Scalo di alaggio, questo sconosciuto Tra degrado e contenziosi
Uno dei fiori all’occhiello di Molfetta che lentamente degrada verso il nulla. Un piano di riqualificazione dello scalo di alaggio è stato abbozzato, ma fino ad oggi è rimasto solo sulla carta. Ad esempio, il progetto generale del nuovo porto commerciale (quello della seconda metà degli anni ’80) ne includeva una valorizzazione urbanistica, ma anche il nuovo Piano Regolatore (quello varato nel 2006) prevedeva un avanzamento di 50m nel mare dell’area, con abbattimento dei capannoni e realizzazione di un lungomare che avrebbe dovuto collegare la Banchina Seminario con il Viale dei Crociati. Un’idea faraonica ad oggi impedita non solo dall’inerzia amministrativa, ma anche da situazioni burocratiche molto discutibili. Si aggiunga, poi, la presenza della foresteria, tra le imbarazzanti mostruosità edilizie della gestione azzolliniana degli ultimi 6 anni. Peraltro, anche nel Documento di Rigenerazione Urbana è stata inserita la valorizzazione dei cantieri navali locali: un progetto che sarà realizzato o che si rivelerà l’ennesima una bufala politica, velata di intenti cementificatori? Questa situazione confusionaria, caratterizzata dal lassismo amministrativo, politico e istituzionale, non solo ha accentuato il degrado dell’area, ma ha anche favorito l’increscioso sviluppo di una serie di contrasti tra i proprietari dei vari lotti. Eppure, lo scalo di alaggio (spiaggia “La Maddalena”) conserva ancora oggi un potenziale inespresso a livello occupazioneeconomico e turistico. VALORIZZARE LA ZONA CANTIERI Valorizzare la zona, rendendola anche visibile o accessibile a cittadini e turisti, sarebbe un eccellente modo per “risvegliare” nella gente, che non ha cognizione dell’attività, un interesse che senza dubbio aiuterebbe e sensibilizzerebbe di più per la preservazione di un’attività così importante, non solo dal punto di vista industriale, ma anche e soprattutto per la conservazione della memoria storica e della tradizione. Infatti, nei decenni passati, fino alla crisi del settore marittimo e della cantieristica, le imbarcazioni costruite a Molfetta erano tra le più rinomate in Italia (e non solo). Ancora oggi, Molfetta è una delle poche piazze cantieristiche rimaste a conservare (e preservare) le tecniche per la realizzazione delle imbarcazioni o dei motopesca in legno. Perché il degrado ambientale e lo svilimento dell’attività non sono stati arginati in tempo da un’azione energica dell’amministrazione comunale, che pur aveva programmato una riqualificazione urbanistica dell’area? Tra l’altro, l’abbandono istituzionale dell’area e alcuni particolari e discutibili meccanismi burocratici comunali hanno trasformato lo scalo di alaggio in una zona di trincea. I CONTENZIOSI Secondo indiscrezioni, si sarebbe sviluppato un pesante contenzioso tra tre cantieri navali: il cantiere de Ceglia (di Capurso Silvio&Co. sas), il cantiere Cappelluti e il rimessaggio del Vescovo che, però, pare abbia assunto nel tempo altre differenti forme di denominazione (dall’associazione sportiva al rimessaggio nautico). L’intricata vicenda è iniziata nel 2007 quando il cantiere Cappelluti ha inviato una domanda di occupazione di suolo pubblico (area scoperta con fronte a mare di 51m) alla Capitaneria di Porto di Molfetta, il cui riparto di competenza investiva all’epoca anche il demanio marittimo. Con la Legge n.344/07 le competenze sono passate al Comune e la stessa richiesta di concessione è pervenuta agli uffici comunali che, però, mai l’hanno evasa (nessuna risposta). Nel settembre 2011anche il cantiere de Ceglie ha richiesto al Comune di Molfetta la concessione di occupazione di suolo pubblico: anche in questo caso, la richiesta è stata inevasa, al contrario di quella del rimessaggio del sig. del vescovo. Infatti, dopo la richiesta inviata anche da quest’ultimo, non riuscendo a trovare un accordo tra i tre cantieri, il 21 dicembre 2012 il Comune stesso ha rilasciato una concessione per il del Vescovo, spacciando il tutto per uno (pseudo)accordo tra le parti. In pratica, nella ridefinizione delle aree dello scalo in concessione ai vari cantieri, il Comune di Molfetta avrebbe assegnato al cantiere del Vescovo non solo un’area all’interno dello specchio d’acqua antistante la pedana di ingresso (concessione già di per sé scandalosa), ma anche sulla terraferma, costringendo il cantiere de Ceglia a invadere l’area del vicino, il cantiere Cappelluti. Inevitabili le diatribe burocratiche con denunce e ricorsi vari. Tra l’altro, l’accordo paventato dagli uffici comunali non sarebbe mai stato siglato tra i tre cantieri. Comune di Molfetta indotto in errore? Poche battute per delineare una vicenda intricata, figlia del pressapochismo e dell’inadempienza del Comune di Molfetta che, peraltro, mai ha risposto a una precedente comunicazione del cantiere de Ceglia per la definizione dei confini dell’area di alloggio (inviata alcuni anni prima del contenzioso in atto e della concessione comunale). Per di più, i suoi proprietari sono stati anche accusati non solo di occupazione abusiva di suolo pubblico (senza il dovuto pagamento del canone di concessione), ma anche di non aver ottemperato a una serie di prescrizioni fissate dalla legge. Eppure, se fondate, le accuse dovrebbero essere estese a tutti i proprietari dei vari lotti dello scalo: di sicuro questo innescherebbe una girandola di contenziosi nei confronti del Comune e dei cantieri navali. A questo punto, sarebbe opportuno che gli enti competenti s’impegnassero maggiormente e con reale imparzialità non solo (e non tanto) nella risoluzione di una diatriba che mai aveva interessato l’area, ma anche nell’effettuare i necessari controlli su tutta l’area. È questa una delle vicende da approfondire e sanare il prima possibile.