Il sub tuum præsidium è la più antica preghiera mariana. Il testo fu rinvenuto, all’inizio del secolo (scorso), in una località non nota dell’Egitto, su un foglio di papiro, che gli studiosi datano tra il III e il IV secolo (Roberts 1938, pp. 46-47). L’invocazione si rivolge direttamente alla Genitrice di Dio, chiede soccorso e salvezza, domanda rifugio sotto il manto della eùsplagcnía, parola che si traduce in misericordia e sollecitudine, caratteristiche proprie del cuore materno. Alla base della preghiera, considerata privata, c’è un’antica filosofia religiosa, comune a tutti i popoli. La Vergine che ha generato è Madre. Avendo generato Dio, è Madre di Dio. In quanto Vergine e in quanto Madre di Dio, è la più indicata a intercedere presso il Figlio, Luce divina. Il rivolgersi alla Genitrice di Dio è quanto di più umano e di naturale ci possa essere: è in gioco la richiesta di un dono divino. La prima iconografia cristiana del sub tuum præsidium la si trova nella composizione stessa del gruppo regale, la Dei Genitrix e il Logos che Le siede sul grembo. La formula è un passaggio ideologico- figurativo, presente nella sintassi della stessa immagine e nella storia contestuale dell’epoca. Nel momento stesso in cui Maria si presenta quale Genitrice di Dio, Theotòkos, Mater Dei, assume, particolarmente per l’antico Egitto cristiano, il connaturale ruolo di intercessore. Per sant’Ireneo, Maria ha la funzione di advocata presso Dio (Adversus Haereses, V, 17). Questo ideogramma figurativo e plastico, proveniente dall’Egitto, trova più tardi, in tutta l’area mediterranea, uno sviluppo ampio e completo, e si esplicita nella raffigurazione della Deêsis, che compare dapprima sui catini absidali, per passare poi sui portali e sui luoghi di accesso al Sancta Sanctorum (Amato 1982, pp. 601-606). In che cosa consiste la Deêsis? La si può definire, almeno al suo sorgere e per il primo millennio, la preghiera liturgica della Chiesa per l’ottenimento della vita eterna (Amato 1977, pp. 77-79). Si compone principalmente di solo tre figure: il Cristo Signore al centro, seduto su un trono; alla sua destra, la Madre stante; a sinistra, anch’egli in piedi, Giovanni il Prodromo. Parlando del Battista, Gesù aveva detto che non c’era nato da donna più grande di lui (Lc 7, 24-35). La Genitrice di Dio e il Prodromo sono presso il Pantocratore, l’Amico degli uomini, gli intercessori previsti dalla liturgia, i patrocinanti per eccellenza. Sebbene l’iconografia del trittico sia di origine pagana (il re veniva raffigurato tra due intercessori), il linguaggio figurativo cristiano assegnò alla petizione un dato religioso e culturale, specificatamente nuovo: l’intercessione è rivolta per l’ottenimento della vita eterna. Le prime applicazioni iconografiche fanno riferimento ai canoni della Liturgia Eucaristica. In armonia con le esigenze esistenziali della venuta del cristianesimo e con le attese spirituali del III-VI secolo, la Deêsis o invocazione è per la lux aeterna. La scena, posta in area presbiteriale, sul catino, considerato la grotta luminosa, dove si partorisce la vita, e sede del banchetto delle Carni risorte, ha pregnanza escatologica. Nel primo millennio, a chiedere la misericordia imperiale e a sollecitare la luce eterna sono la Genitrix Dei e il Prodromo. A riguardo, risulta interessante l’immagine della Madonna Nicopeia fra santa Elisabetta e sant’Anna, inizio dell’VIII secolo, in Santa Maria Antiqua al Foro Romano, dove le tre Madri, sostenendo i rispettivi figli, creano una duplice triade. Più tardi, nel secondo millennio, quando la Deêsis si allontana dalla liturgia e prende i connotati di immagine devozionale, sarà il titolo della verginità ad avere la meglio; l’orazione sarà per la Vergine Maria e per l’Evangelista Giovanni, l’apostolo vergine. Nei chiostri, sulle labbra dei monaci, risuonerà il canto: O Intemerata. Il requisito della verginità sarà più avvertito, più tenero, più amato di quello della maternità divina. La circostanza verginale, voluta da Dio, prende il sopravvento sul dato teologico della maternità divina. La Genitrix Dei cede il posto alla Mater Misericordiæ. L’iconografia mariana, da aulica e imperiale, si volge lentamente a terrena e densamente umana. Alla fede verso la