Ai primi di gennaio del 1924, Giacinto Panunzio e Sergio Azzollini chiesero da Molfetta a Gaetano Salvemini come agire in vista delle elezioni politiche che si sarebbero tenute il 6 aprile. E da Firenze Salvemini rispose il 18 gennaio a Panunzio consigliando di entrare nel Partito socialista unitario di Giacomo Matteotti (fondato dopo la scissione del 1922), come quello più affine a loro (v. lettera in G. Salvemini, Carteggio 1921-1926). Il mese dopo, lo stesso Panunzio comunicò a Salvemini che gli amici del Partito, tra cui il segretario provinciale della Camera del Lavoro di Bari Eugenio Laricchiuta (M. Magno, Galantuomini e proletari in Puglia, Foggia 1984, p.226), gli avevano offerto la candidatura nella lista unitaria della Puglia, dove era stato eletto deputato nel 1919. Salvemini, che dopo quella elezione aveva promesso a sé stesso “di rifuggire per tutto il resto della sua vita da qualunque altra lotta elettorale” ritirandosi come candidato dalle elezioni del maggio 1921 e invitando i suoi elettori a votare per il partito socialista (v. s. Colarizi, Dopoguerra e fascismo in Puglia, Bari 1977, p.104) non accettò l'offerta della candidatura, e motivò il suo rifiuto nella lettera (in Carteggio cit.) che scrisse al Panunzio il 17 febbraio: “Ringrazio con tutto il cuore Laricchiuta, te, gli altri amici della vostra offerta. Ma non posso accettarla perché l'idea di essere deputato mi toglierebbe la pace. Quello non è mestiere per me. Ho fatto la mia esperienza. Perché ricadere dentro daccapo? Sarebbe da parte mia documento di miserabile vanità. Se mi sentissi capace di essere utile al paese per quella via, non mi rifiuterei. Ma sento che col mio carattere mi ammazzerei senza nessun utile risultato per nessuno”. E mentre approvava la decisione anche di Giacinto Panunzio di non accettare candidature per “non ridursi alla fame” (come professore di francese), Salvemini elogiava l'altro amico socialista di Molfetta, Sergio Azzollini, ragioniere, che “più indipendentemente economicamente” del Panunzio, aveva dato “esempio di coraggio” accettando di candidarsi in quel partito socialista unitario nel quale Francesco Picca sconsigliava però Salvemini, uscito dal PSI nel 1911, a rientrare, non ritenendo opportuno in quel momento questo suo atto, che sarebbe stato visto dalla massa come adesione all'accomodamento dei dirigenti del partito ed alla camorra degli organizzati “che neanche con quelle terribili tue scudisciate – scrive il Picca a Salvemini il 21 marzo da Molfetta – sei riuscito a debellare.” (v. lettera in G. Salvemini, Corrispondenze pugliesi, Molfetta 1989). Pur rimasto fuori dal partito, Salvemini a fine mese scriveva a Sergio Azzollini “di apprezzare e di ammirare l'abnegazione” con cui aveva accettata la candidatura politica in un momento così ingrato in cui ciascuno per quanto gli era possibile doveva affermare col voto la propria protesta contro il regime a cui il nostro paese era stato assoggettato dalla violenza armata di una minoranza infima. “Io spero perciò vivamente, caro Azzollini – scrive Salvemini – che tutti quei nostri amici pugliesi, ai quali può giungere la mia esortazione, diano prova ancora una volta della loro fede e della loro tenacia, votando per la lista dei socialisti unitari”. Questa lettera fu pubblicata il 30 marzo 1924 sul quotidiano del Partito socialista “La Giustizia” (ora in G. Salvemini, Corrispondenze pugliesi), dove una nota redazionale evidenziava che l'assenza personale di Salvemini dalla lotta elettorale “non significava l'assenza del suo pensiero e delle sue tradizioni di civili battaglie in Puglia, in omaggio ai princìpi della coerenza, del buon costume politico e della libertà della nazione”. La pubblicazione suscitò la reazione del quotidiano fascista “Il popolo d'Italia”, che il 2 aprile, a firma del Pinturicchio (lo stesso Mussolini), inveì contro “il professore che era sbucato dai suoi nascondigli diramando ai suoi