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Ripartire dal porto per ricostruire la comunità
15 novembre 2013

Sull’affaire del porto di Molfetta avevamo scritto tanto. Avevamo denunciato, diversi anni fa, la presenza di una quantità enorme di bombe a caricamento speciale, il silenzio delle istituzioni, le dubbie modalità di bonifica, il dirottamento di fondi. Ma non è il tempo di rivendicare la paternità di certe battaglie. È certamente il caso, invece, di denunciare la corresponsabilità della politica rispetto ad uno scempio ambientale che ha coinvolto la salute delle persone e ha distrutto la pesca a Molfetta. Ricordiamo l’occultamento, a tutti i livelli, della presenza dell’iprite a Molfetta, anche da parte di quel Giorgio Assennato, Direttore Generale dell’Arpa, che fino a qualche anno prima era stato il massimo esperto in materia. Oggi ci viene testimoniato un quadro tremendo, un sistema di appropriazione indebita delle risorse che ha fatto del porto un fondo inesauribile a cui attingere per soddisfare appetiti di ogni genere. A discapito non solo della legalità e del rispetto dei fondi pubblici, ma della materialità della vita. Ricordiamo bene la battaglia di Vitantonio Tedesco, che continua a farsi portavoce del disagio dei pescatori molfettesi, afflitti da problemi di salute di ogni genere. Persino la NATO inserì il problema di Molfetta legato alla presenza massiccia di fusti di iprite fra le sei più gravi emergenze ambientali del pianeta. Il logoramento dei fusti esigeva una bonifica immediata, e invece ci si è affrettati a trovare il modo più veloce per aggirare il problema e procedere con un’opera assassina. Oggi siamo chiamati a dare delle risposte politiche al problema, prima che giuridiche. La vicenda del porto non si risolve nell’azione della magistratura, pur necessaria ai fini del ripristino della legalità. Il porto, come si evince dal quadro che sta affiorando dalle intercettazioni, costituiva tutt’altro che un’opera tesa a dare delle risposte ai bisogni della comunità. Gli interessi che lo muovevano erano di carattere assolutamente privatistico, e questo ha stimolato stratagemmi dei più mostruosi. Non possiamo permetterci, allora, di procedere in modo neutrale ad un ripristino “tecnico” dei lavori. La politica deve innanzitutto ripensare la funzione del porto all’interno di un nuovo quadro di interesse generale, che ponga al centro la comunità e le sue priorità. A questo punto la posta in gioco è altissima e chiede alla politica uno sforzo enorme, ben al di là del comodo compiacimento derivante dalla decisione della magistratura. Il passaggio della gestione dei lavori dal comune alla regione deve diventare l’opportunità di una rivoluzione delle ragioni della politica, oltre che la correzione in senso “legalistico” dell’azione governativa. Ci sono a Molfetta dei pescatori che aspettano da anni di essere ascoltati, che manifestano ogni giorno la disperazione derivante da un mare avaro e ostile. C’è un settore che merita di essere sostenuto, e una città che cerca ogni giorno la propria identità. La comunità merita di riappropriarsi degli spazi e di fare di un’opera come il porto il terreno per una progettazione condivisa che sappia costruire le basi della crescita e dello sviluppo della città tutta intera. È da qui che bisogna ripartire, più che dalle rivendicazioni sterili o dall’elogio della tecnica giuridica.

Autore: Giacomo Pisani
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