Reset in casa Pdl dopo le dimissioni di Mezzina dall'Asm
Che le dimissioni del Presidente dell’Asm Giovanni Mezzina non fossero solo il frutto di una convulsa riunione del CdA e, quindi, non riguardassero solo una lotta di potere intestina all’azienda, infervoratasi anche per le commistioni gestionali tra livello tecnico e amministrativo (come denunciato dallo stesso Mezzina nell’intervista a caldo rilasciata a Quindici subito dopo le dimissioni e pubblicata sul numero di gennaio), lo si era già intuito. Quel “tappo saltato all’improvviso” tra Natale e Capodanno, che in un primo momento sembrava un fulmine a ciel sereno, potrebbe essere anche il primo tangibile risultato di una manovra politica a tenaglia, di più vaste proporzioni, iniziata già da tempo. Infatti, nei “buoni” propositi del sindaco senatore Antonio Azzollini quella poltrona doveva nuovamente “rientrare in gioco” e per l’ennesima volta riassettare i precari equilibri in casa Pdl. Non solo, Mezzina avrebbe voluto anche esercitare a pieno le proprie prerogative di presidente. Atteggiamento in aperto contrasto con l’ottica accentratrice di Azzollini, che preferisce amministratori di facciata, succubi e supini, che non lo oscurino in alcun modo e badino, soprattutto, a scaldare la sedia, beccarsi lo stipendio e lasciar fare tutto a tecnici fiduciari “a scavalco” dei ruoli istituzionali. In questo modo, si tutelano dirigenti privi di responsabilità politica o amministrativa, non eletti da nessuno, ma semplici “nominati” che hanno, invece, un potere che deborda dalle loro funzioni, derivato direttamente dal capo, fenomeno già registrato in campo urbanistico. In questo “comparto” tutti hanno compreso - e la Magistratura ha squarciato un velo incredibile su questo particolare asset di potere - chi fosse in realtà l’uomo forte, tra il dirigente e l’assessore al ramo, e chi godesse a pieno della totale fiducia del capo. Epiche le discussioni, di cui ci è giunta voce. Anche l’Asm ha risentito e risente di questo tipo di incesti amministrativi. Secondo indiscrezioni, Azzollini avrebbe già da tempo messo in cantiere la nomina a presidente dell’Asm di Saverio Tammacco, in cambio delle sue dimissioni da consigliere provinciale, per favorire l’attuale segretario del Pdl, Pasquale Mancini, suo pupillo, reduce dalla bocciatura provinciale, come primo dei non eletti nella lista Pdl. Così facendo, Azzollini riuscirebbe nell’impresa di accontentare “due piccioni di grosso calibro con una fava”. L’operazione di assestamento del gruppo di potere azzoliniano si concluderebbe con l’investitura dell’attuale presidente del Consiglio Comunale, Nicola Camporeale, a candidato sindaco, essendosi tra l’altro esaurite sul nascere le flebili velleità di altro pretendente al trono virtuale (in caso di vittoria anche lì devono stare zitti, a cuccia e percepire solo lo stipendio, lasciando far tutto al futuro vicesindaco con i super poteri, lui stesso in pratica), l’attuale assessore alla Socialità Luigi Roselli, forse ritenuto dal cerchio magico “inadeguato” al compito di avatar azzolliniano nel Palazzo di Città. È evidente che la permanenza di Mezzina alla presidenza Asm era di ostacolo a questa manovra politica. Tra l’altro, i più ritengono che illo tempore Azzollini avesse propeso per la nomina di Mezzina anche per liberarsi di una figura scomoda in Consiglio comunale, che aveva già dato segni di palese irrequietezza quando, dopo un altro traumatico dimissionamento, quello di Francesco Nappi, Mancini era stato nominato presidente Asm. Quest’ultimo, pur ligio da sempre al capo e ai diktat del “cerchio magico azzoliniano” (che non ha nulla da invidiare a quello bossiano), non aveva del tutto gradito quella nomina, anche per palese insofferenza personale con alcuni dirigenti interni all’azienda che lo aveva già visto, in passato, amministratore. Infatti, durante l’amministrazione Tommaso Minervini, Mancini ricoprì l’incarico di membro del CdA e di vicepresidente, facente funzioni di presidente, dopo il siluramento improvviso di Giovanni Annese, l’8 settembre 2005, in piena festa patronale. Siluramento che si vociferò essere il frutto di una “delazione” proprio di uno di questi dirigenti fiduciari e di cui il Mancini già conosceva le “precipue peculiarità”. Quindi, non aveva fatto mistero che aveva interesse a passare il testimone, già appena insediatosi, come fosse seduto sui carboni ardenti, con altro - a questo punto possiamo dirlo - “agnello sacrificale”. Se Mezzina non si fosse dimesso, sarebbe stato dimissionato: su questo, oramai non dovrebbero esserci più dubbi, anche di fronte alle numerose indiscrezioni. Non sappiamo fino a che punto, però, il consigliere provinciale Tammacco, persona di sicuro “fiuto” politico, sia consapevole del fatto che l’Asm nell’ottica della “governance azzoliniana” sia stata in questi 10 anni una specie di “fossa dell’agonia”, dove “si mandano a morire” gli “animali malati” di eccessivo protagonismo in previsione della loro definitiva “tumulazione” politica. Sistemate le posizioni interne all’Asm (anche con la prorogatio a vita di alcuni tecnici fedelissimi), accontentati i “cavalli di razza”, rimossi quelli meno controllabili (attraverso il tritacarne Asm), restano alla corda gli “esterni”: l’attuale vicesindaco Pietro Uva, che non aveva fatto mistero in caso di ennesima bocciatura della propria candidatura di uscire dal polo azzoliniano (salvo poi farlo per davvero) e l’attuale assessore ai lavori pubblici Mariano Caputo (MPA), i cui pareri, nella qualità di leader delle altre due formazioni politiche alleate al PDL, sono stati ritenuti tamquam non esset.