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Rinnovo contratto ai dirigenti, la figuraccia nazionale di Azzollini: dubbi di legittimità legislativa della delibera Incertezza sull'applicabilità della nuova normativa alle nomine di fiducia. Provvedimento comunale contrario alla spending review: motivazione risibile per il rinnovo. Necessario un parere preventivo del Ministero. Azzollini avvisato della pubblicazione?
25 luglio 2012

MOLFETTA - Una delibera di dubbia legittimità, quella approvata dalla giunta Azzollini per il rinnovo dei contratti di quattro dirigenti comunali, come Quindici ha già spiegato in esclusiva ieri pomeriggio.
Da un punto di vista legislativo, il rinnovo si dovrebbe basare sulle novità introdotte dal Decreto Fiscale dell’aprile 2012 (Legge n.44/12), con l’ampliamento del limite percentuale per il conferimento degli incarichi dirigenziali a termine, conferibili secondo il comma 1 dell’art. 110 del TUELL (per Molfetta il 20% della dotazione organica). Il dubbio di legittimità si pone, però, nell’applicabilità della nuova normativa ai contratti di diritto privato, ovvero a quei dirigenti che hanno ricevuto una nomina politica (di fiducia).
Ad esempio, l’ing. Enzo Balducci (Settore Lavori Pubblici) e il dott. Enzo Roberto Tangari (Settore Demografia-Appalti) sono due funzionari subapicali, collocati in aspettativa senza assegni dal posto d’organico ricoperto. Sono di nomina politica il dott. Giuseppe de Bari (Settore Economico-Finanziario) e il dott. Mimmo Corrieri (Settore Affari Generali): il primo ex consigliere di Forza Italia a Molfetta, il secondo già assessore al Bilancio, Finanze e Programmazione della prima giunta Azzollini, assessore del Pdl detronizzato nel secondo mandato di Azzollini, per la questione delle quote rosa (una nomina dal vago sapore compensativo).
Dunque, l’applicabilità è in discussione per i dirigenti de Bari e Corrieri, ma come Balducci e Tangari, nonostante questa delibera giuntale, potrebbero (e dovrebbero, per buon senso amministrativo) essere detronizzati dalla prossima amministrazione. Questo, però, potrebbe aprire gravissimi contenziosi interni al Comune che ricadrebbero inevitabilmente sui portafogli dei cittadini in un tempo di restrizioni economiche.
Inoltre, il Decreto Fiscale consente un unico rinnovo per gli incarichi dirigenziali a tempo determinato in corso e con scadenza al 31 dicembre solo «con provvedimento motivato volto a dimostrare che il rinnovo sia indispensabile per il corretto svolgimento delle funzioni essenziali degli enti» («a valere sule ordinarie facoltà assunzionali a tempo indeterminato»). Come Quindici ha evidenziato ieri, la giustificazione della delibera è quantomeno ipotetica e risibile, dunque non ha i caratteri di «provvedimento motivato».
Il DPR n. 361/57 e il D.Lgs. n. 533/93 prevedono la cessazione del mandato elettivo del sindaco almeno 180 giorni prima della data di scadenza per l’incompatibilità elettiva delle figure di sindaco-senatore. Siccome il sindaco di Molfetta, Antonio Azzollini, anche senatore e presidente della V Commissione Bilancio in Senato, prevede (con chi?) di candidarsi al Parlamento nelle prossime elezioni politiche del 2013, sarà costretto a dimettersi 6 mesi prima, qualora sia questa la pianificazione politica dei prossimi mesi. Di conseguenza, cesserebbero le funzioni dei dirigenti comunali, il cui incarico è legato al mandato del sindaco: quindi, il Comune «si ritroverebbe privo delle figure dirigenziali con la conseguente impossibilità ad assicurare lo svolgimento delle funzioni essenziali».
Insomma, un vero e proprio artificio politico, perché la candidabilità di Azzollini è per ora una semplice ipotesi che oggi non giustificherebbe in nessun senso il provvedimento giuntale assunto. Che pare sia stato pubblicato sull’albo pretorio senza che Azzollini, emigrato a Roma per adempiere ai suoi affaire romani (ecco i danni del doppio incarico), fosse stato avvisato in anticipo. Infatti, la delibera ha di sicuro frantumato la maggioranza, come Quindici ha già spiegato ieri: una pubblicazione forse forzata, ma di certo voluta e programmata.
Tra l’altro, il provvedimento comunale è contrario alla spending review al varo in Parlamento, ai cui lavori partecipa anche Azzollini come senatore Pdl: la revisione della spesa pubblica potrebbe implicare la riduzione del numero dei dirigenti da 8 a 6 per il Comune di Molfetta, creando non poche difficoltà interne agli uffici comunali dopo la delibera pubblicata ieri, ma approvata il 16 luglio. E probabilmente proprio in vista di questa eventuale riduzione, sono stati affrettati i tempi in Comune.
Infine, è opportuno ricordare che i contratti a tempo determinato devo essere in quantità inferiore al 40% della spesa del personale andato in pensione l’anno precedente (in questo caso nel 2011). E forse il rinnovo dei 4 contratti non solo oltrepassa questa soglia, ma anche quella del 20% fissato per legge.
Sarebbe stato opportuno che l’amministrazione comunale e il senatore Azzollini chiedessero un parere al Ministero del Lavoro o dell’Economia e Finanze per non incappare nell’ennesima figuraccia politica (questa volta pure nazionale), la cui gravità potrebbe accendere su Molfetta anche i lampioni della Magistratura.
 
