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Tornati a casa i marittimi arrestati in Croazia
22 dicembre 2001

MOLFETTA – 22.12.2001 Sono tornati a casa i marittimi del peschereccio “Pasquale e Cristina” arrestati dalla polizia croata con l’accusa di aver violato le acque territoriali nel corso di una battuta di pesca. I tre uomini Francesco Murolo, 54 anni, motorista, Pasquale Gadaleta, 30 anni, marinaio e Francesco Buzzerio, 53 anni, aiuto motorista, hanno dato alle autorità marittime italiane una versione dei fatti completamente diversa da quella diffusa dai croati per comprovare le loro accuse e il sequestro del natante. Da una successiva ricostruzione dei fatti risulta che la polizia di quel paese ha sparato senza motivo contro il nostro peschereccio, anche ad altezza d’uomo. “Fanno sempre così – ci dice Cosimo Farinola, direttore dell’Assopesca – per spaventare i nostri marinai, considerati alla stregua di pericolosi criminali. Le loro azioni sono veri e propri atti di guerra. Non dimentichiamo che non è il primo caso di aggressione immotivata ai nostri natanti. Già il 29 gennaio dello scorso anno il peschereccio “Iosna” tornò a casa con diversi fori di proiettile nello scafo in direzione degli alloggi. E qualche giorno prima una barca di Manfredonia era tornata in porto con ben 350 fori di proiettile. Insomma, questi sparano per uccidere non per spaventare. E’ una cosa intollerabile”. Non dimentichiamo che la marineria di Molfetta ha avuto già una vittima, Antonio Gigante, ucciso su un peschereccio proprio dalla polizia dell’ex Jugoslavia: la famiglia non ha mai ottenmuto giustizia, né alcun risarcimento. Ma vediamo di ricostruire i fatti con l’aiuto degli stessi marinai e di Farinola. Il “Pasquale e Cristina” si trovava in acque internazionali svolgendo la sua normale attività di pesca, in una situazione difficile perché, a causa del maltempo, il mare era a forza 8, per cui il comandante aveva dato ordine di “mettersi alla cappa”, che in gergo vuol dire affrontare il mare di prua per cercare di governare la barca col cattivo tempo. Mentre stava effettuando questa manovra, è sopraggiunta la motovedetta croata che si è affiancata al “Pasquale e Cristina” per permettere al poliziotto di salire a bordo. Ma un colpo di mare ha impedito l’operazione e i natanti si sono urtati. Il comandante ha ordinato, perciò, all’equipaggio di manovrare meglio per permettere ai croati di ispezionare il natante. La manovra, però, è stata intesa dalla polizia come un tentativo di fuga e sono partiti i primi colpi di pistola. Spaventati i marittimi molfettesi hanno bloccato ogni manovra, la polizia è riuscita a salire a bordo e a costringerli a far rotta verso un’isola croata. Qui i 4 uomini sono stati processati: le accuse più gravi sono state ricolte verso il comandante Sergio Pappagallo, 50 anni, che è ancora chiuso nel carcere di Spalato. I tre marittimi sono stati espulsi, il natante sequestrato con una multa di 39 milioni. Contro questa sentenza è stato già presentato ricorso in appello al Tribunale di Zagabria, “ma non ci sono molte speranze – aggiunge Farinola – questi fanno giustizia sommaria, impediscono la presenza dei nostri avvocati e si basano solo sulle dichiarazioni della loro polizia”. Amareggiato anche l’armatore della nave (il cui valore si aggira sui due miliardi) Antonio Altomare: non è possibile lavorare in queste condizioni, chiediamo un intervento immediato del governo italiano. Una prima iniziativa governativa, in realtà, c’è stata con un documento del sottosegretario agli esteri, con delega ai Balcani, sen. Antonione, che condannato duramente l’episodio, chiedendo la restituzione del natante. Antonione ha anche ricordato che fra i due Paesi esiste l’impegno a sottoscrivere un accordo contro gli infortuni in mare, che i croati non vogliono ancora firmare. E i croati continuano a sparare e ad approfittare della situazione, sequestrando i natanti, mettendoli all’asta e costringendo l’armatore a riacquistarlo, lucrandoci sopra. Ecco perché l’intervento del governo dovrebbe essere più deciso per garantire la sicurezza in mare dei nostri pescatori, evitando loro anche salassi economici che mettono a rischio la stessa attività di pesca e i posti di lavoro. Del resto ora sui pescherecci esiste la cosiddetta “blu box”, la scatola blu, una specie di scatola nera, che registra ogni posizione del peschereccio segnalandola via satellite ad una centrale operativa, che è in grado di dimostrare matematicamente se il natante ha violato le acque territoriali. Basterebbe questa prova ad evitare abusi da parte dei croati, che hanno mantenuto la stessa mentalità e le stesse abitudini poliziesche degli ex jugoslavi in questa materia. Michele de Sanctis jr.
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