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Rispetto dello Stato come massimo regolatore dell'equità sociale Nicolò Azzollini
15 settembre 2003

E' sempre difficile parlare di un uomo che non c'è più, soprattutto se egli è stato un amico e, al contempo, un "Homo publicus". In questo caso tutto diventa più delicato perché risulta più immanente il rischio di confondere gli aspetti di un rapporto personale con la memoria collettiva e generale che quella persona ha lasciato. Diceva Marcantonio commemorando Giulio Cesare nell'omonimo dramma shakespiriano: “Il bene che un uomo ha fatto rimane sepolto con lui”. E forse partendo da questa retorica ma non falsa affermazione che posso provare a divincolarmi dal rischio che ho prima enunciato, cercando, cioè, di ricordare a me stesso e agli altri quanto di buono Beniamino ha fatto. Del suo carattere, della sua scontrosità, del suo modo burbero di fare e di confrontarsi è inutile parlarne più di tanto: era fatto così. Non aveva la pazienza di Carlo Levi o di Rocco Scotellaro, anche perché sapeva che la sua esistenza si svolgeva in un contesto ben più evoluto e dinamico di quello del contadini di Basilicata e che i suoi interlocutori, nelle piazze di Molfetta o nel Consiglio Comunale, avevano bisogno di sentirsi sferzati, stimolati, attaccati per dare il meglio di loro stessi. Tuttavia, penso che il rigore nell'amministrazione del bene pubblico, la tensione nel leggere e nell'approfondire le documentazioni sulle quali assumere posizioni e decisioni, la coerenza nel perseguire gli obbiettivi prefissati siano una parte consistente dell'eredità che egli lascia a chi gli sopravvive: almeno a me è certo. Fui assessore alle finanze, uno dei miei primi incarichi pubblici da me ricoperti , con Beniamino sindaco e verte lezioni di vita, di stile e di comportamento mi hanno insegnato tanto. Egli riuscì ad essere sempre antico e moderno. Seppe dimostrare come i principi della correttezza, del rispetto del bene pubblico, dello spirito di servizio e tutto quanto aveva fatto parte del bagaglio ideologico e culturale del riformismo di inizio secolo potessero risultare moderni, comprensibili anche se, talvolta, destinati a soccombere dinanzi alla prepotenza del Palazzo. Non mollò mai, non abdicò mai ai suoi principi che seppe interpretare in senso dinamico rispetto allo scorrere della storia e degli eventi, capendo quello che andava difeso e quello che andava modificato rispetto al bagaglio che per cultura, per tradizione e per fiducia ideologica aveva ereditato sin da giovane. Egli è vissuto in un'epoca di grandi trasformazioni che si sono realizzate anche grazie all'irrompere sulla scena della storia di quelle genti umili, di quelle classi povere che furono difese ed aiutate a crescere e ad avere fiducia in loro stesse da parte di chi la pensava come Beniamino. Che cosa sarebbero l'Europa e l'Italia oggi se quelle trasformazioni, quei progressi non avessero avuto luogo? Amministratore locale, manager di una delle più grandi aziende nazionali, membro delle Camere e in ognuna di queste esperienze con il rigore, la concretezza e la coerenza di sempre. Secondo me egli diventò uno studioso delle problematiche economiche e finanziarie della pubblica amministrazione perché in quel contesto di interessi culturali e di passione riusciva a ricomporre in modo ed in termini moderni il suo rispetto per lo Stato inteso come massimo regolatore, se efficiente e funzionale, della equità sociale e del progresso generale nel contesto di un reale sistema democratico Per me è stato l'amico ed il maestro di ogni giorno di vita o comunque tale lo ho sentito alla vigilia di scelte importanti ,anche non afferenti il contesto politico, bensì quello umano e professionale. Se ne è andato in silenzio, con dignità, consapevole che per i laici la sopravvivenza rimane nella memoria delle opere, delle battaglie dei valori che hanno segnato la loro esistenza. Nicolò Azzollini
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