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Ti amo, Gesù Morto: il Collettivo Fuori Scena sul palco con un'opera di Orazio Panunzio "Lettera d'amore ad uno Sconosciuto" portata in scena, domenica sera, nell' Auditorium San Domenico
04 novembre 2009

MOLFETTA - E’ una storia d’amore l’opera prima del Collettivo Fuori Scena (Alessia Garofalo, Andrea la Forgia, Elio Colasanto e Mariel Corrieri).
Un amore sicuramente anticonvenzionale, puro in origine, poi un po’ perso, insozzato, segnato dal tempo e dai tempi, avvertito continuamente, ma convulsamente degenerato. Ma di amore si tratta, e il titolo stesso non fa nulla per nasconderlo: “Lettera d’Amore ad uno Sconosciuto" è un testo inedito, dello scomparso scrittore molfettese Orazio Panunzio, messo a disposizione da parte della famiglia ad un gruppo teatrale giovanissimo, che in quanto tale sembra possedere la scintilla.

 

La scintilla che fa durare la stasi iniziale solo pochi attimi, che fa scordare la dolcezza del risveglio presi dall’ansia del vivere, che rompe ritmi scenici e vasi in terracotta senza preavviso. E’ la storia di un amore.
Sicuramente anticonvenzionale. Altrettanto sicuramente denso di una poesia e rispondente ad una idea sospesa tra classico e moderno, tra il bianco del candore iniziale e il rosso sangue di un compromesso di sopravvivenza. Un giovane, sembra ormai tanto tempo fa, si innamora, semplicemente ma passionalmente e tutt’altro che platonicamente, della Statua di Cristo Morto, nella notte del venerdì santo, nei vicoli di Molfetta. Il pianoforte che accompagna la nascita di questo amore rende la marcia funebre meno greve ma non meno grave.

E’ un amore puro, incantato, appassionato e pieno. Non durerà questa purezza.

 

E’ la storia di un amore corrisposto. Perché è anche quel ceppo di legno, trasformato in statua, ad innamorarsi, dall’alto, della città, della gente che vede nella penombra ai suoi piedi. E’ un amore a prima vista, che cresce con il passare degli anni, ammetterà Cristo Morto. Non durerà la purezza, ma durerà, in un modo o nell’altro, questo amore. Un amore da far perdere la testa ad una statua piena di santità, ma che in maniera quasi sacrilega finisce per perdere l’identità, per scordarsi quella santità per vivere l’amore terreno e carnale con l’ uomo. Con l’Uomo.  

 

Durerà, in un modo o nell’altro, questo amore, tra muraglioni stracolmi e vocianti, tra vuoti a perdere abbandonati per le strade, tra l’illuminazione pubblica che, sessant’anni dopo, non vuol saperne di spegnersi quando passa la processione.  Lettera d’Amore ad uno Sconosciuto è uno scritto di rara pienezza, e che sconosciuto sia rimasto, ai più, per tanto tempo, è un handicap forse finalmente colmato, per una città amata da Panunzio, che, si dice nella nota introduttiva, “ha trasformato la sua cittadina nel suo personaggio”.    

 

Pieno di rosso-passione, rosso-sangue, rosso-virginale menarca, non c’è solo il giovane, interpretato da Elio Colasanto, innamorato del Gesù Cristo ancora sotto le lenzuola, con le fattezze di Andrea La Forgia. C’è un’intera città: o almeno, è bello poterla pensare così.
Per questo, anche per questo, riportare in scena questo amore (primo amore, e non si scorda mai) magari a ridosso della Settimana Santa, quando ci sarà da far capire ad altri, giovani vergini dei nostri tempi che forse quella notte del venerdì c’è altro, oltre a un’occasione per tirar tardi e bere in compagnia (che l’amore magari cambia, ma non si distrugge) non è un suggerimento. E’ un dovere.   

Autore: Vincenzo Azzollini
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