divinità di Cristo si affianca la meditazione sulla sua umanità dolorante. Si sviluppa l’iconografia del presepe, che vede Maria partecipe del dolore redentivo del Figlio. Nel repertorio iconografico si assiste allo sviluppo dell’immagine di Maria, sotto il cui manto, trattenuto da angeli, si rifugiano i cristiani: papi e re, monaci ed ecclesiastici, nobili e proprietari terrieri, confratelli e flagellanti, poveri e diseredati, uomini e donne. Esemplare è la Madonna della Misericordia, come Ma-donna del Parto, XIV secolo, del Museo della Cattedrale di Pienza, dove sono raccolte in preghiera e sotto il manto della Vergine Madre le differenti categorie sociali. Parri di Spinello (1387-1444) dipinge nel 1437 la Madonna della Misericordia con storie dei santi Lorentino e Pergentino (fig.9), del Museo Statale Medioevale e Moderno di Arezzo: la precisione e l’eleganza del segno puntualizza un’umanità orante. Intanto, il Bambino, che la Vergine sostiene su di un braccio, regge nella mano destra un uccellino, annuncio premonitore di morte. Per il timore, il piccolo si ritrae sotto lo sguardo amoroso della Madre. La mestizia si coglie sui loro volti, aleggia il martirio della croce, di cui Maria ne è partecipe. Dal loro dolore sacrificale nasce la redentiva serenità del popolo di Dio, che invoca. (Amato 1988, pp. 108-109, n. 58). A questo contesto di teologia della sofferenza, appartengono diversi dipinti della Pinacoteca Vaticana, come la Vergine orante davanti al Bambino (inv. MV 40278), databile intorno al 1503, di Bartolomeo Montagna (1450 c.-1523), che vede il Bambino con il pennuto nella mano, e le più sottili rappresentazioni della cosiddetta Madonna dell’umiltà (inv. MV 42139) di Stefano di Giovanni, detto il Sassetta (1400 c.-1450), che pone nei volti dei protagonisti il dramma della vita, e la Vergine Regina con Bambino esposta in mostra. La Vergine fissa lo spettatore e, con la sua sofferenza di madre, invita a guardare il Figlio compreso nel mistero sacrificale. Di sapore ecclesiologico è la famosa Madonna della Misericordia, 1452 di Enguenand Quarton, che conserva il Musée Condé di Chantilly in Francia. La Vergine è immagine della Chiesa e allarga, con le sue mani, il manto sugli oranti in ginocchio: in primo piano, sono il papa e l’imperatore; quindi, i membri della gerarchia ecclesiastica e civile. Accanto ai due committenti, anch’essi in preghiera, si trova il riferimento alla cattedrale di Roma: i santi Giovanni Battista ed Evangelista. Una variante dell’implorazione, dovuta alla coralità di un popolo, è data dalla cosiddetta Madonna degli Angeli (fig.10), 1457-1458, di Benozzo Gozzoli (1420-1497) della chiesa di Santa Maria Assunta di Sermoneta. La Vergine sostiene sulle ginocchia il modellino della cittadina laziale, a significare la protezione (Amato 1988, p. 112, n. 62). Lorenzo d’Alessandro da San Severino (Sanseverino, notizie 1462- Sanseverino, 1503) nella Madonna del Monte (fig.11), opera firmata e datata 1491, pone su una delle due tavole offerte a Maria un paesino delle Marche, il castrum di Caldarola, ripreso nelle sue esatte dimensioni. La Vergine cinge gli offerenti e le offerte con un nastro e pone il suo anello nuziale (si riteneva che l’anello della Vergine fosse conservato a Perugia) nel cesto delle monete auree. Sul dipinto compare l’Ave Maris Stella, inno promosso dal papa francescano Sisto IV (Amato 1991). ———— Bibliografia citata Roberts 1938 C.H. Roberts, Catalogue of the Greek and Latin Papyri in the John Rylands Library, III: Theological and literary Texts, Manchester 1938 Amato 1977 Pietro Amato, Iconografia cristologica in Terra di Bari dall’XI al XIII secolo. Ricerca di storia, arte e spiritualità, Molfetta 1977 Amato 1982 Pietro Amato, L’immagine medioevale della Deêsis. Note orientative, in The Common Christian Roots of the European Nations an International Colloquium in the Vatican, Firenze 1982, pp. 601-606 Amato 1988 Pietro Amato (a cura di), Imago Mariae. Tesori d’arte della civiltà cristiana, catalogo della mostra, Roma, Palazzo Venezia, 20 giugno-2 ottobre 1988, Roma 1988 Amato 1991 Pietro Amato, Lorenzo d’Alessandro. La Madonna del Monte (a. 1491), Tesori d’arte della Terra di Caldarola, Umanesimo e Territorio, Caldarola, Roma 1991.