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Autore: Marcello la Forgia
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Nell'Italia del Seicento, il potere rappresentava l'unica industria redditizia, e quindi la classe che ne deteneva il monopolio non era disposta a rinunciarvi per nessuna ragione al mondo. Negli altri Paesi era ormai cominciata la grande avventura capitalistica e coloniale che offriva larghe e remuneratissime possibilità a chiunque fosse dotato d'iniziativa. Più che a diventar “funzionari”, l'inglese e l'olandese miravano a diventare armatori, a impiantar fabbriche, a impossessarsi dei commerci con l'India o l'Insulindia. Gli stessi spagnoli e portoghesi avevano il grande sbocco dell'America latina, dove c'erano da accaparrare miniere e latifondi. Gl'italiani vivevano in piccoli mondi asfittici e senza sbocchi. Tutta la loro ricchezza era investita in terre che davano scarsi utili. Per integrare questi redditi miserelli,, alle classi privilegiate non restava che scalare qualche pubblico ufficio. La sete del “posto” che caratterizza gl'italiani, specie i meridionali, nacque allora. E allora nacque lo strano concetto che del “posto” hanno gli italiani, non come di un “servizio”, ma come di una greppia o licenza di sfruttamento. Il privilegio si manifestava così: come un titolo, spesso ereditario, all'accaparramento di tutti i pubblici uffici, compresi quelli degli enti caritativi e assistenziali. Coloro che detenevano questa esclusiva la difendevano puntigliosamente da qualsiasi intromissione di estranei. Perfino la gestione dei Monti di Pietà era una privativa di casta. Era questo che rendeva così sclerotica la società italiana e così povera di ricambi. Dal papa al Duca di Mantova, i signorotti che governavano l'Italia erano prigionieri di queste mafie e camorre che col monopolio del potere si tramandavano di padre in figlio il diritto di abusarne. Ed ecco perché le loro personali tare e deficienze erano più catastrofiche di quanto non fossero là dove si poteva attingere ad altri serbatoi, e specialmente a quelli della cultura e della tecnica. Regimi politici illuminati e amministrazioni oculate avrebbero potuto benissimo ovviare al malanno razionalizzando le attività produttive, cioè apportandovi migliorie tecniche che rendessero meno grave la penuria di braccia, come facevano l'Inghilterra e l'Olanda, già diventate patrie della tecnica. Ma questo non era il caso di un Paese che, tappava la bocca a Galileo............Com'è l'Italia 2012?

Lo stato ha perso ogni autonomia nei confronti dei partiti, è diventato il terreno della loro conquista o della loro occupazione, il luogo dove essi possono prosperare, lo strumento attraverso il quale possono agire. Le attività pubbliche hanno cessato di essere tali e sono diventate attività dei partiti che hanno occupato lo stato. L'imparzialità delle funzioni pubbliche hanno ceduto il posto all'interesse di partito. I cittadini che vogliano in qualche modo proteggersi da questi nuovi principi o vogliano approfittare dei loro favori non hanno che da arruolarsi presso quelli che reputino più potenti. I cittadini , da uomini liberi, si trasformano in clienti dei partiti. Così si assiste a questa paradossale situazione: mai forse come in questo momento coesistono il più radicale disprezzo verso i partiti e la loro più estesa ramificazione nella società. Inoltre, mai come ora c'è una dissociazione tra gli ideali proclamati sulla carta dei singoli partiti e gli interessi reali dei suoi sostenitori; mai come ora è indispensabile per i partiti essere al potere per elargire favori e protezione (attraverso il cosiddetto sottogoverno); mai come ora i partiti al governo sono litigiosi tra loro per assicurarsi il massimo di presenza nello stato, fatto letteralmente a brandelli da questa concorrenza spietata, pur tra “alleati”. La cinica massima “il potere logora chi non ce l'ha” non è solo una battuta di spirito ma esprime questa realtà profonda della partitocrazia: i partiti sono tanto più forti in quanto gestiscono potere e tanto più potere gestiscono tanto più divengono forti (e l'inverso vale per i partiti che, dall'opposizione, non partecipano). Secondo i principi della democrazia il potere dovrebbe progressivamente logorare i governanti, a vantaggio delle opposizioni, favorendo la sostituzione dei primi con le seconde e quindi l'alternanza al potere. Secondo la nuova regola della partitocrazia, invece, il potere alimenta se stesso: guai dunque esserne privati anche solo per un momento, poiché si rischia di scomparire per sempre.

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