Per aprire un secondo fronte alle spalle delle forze dell’Asse in Nord Africa, l’8 novembre 1942 truppe americane e inglesi sbarcarono in Marocco e Algeria, dove incontrarono una modesta resistenza da parte dei reparti francesi del governo collaborazionista di Vichy. Dopo aver riconquistato tutto l’Egitto, il 13 novembre gli inglesi ripresero Tobruk. Il peso della nuova iniziativa nemica ricadeva ormai, quasi interamente, sulla Marina militare e mercantile italiana. Essa doveva continuare a rifornire la Libia, dove le truppe di Rommel erano in ritirata e, a partire dal 15 novembre, anche la Tunisia, dove gli italo-tedeschi avevano costituito una testa di ponte per controbilanciare in qualche modo lo sbarco alleato in Algeria e Marocco. Nel frattempo, mentre sugli aeroporti algerini si andavano ammassando grandi quantità di aerei anglo-americani, gl’inglesi avevano ricostituito a Malta la “Forza K” con incrociatori e cacciatorpediniere e, dall’altro lato della tenaglia, a Bona, in Algeria, disponevano della “Forza Q” con incrociatori leggeri e cacciatorpediniere. A questi mezzi si aggiunsero tutti i sommergibili britannici disponibili nel Mediterraneo e flottiglie di motosiluranti inglesi e americane. Dalla fine di novembre gli alleati scatenarono una caccia spietata al traffico navale italiano fra la Sicilia e la Tunisia. Da allora, trasportare uomini e materiali in Libia e in Tunisia divenne un vero martirio per i marinai italiani, sia militari che civili, e l’attraversamento del Canale di Sicilia per raggiungere la Tunisia acquistò in breve tempo la macabra denominazione di «rotta della morte». Su quella rotta, come scrive Marc’Antonio Bragadin nel volume La Marina italiana 1940- 1945, i «piroscafi, ormai quasi tutte vecchie “carrette” d’infima classe, i motovelieri e persino i motopescherecci, che gradualmente furono gettati nella mischia, scrissero pagine dell’eroismo più limpido, perché umile e silenzioso». Alcune di quelle pagine di tacito eroismo furono scritte da marittimi e marò di Molfetta. Il marinaio cinquantunenne molfettese Giuseppe Andrea Turtur di Giuseppe e Marta Maria La Forgia morì sul piroscafo Alga di 1851 tonnellate, mentre navigava con un carico di materie infiammabili da Palermo verso Tripoli. Alle ore 23:30 del 9 ottobre 1942 il sommergibile inglese Unbending presso l’isola di Gerba nel Golfo di Gabès in Tunisia silurò la nave, che prese fuoco e affondò alle ore 3 del giorno seguente. Il 17 ottobre di pomeriggio salpò da Napoli per Tripoli il convoglio “C”, composto dai piroscafi da carico Beppe, Capo Orso, Saturno e Titania e scortato dai cacciatorpediniere Ascari, Da Noli, Giovanni Da Verrazzano, Oriani e Gioberti e dalle torpediniere Centauro e Sagittario. Il convoglio fu sottoposto ad attacco sottomarino e aereo. Alle ore 8:40 del 19 ottobre, a sud di Pantelleria, il sottomarino inglese Utmost attaccò il convoglio con i siluri, ma non riuscì a colpire nessuna nave. Invece, a sud-ovest dell’isolotto di Lampione, alle ore 12:58, il mercantile Beppe di 4859 tonnellate fu centrato da un siluro lanciato dal sommergibile britannico Unbending e s’inabissò alle 13:45. Poco dopo il Da Verrazzano, evitato con la manovra un primo siluro, venne colpito da una seconda torpedine. Lo scoppio asportò la poppa. L’equipaggio tentò di tenere a galla la nave, ma dopo un infruttuoso tentativo di traino, il cacciatorpediniere dovette essere abbandonato e affondò alle 14:50. In quelle circostanze perse la vita il ventenne marò molfettese Donato De Biasi di Michele e Rachele Vitulano. La Sagittario trasse in salvo l’equipaggio superstite. Il Gioberti, lanciatosi nella caccia antisommergibile, vide venire a galla chiazze di