogni volta accettando il massimo rischio, quello del non-significato, e spinge le sue opere fino alle possibilità di dissoluzione, di non-esistenza’’. Di quella non-significanza, assunta a paradigma della ricerca musicale negli anni Sessanta, Pappagallo sembra non accorgersi, giacché densi di senso (nel significato classico del termine) appaiono, invece, i suoi oratori, la Lauda della Natività in primo luogo,ma anche Le nozze di Cana (datato Roma, Conservatorio S. Cecilia. 24 settembre-9 ottobre 1965). Gli oratori di Pappagallo trentenne sono tutt’altro che “un labirinto in cui non esiste nessun filo di Arianna”, anzi. La reminiscenza dotta del cantum gregorianum che appare nel tema introduttivo della Lauda, l’introito della messa di Natale Puer natus est, conferma che nella sua musica c’è una struttura invariante, un logos interiore che ritorna e scandisce e dà senso al discorso musicale. E’ un autore che sente in sé il magistero del gregoriano, della polifonia palestriniana e del contrappunto appresi sin dagli anni trascorsi in seminario a Molfetta. Ne Le nozze di Cana, tutto ruota attorno alle alchimie musicali create per giungere all’episodio dell’Architriclino (affidato al baritono), ma tutto converge, poi, verso una fuga che, guarda caso, è un’autocitazione dalla Lauda, (Collaudemus della Lauda ripresa nel Tu es Christus de Le nozze di Cana). Che dire, in un discorso sull’evoluzione stilistica di Pappagallo, di quello stupefacente mottetto per coro a tre voci femminili che è Cessate di uccidere i morti, su testo tolto da Ungaretti? Esso è un nobile (piccolo gioiello) ideale “prologo” ai due oratori, composto nel maggio 1960 (poi orchestrato nel 2004) per un saggio di composizione. Strettamente liturgico appare, in ordine alla produzione musicale di Pappagallo, il periodo tra il 1964 ed il 1966, riflesso della rivoluzione del Vaticano II; alla Missa I coralis (datata “Pasqua 1964”) subentrano (è proprio il caso di dirlo), nel 1966, la Messa pasquale e la Liturgia funeraria. A questo periodo appartengono brani pensati per la liturgia in italiano, ma anche i Quattro corali (tra cui l’etereo Tu scendi dalle stelle) pubblicati a Roma nel 1965. Non può sfuggire all’ascoltatore attento l’influenza della lectio del Verdi dei quattro pezzi sacri: le Laudi alla Vergine, archetipo dell’Ave Maria per tre voci femminili composta nel 1966? Forse. Stupiscono le cantate, Le Beatitudini e Jerusalem, espressione di una vena ispiratrice feconda come non mai; dalla fine del 1966 al gennaio del 1968, Pappagallo le compone per essere eseguite dai cantori del Seminario Regionale di Molfetta, dove è maestro di cappella. Pensa a quei cantori come fossero destinati a rimanere ancora interpreti di testi sacri non defunti, né imbalsamati nei loro celati sentimenti. Se continua a far cantare messe e mottetti del princeps Palestrina, e degli altri giganti della polifonia (anche Perosi), per altri versi innova, riflette, si abbandona alla sua vena compositiva che sperimenta sui giovani seminaristi di quegli anni. Ecco quindi Le Beatitudini del 1967, cantata elegiaca e meditativa, ma con il verbum evangelico scolpito nell’artigianalità dell’incedere polifonico. E dunque, Jerusalem del 1968, rivoluzionaria come il suo remoto ispiratore Andrej Donatovic Siniavskij, intellettuale russo condannato al confino (di lui Pappagallo lesse Pensieri improvvisi del 1965). Deferente l’omaggio, nel 1971, al coro della Cappella Giulia di S. Pietro ed indirettamente al suo direttore Renzi: un complicato e “modernista” Magnificat per coro ed organo. Di un anno prima è Alleluja e Salmo Messianico per organo, datato luglio 1970, “Invenzione” sui temi dell’Alleluja gregoriano e sul corale dalla Passione di Bach O caput cruentatum. Siamo qui nel punto di massima diversificazione dal solito Kagel (che ho voluto porre ad emblema della “Fase seconda”) che in Improvisation ajouteè affida la sua opera desacralizzante proprio all’organo, lo strumento a cui l’ascoltatore collega per ineludibile associazione la musica sacra o meglio quella liturgica. Kagel “porta disordine fin nella tecnica esecutiva dello strumento. Il quale, per la prima volta, non è affidato a un solo esecutore .. la tecnica dell’organo è totalmente ripensata, e rinnovata ab imis dall’introduzione massiva di processi quali il rumore […] il commento vocale va dal parlato al riso, al fischio, al canto, al grido, al chiacchierio, all’accesso di tosse” (Bortolotto). Nulla di tutto questo in Pappagallo che scrive per organo secondo una diversa filosofia. Placatasi la “tempesta” compositiva, torna nel tranquillo porto (si fa per dire) della polifonia al servizio della liturgia ed ecco la Messa popolare del 1977 (con il recupero del Santo del 1966). Il 1980 segna, tuttavia, il ritorno di un periodo “eccentrico” determinato dall’incontro con Couraud: al rapporto con questi è riconducibile l’avventura dei corsi di polifonia, tenutesi a Molfetta a partire dal 1980 ed ininterrottamente sino al 1993. E’ di quel periodo il mottetto inedito Coelorum lumen influit (datato giugno-luglio 1980), concepito con la solita deferenza verso il paradigma della antica polifonia classica, ma capace di sbalordire e di intrigare quando si tenti di decostruirne l’impianto compositivo. Dedicato a San Bernardino, è verosimilmente scritto per il sesto centenario della morte del santo di Siena essendo, l’antico testo, riconducibile alle Commemorationi particolari che fa la Venerabile Compagnia di Santa Catarina da Siena della Natione Senese. Scrive Lazzaro Nicolò Ciccolella, che Coelorum “dimostra il respiro europeo ed estremamente moderno di un autore che all’infaticabile opera di disseminazione culturale e di alfabetizzazione musicale, al quotidiano impegno sociale affiancava un raffinato lavoro di ricerca musicale… una qualità d’artista che egli stesso, per modestia teneva sotto-traccia”.

Autore: Giovanni Antonio del Vescovo
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