ex elettori di Molfetta un violento quanto bestiale comunicato antifascista” (Medaglioni al cromo. L'ex Gaetano, in Appendice VI a Corrispondenze pugliesi cit.). Nello stesso tempo si era presentato candidato in campo fascista il prof. Sergio Panunzio, fratello maggiore di Giacinto, che insegnava all'Università di Ferrara, dove risiedeva anche, il quale, già per le elezioni del 1921, pur rifiutando l'invito, era stato sollecitato da Mussolini a presentarsi nelle sue liste, sia pure come indipendente (v. S. Nistri de Angelis, Sergio Panunzio, Firenze 1991, p.166). L'anno dopo, Giacinto Panunzio vedeva suo fratello Sergio “(per quanto in buonissima fede) in campo avverso”, e, scrivendo a Salvemini il 16 novembre 1922, si preoccupava “chissà non vada a finire candidato coi fascisti. Egli mi scrive che tiene duro, ma… E' un giovane di fede e che studia, ma ha (non so come) la fisima del Mediterraneo… e dell'ordine.” (v. lettera in Carteggio 1921-1926 cit. p.140). Nel 1924, dopo esservi stato iscritto “d'autorità” da parte dell'amico ferrarese Italo Balbo, Sergio Panunzio accettò di candidarsi per il partito nazionale fascista (v. Nistri De Angelis, cit., p.203). Un esaurimento nervoso impedì, poi, al Panunzio di svolgere la campagna elettorale; ma a questa provvide lo stesso generale Balbo, che inviò al Segretario della Federazione provinciale fascista di Bari, Araldo Di Crollanza, un telegramma, trasmesso dal Prefetto di Ferrara a quello di Bari, in cui, dopo aver detto di aver visitato il comune amico Panunzio e di averlo trovato esaurito a causa del superlavoro al quale si era sottoposto negli ultimi mesi, ed era necessario che riposasse ancora due settimane per rinfrancarsi, “Ti prego – scrive il Balbo al Crollalanza – di dare comunicazione del presente telegramma ai fascisti di Puglia e particolarmente ai fascisti di Molfetta ammonendoli che l'assenza nella lotta elettorale di Sergio Panunzio significherà domani la sua meravigliosa presenza nelle lotte politiche nazionali nel più elevato campo del pensiero”. Intanto i fascisti del Ferrarese salutavano “i fratelli di Puglia” ed erano lieti di augurare loro una grande vittoria che non poteva mancare quando oltre ad altri amici la lista nazionale pugliese contasse il nome di Sergio Panunzio, “filosofo ed economista insigne, precursore del nostro movimento sindacale”. Il testo del telegramma fu reso pubblico a Molfetta con un manifesto del Commissario straordinario al Comune, Colonnello Scherini, dato dal Palazzo di Città in data 1 aprile 1924, nel quale egli aggiunge: “La solidarietà dei fascisti del Ferrarese con quelli di Puglia nell'estimazione del nostro concittadino candidato nella lista ufficiale Prof. Sergio Panunzio e il giudizio di una personalità quale il gen. Italo Balbo su l'uomo che è nostro vanto ed onore tanto e così giustamente apprezzato in tutta Italia e per la sua elevata cultura e per la sua fede di fascista e di sindacalista puro, debbono troncare ogni titubanza ed eccitare tutti perché egli abbia un suffragio degno di lui nella Regione e specialmente a Molfetta, che gli ha dato i natali”. (v. S. Nistri De Angelis, p.223). E appunto con un largo suffragio di 18.247 preferenze (v. F.Cordova, Le origini dei sindacati fascisti (1918 - 1926), Laterza, Bari 1974, p.328), Sergio Panunzio venne eletto deputato, insieme allo stesso Crollalanza, entrambi, per altro, collaboratori della “Gazzetta di Puglia” (Corriere delle Puglie), che sostenne la loro candidatura in un clima intimidatorio e di violenza fascista che i delegati delle opposizioni, tra cui Eugenio Laricchiuta del PSU e Matteo Altomare del PSI, evidenziarono nel documento che notificarono al primo Presidente della Corte d'Appello in smentita alla relazione inviata a Roma del prefetto di Bari intesa a rassicurare il ministro degli Interni sullo svolgimento tranquillo delle elezioni in Puglia (v. S. Colarizi, p.210).
Autore: Pasquale Minervini