nafta, tuttavia non risultarono affondamenti di sottomarini inglesi. Ma non era ancora finita. Alle ore 00:50 del 20 ottobre un aereo nemico silurò con successo il Titania di 5397 tonnellate, che fu preso a rimorchio. Purtroppo verso le 8 un altro sommergibile britannico, il Safari, colpì nuovamente con un siluro la nave danneggiata, che affondò a 60 miglia a sud di Lampedusa. Sul Titania morì il calderaio cinquantenne molfettese Sergio Messina di Giuseppantonio e Mariantonia Pisani. Il 20 novembre 1942 l’incrociatore ausiliario D 22, cioè la ex motonave da carico Lago Tana di 783 tonnellate, armato con due cannoni 100/47 e quattro mitragliere 20/65, dopo essere ripartito da Pantelleria, dove aveva sostato durante la navigazione da Trapani a Tripoli, fu attaccato dalle ore 12:05 alle 12:35 da una formazione di aerei angloamericani. Centrato da un siluro, gravemente danneggiato e con vittime tra l’equipaggio, l’incrociatore fu abbandonato dai marinai superstiti. Durante l’attacco il ventiduenne cannoniere ordinario molfettese Giuseppe Picheo di Vito e Anna Bartoli, impiegato sul Lago Tana come puntatore mitragliere, stando alla motivazione della medaglia di bronzo alla memoria, reagì con valore, «incurante del violento fuoco nemico, all’offesa avversaria che riusciva più volte ad allontanare. Colpito da proiettile, che gli troncava una gamba, rifiutava stoicamente qualsiasi aiuto e proseguiva con immutato ardore nella reazione della sua arma», finché questa non fu resa inservibile dai colpi nemici. Assalita nuovamente da aerei avversari e colpita verso le 16:00, la nave s’inabissò dopo il tramonto tra Pantelleria e Lampedusa. Sulle scialuppe vi furono solo cinque sopravvissuti. Un’altra tragedia si verificò al largo di Annaba in Algeria, dove, nel sommergibile Dessiè il 28 novembre 1942 perì il venticinquenne guardiamarina Giuseppe Piccininni di Bartolomeo e di Pasqua Mezzina. Partito il 18 novembre da Messina agli ordini del tenente di vascello Alberto Gorini per recarsi in zona d’agguato, il sottomarino fu avvistato dieci giorni dopo da aerei nemici e segnalato alle navi alleate in pattugliamento nell’area. I cacciatorpediniere inglese Quentin e australiano Quiberon della “Forza Q” lo attaccarono con una scarica di bombe di profondità, costringendolo a salire in superficie. Il Dessiè affiorò impennato e sbandato, ma prima che qualche uomo dell’equipaggio potesse abbandonarlo, colò a picco di poppa in verticale. Non si salvò nessuno dei 48 sommergibilisti. Al Piccininni fu attribuita la croce di guerra alla memoria e l’intitolazione del Gruppo di Molfetta dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia. Nella notte sul 2 dicembre la battaglia di banco Skerki presso le coste tunisine si risolse in tragedia per gli italo-tedeschi. Il convoglio “H”, partito da Palermo per Biserta, comprendeva la motonave-traghetto Aspromonte di 976 tonnellate, il piroscafo misto Aventino di 3794 tonnellate, la motonave mista Puccini di 2422 tonnellate e il piroscafo tedesco KT 1 di 7800 tonnellate. Le navi, oltre agli equipaggi, trasportavano 1766 militari germanici e circa 700 tonnellate di munizioni, più cannoni e mezzi destinati alle truppe dell’Asse comandate da Rommel. Il convoglio era scortato dalle torpediniere Clio e Procione e dai cacciatorpediniere Camicia Nera, Folgore e Nicoloso Da Recco, comandato dal caposcorta capitano di vascello Aldo Cocchia. Poiché i messaggi tedeschi sul convoglio trasmessi con le macchine cifranti Enigma erano stati decrittati dall’organizzazione Ultra, nel Canale di Sicilia si precipitò a colpo sicuro la “Forza Q” di Bona, agli ordini del viceammiraglio Cecil Harcourt e formata dagli incrociatori