Ricercatrice universitaria punta i riflettori sul dialetto di Molfetta
Se ne è parlato in un incontro promosso dall'Associazione Molfettesi nel Mondo
MOLFETTA – Oltre settanta nostri concittadini, di età compresa tra 18 e 70 anni, si sono messi in gioco e hanno deciso di collaborare alla ricerca di Federica Breimaier, specializzata in psicolinguistica e dottoranda presso l’Università di Zurigo, impegnata in uno studio sul dialetto molfettese.
Se ne è parlato in un incontro promosso dall’Associazione Molfettesi nel Mondo “Rodolfo Caputi” – APS, trasmesso anche in diretta Facebook per i tanti residenti all’estero che, in alcuni casi, incuranti della levataccia (a seconda del fuso orario) hanno voluto seguire l’interessante confronto.
Angela Amato, moderatrice dell’incontro, ha voluto citare, tra i tanti, il gruppo “Sons of Molfetta” (figli di Molfetta) che, ad Adelaide, producono video in cui si insegna il dialetto molfettese, trasmettendo alle nuove generazioni l’identità molfettese sia attraverso la lingua sia attraverso le tradizioni gastronomiche, religiose e folcloristiche della nostra città.
La giovane ricercatrice ha coinvolto gli intervenuti nel dialogo, riuscendo a far comprendere l’importanza del suo complesso lavoro.
La ricerca, come ha spiegato la dottoressa Berimaier, è partita da un articolo del 1917, del linguista e dialettologo Clemente Merlo, in cui si analizzavano alcune caratteristiche del nostro dialetto.
L’obiettivo dello studio, avviato invece nel 2018, era confrontare quanto le asserzioni dell’articolo fossero ancora valide e come il nostro dialetto sia cambiato.
Perché focalizzare l’attenzione proprio sul dialetto molfettese? Per le sue particolarità.
Come la maggior parte dei dialetti italiani, deriva dal latino e, proprio come il latino, oltre ai generi maschile e femminile, presenta il genere neutro, caratterizzato dall’uso dell’articolo “r”. Il dialetto molfettese conservativo (quello più tradizione), dunque, presenta tre articoli e tre dimostrativi (maschile, femminile e neutro) anche se si osservano delle “oscillazioni”: il maschile, pian piano, si sta soppiantando il neutro.
«Quello di Molfetta è un dialetto vivo, non eccessivamente schiacciato dall’italiano – ha affermato la dottoressa Berimaier – esiste una gioventù che lo sta parlando».
E, ovviamente, il modo migliore per tenere in vita il dialetto (o una qualunque lingua) è parlarlo.
In tema con la serata si è rivelato l’intervento di Giacomo Ciccolella, cultore del nostro dialetto, il quale ha proposto una sua poesia intitolata “U’ petresàiene”.
Il sindaco Tommaso Minervini ha sottolineato quanto sia impegnativo condurre uno studio per ben cinque anni e ha auspicato che tale esempio possa far riscoprire il gusto e la fatica della ricerca. Ha poi indicato la dottoressa Berimaier quale esempio della generazione di giovani europei che sono «punto di forza del futuro, giovani che viaggiano, acquisiscono competenze, intrecciano saperi e tornano alle origini del linguaggio».
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Autore: Isabella de Pinto