Religioso… silenzio di Maria Addamiano
La metafora del mondo tramutato in “sacrario”, per effetto di una poesia che sappia riscoprire la fulgente bellezza celata nel creato, è sicuramente una delle chiavi di volta per accedere ai versi di Religioso… silenzio, nuova silloge di Maria Addamiano (dell’autrice è anche il suggestivo dipinto in copertina), edita nel giugno 2013 per i tipi di Res Nova. A fungere da duplice accessus all’opera una dotta e raffinata presentazione della docente e scrittrice Jole de Pinto (Autenticità della poesia di Maria Addamiano), che coglie nelle liriche dell’autrice lo “specchio della levità disarmante dell’interiorità della poetessa”, e una nota del critico d’arte Elvira Santoro. Quest’ultima ci dona l’immagine di Maria, “donnina del vento” e delle “favole”, che “aspetta seduta che il vento le porti il profumo e il sorriso del giorno”. La näiveté apparente della produzione dell’Addamiano è dunque traduzione della sua attitudine allo sguardo incantato, della sua capacità di cogliere, in rosari di giorni che si susseguono all’insegna del grigiore, un segno della presenza divina, una sfumatura di “blu oltremare”, una scintilla d’eternità. Il silenzio è un nume per la scrittrice; lo invocava già nel titolo della sua prima raccolta (Dell’amore… il silenzio). È lo stato in cui tacciono le “piogge flagellatrici” e si fa strada una contemplazione/preghiera che salverà i nostri giorni dal buio, perché solo in essa potrà scaturire la scintilla dell’amore. “Verrà l’amore / e accenderà / il mio buio”. Il silenzio attutisce e trasfigura: ingenera apologhi di treni stanchi all’Argilli; canta la fiaba dolceamara di una regina mela destinata a soccombere, ma senza troppi sdilinquimenti drammatici, ai meccanismi che regolano il mondo; riscrive il dramma dell’emigrazione, perché a condurre un ragazzo spaventato in terre forse ostili è la “mano di una fata”. Il silenzio diviene dialogo incessante e gli interlocutori variano: si susseguono canti d’augurio per il grembo che si carica di magica attesa; versi d’amore di cui un neocrepuscolarismo delicato esalta la dimensione della quotidianità; dialoghi con la luna, con il creato e con Dio, all’insegna di una fede mai doma nella ricerca dell’Assoluto. E questa volta, rispetto alla precedente raccolta, fa capolino anche un barlume di riflessione metaletteraria, nelle frequenti apostrofi alla poesia. È una Musa tenuis quella che intreccia, con le bellezze dell’universo, infinite carole per l’Addamiano. La scrittrice le attribuisce il potere di “maga guaritrice”, ma al contempo la pennella quasi come massaia, il cui compito è “asciugare” al sole i panni dell’autrice, “così che leggera / sulle tue ali / io possa inebriarmi / d’infinito”. L’esistere del mondo si dipana nel caos e, come scrive la poetessa in uno dei versi più delicati dell’intera raccolta, la bellezza a volte è come “un fiore / che s’apre / sotto un tappeto d’ortiche / e nessuno vede”. Rivelarne l’esistenza è dunque la funzione della Musa, a cui Maria si affida con la stessa fiducia che nutre nel Signore, per lasciarsi trasportare, ma dolcemente, in un infinito amico.
Autore: Gianni Antonio Palumbo