Aurora, Argonaut e Sirius e dai cacciatorpediniere Quentin e Quiberon, che, guidati dai radar in una notte fosca e nuvolosa, aprirono il fuoco alle ore 00:37 del 2 dicembre. Il KT 1, carico di munizioni, saltò in aria disintegrandosi alle 00:40. Subito i tre cacciatorpediniere italiani partirono al contrattacco. Il Camicia Nera, mirando nel buio alle vampate di partenza, aprì il fuoco e lanciò vari siluri in tre attacchi senza risultati; poi, illuminato e inquadrato dal fuoco nemico, all’1:14 si defilò. Il Folgore, dopo uno strenuo combattimento contro l’Aurora e il Sirius, raggiunto da nove colpi, affondò all’1:16. Il Da Recco, scoperto mentre tentava il lancio ravvicinato di siluri, fu cannoneggiato e devastato da esplosioni e fiamme. Con gli uomini mortalmente o gravemente ustionati, come il cap. Cocchia, decorato poi con la medaglia d’oro, all’alba si dirigerà lentamente verso Trapani. La Clio, dopo avere cercato di occultare i mercantili con una cortina nebbiogena, prese parte al tiro contro le navi nemiche mirando sulle vampe, ma all’1:34, non avendo più riferimenti validi, cessò il fuoco. Anche la Procione si portò all’attacco, ma venne gravemente colpita e, manovrando con difficoltà, raggiungerà l’isola tunisina La Galita. Intanto, alle 00:55, era andato a picco l’Aventino. All’1:29 s’inabissò anche l’Aspromonte a 5 miglia a ovest di banco Skerki. La Puccini, attaccata col cannone dal sommergibile inglese Seraph verso l’1:08, essendo in preda alle fiamme e riuscito vano il rimorchio, fu affondata a cannonate dal Camicia Nera intorno alle 15:00. In quella notte morirono 2200 tra soldati e marittimi imbarcati sui mercantili e marò in servizio sulle navi militari. Sul piroscafo Aventino persero la vita anche tre molfettesi: i camerieri Vito Del Vecchio e Nicolò Mezzina di Pasquale e Gaetana De Pinto, di 18 anni, e il marinaio Antonio Picca fu Giuseppe e di Angela D’Agostino, di 45 anni. Il giorno dopo morirono il fuochista quarantottenne Vito Camporeale di Corrado e Carmina Sasso e il marinaio cinquantaduenne Cosimo Stoia di Lazzaro e Laura Farinola sul piroscafo Audace di 1459 tonnellate, mentre trasportava carburante da Trapani a Tripoli. Il cargo fu attaccato da aerosiluranti nemici la sera del 3 dicembre 1942 nel Golfo di Hammamet in Tunisia. Centrato da un siluro, s’inabissò alle ore 19:10. Ancora più grave fu il sacrificio umano patito dai marittimi molfettesi, nello stesso giorno, a bordo del piroscafo Minerva, di 1905 tonnellate, carico di carburante destinato a Tripoli e attaccato di notte da aerosiluranti avversari a sud-est delle isole Kerkennah in Tunisia. Colpito da spezzoni incendiari e da un siluro, il piroscafo prese fuoco e affondò verso le ore 22:30. Nella sciagura persero la vita il marinaio trentanovenne Michele Amore di Giuseppe e Francesca La Mastra, il marinaio trentaduenne Gaetano Del Rosso di Nicola e Irene Giovine, il carbonaio trentaseienne Ignazio Gadaleta di Giuseppe e Lucrezia De Robertis, il fuochista trentatreenne Giuseppe Magarelli fu Giovanni Michele e fu Angela Valente, e il marinaio quarantaquattrenne Giuseppe Zaza di Giacomo e Vincenza Altomare. Il 4 dicembre su Napoli, dove la maggior parte della flotta italiana era stata trasferita da Taranto dopo lo sbarco anglo-americano in Algeria, un’ondata di quadrimotori statunitensi B-24 Liberator eseguì un pesante bombardamento, cogliendo impreparata la contraerea italiana. Quattro cacciatorpediniere furono colpiti con danni limitati, ma l’incrociatore leggero Muzio Attendolo affondò subendo 188 morti e 146 feriti e gl’incrociatori Eugenio di Savoia e Montecuccoli furono gravemente danneggiati. Il primo ebbe 17 caduti e 46 feriti, il secondo 44 morti e 36 feriti. Il Montecuccoli, colpito da una bomba al centro della nave dentro un fumaiolo, ebbe tra i suoi caduti il venticinquenne cannoniere molfettese Francesco Mastropasqua fu Ettore e fu Irene La Forgia. Il 13 dicembre 1942 la stessa triste sorte toccò a un sommergibilista, il ventiseienne sergente nocchiero Sergio Camporeale di Giuseppe e Agata Zaza. Il 10 dicembre, al comando del tenente di vascello Guido Guidi, il sottomarino Corallo salpò da Cagliari per portarsi in agguato fra Bona e Biserta in Tunisia. Nella notte fra il 12 e il 13 dicembre, a circa 14 miglia a nord di Bougie, il sommergibile venne scoperto e sottoposto a violento bombardamento da quattro fregate inglesi. Centrato dalle artiglierie di bordo mentre cercava di immergersi, il Corallo fu poi speronato dalla fregata Enchantress e affondò con tutti i suoi 49 uomini di equipaggio. Il 20 dicembre successivo morì il quarantaquattrenne Nicola Salvemini di Ignazio e di Giacoma Uva, capitano marittimo militarizzato, che comandava il piroscafo da carico Costantina di 345 tonnellate, appartenente alla Società Anonima di Navigazione “Japigia” di Bari, requisito dalla Regia Marina nel 1940 e iscritto nel ruolo ausiliario dello Stato con la sigla V. 26, poi F. 139. La piccola nave fu cannoneggiata e colpita nel Golfo di Hammamet, presso Susa, dal sommergibile inglese Safari. Non ebbe migliore destino Nicolò De Gennaro di Nicolò e Marta Maria Mele, sposato con Gaetana Zaza, padre di 5 figli, marittimo trentasettenne richiamato alle armi e imbarcato con la qualifica di 2° capo meccanico sul cacciasommergibili AS. 99, già Zuri, un piroscafo di 160 tonnellate, requisito dalla Regia Marina nel 1941 a Fiume come preda bellica dopo aver portato il nome slavo di Neretva. Alle ore 8 del 21 dicembre 1942, mentre stata entrando alla Goletta, presso Tunisi, a circa un miglio dalla diga, il cacciasommergibili urtò contro una mina e affondò. Il campo minato era stato posto l’8 dicembre dal sommergibile posamine inglese Rorqual. Più fortunato sarà invece suo fratello Mauro De Gennaro, nato a Molfetta il 3 gennaio 1908, imbarcato a Bari il 5 marzo 1943 come fuochista sul piroscafo da carico Capo Pino (ex francese Aveyron) al comando del capitano Massabò. Infatti prima si salverà dal mitragliamento aereo alleato del 16 agosto 1943, sotto il quale morirà il marinaio trentenne molfettese Antonio Altomare di Michele e Susanna De Dato; poi sopravviverà alla prigionia seguita alla cattura della nave da parte dei tedeschi a Patrasso dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Internato in un campo di prigionia, rimpatrierà dalla Germania tornando a Molfetta dalla moglie Rosa Cantatore dopo due anni, il 7 ottobre 1945. Sul finire del ‘42 persero la vita altri quattro molfettesi: il “giovanotto” diciassettenne Michele Amato di Saverio e Angela Spadavecchia, il “piccolo di cucina” diciannovenne Michele Bufo fu Pantaleo e di Grazia De Bari (suo padre era morto quattro mesi prima sul piroscafo Padenna presso Tobruk), il cinquantunenne capitano di lungo corso Angelo Francesco De Pinto, nato a Ruvo di Puglia da Nicola e Marianna Anelli, e il marinaio cinquantaquattrenne Gianmaria Modugno di Vincenzo e Maria Gadaleta. Si trovavano sul piroscafo Iseo di 2366 tonnellate, già mitragliato da aerei nemici nel porto di Bengasi il 24 e il 28 ottobre 1941. Il cargo trasportava munizioni fra Trapani e Tunisi, quando, verso le ore 3 del 29 dicembre 1942, fu assalito da quattro aerosiluranti Fairey Albacore dell’821° e dell’828° Squadron della Fleet Air Arm di base a Malta. Colpito da un siluro, il piroscafo affondò in pochi minuti, alle ore 3:20, a 28 miglia da Capo Bon.
Autore: Marco I. de Santis