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Regalo speciale per i lettori di Quindici Molfetta: il libro “Affondi” del direttore Felice de Sanctis con la rivista in edicola Distribuzione limitata fino ad esaurimento delle copie. Copertina dell'artista molfettese Marisa Carabellese, prefazione della giornalista Concita De Gregorio e vignette di Michelangelo Manente
17 maggio 2015

MOLFETTA – Un regalo speciale ai lettori di “Quindici” con il numero della rivista di maggio in edicola. Torna dopo 10 anni, in omaggio ai suoi Lettori e agli Abbonati di “Quindici”, il nuovo libro “Affondi” (nella foto, la copertina) che raccoglie i nuovi, ultimi editoriali e articoli di fondo del direttore Felice de Sanctis, un giornalista scomodo e fuori dal coro, che va "a fondo" nei problemi della città, anche "affondando" il bisturi nelle piaghe del paese, nel tentativo di rimuovere quella cancrena che impedisce lo sviluppo.

Un modo per celebrare i vent’anni della rivista leader del territorio, per professionalità, qualità e libertà. Ma anche un modo per raccontare attraverso gli editoriali di “Quindici” la storia politica, economica, sociale di Molfetta degli ul­timi 10 anni attraverso gli editoriali di "Quin­dici". Attraverso la penna caustica e pungente del direttore potremo, perciò, ripercorrere le tappe della trasformazione della città: una ri­flessione sul passato, sugli errori, sulle occasioni mancate, sul­le false promesse e una finestra sul futuro: la strada per lo sviluppo e il rilancio prima che sia troppo tardi.
Il volume è ben più corposo del precedente pubblicato 10 anni fa: sono state necessarie ben 350 pagine per raccontare tutti gli scandali degli ultimi anni, da quello edilizio a quello del porto, con arresti e sequestri che hanno diffuso un’immagine negativa di Molfetta in tutt’Italia.

“Affondi” è, però, un atto di amore di un giornalista coraggioso verso la sua città che rischia il declino, ma che Felice de Sanctis vorreb­be veder crescere e svilupparsi, avendo essa tante potenziali­tà rimaste inespresse, per colpa di scelte sbagliate e di alcuni uomini che non sono riusciti a guidarla lungo il percorso giu­sto che superasse le individualità, per farsi interesse colletti­vo. Ed è un atto di speranza di cambiamento affidato alla nuova classe politica e alla giovane sindaco Paola Natalicchio, cresciuta proprio nella redazione di “Quindici” e che va sostenuta per il suo impegno senza interessi e senza condizionamenti.

La copertina del libro è di una nota e apprezzata artista molfettese Marisa Carabellese, mentre la prefazione è affidata a una grande firma, la famosa scrit­trice e giornalista di “Repubblica” Concita De Gregorio. Il volume, edito da “Quindici”, è arricchito dalle vignette a colori di Michelangelo Manente che ripercorrono anch'esse in chiave ironica la sto­ria della città.

Una strenna da non perdere, in omaggio con il numero di maggio di "Quindici", da chiedere alla vostra edicola. Gli abbonati, invece, potranno ritirarlo utilizzando e compilando il coupon allegato a questo numero, dalla libreria “Il Ghigno” in via G. Salepico, 47 oppure dalla redazione di “Quindici” al Viale Pio XI, 11/A5, previo appuntamento telefonico al n. 345.7127779.
Il libro sarà allegato solo a questo numero di maggio. Dopo potrà essere acquistato, al prezzo simbolico di 5 euro, sempre dalla Libreria “Il Ghigno”.
Affrettatevi a chiederlo al vostro edicolante: la distribuzione del libro è in numero limitato fino ad esaurimento delle copie.

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Leggendo in giro e in largo tutto quello che si scrive, quasi chiunque ha nel taschino della giacca un progetto per trasformare il mondo. Siamo in presenza di una sorta di democratizzazione di Zarathustra. Ci sono i manager- Zarathustra, gli Zarathustra della scienza, gli Zarathustra dei ripensamenti e delle riconversioni ecologiche, forse perfino degli Zarathustra femministi. Basta aprire un qualsiasi quotidiano, una pagina x di una testata x. Lo spirito della sovversione si aggira dappertutto come un fantasma. Tutto deve essere rivoltato, in un senso o nell'altro. Non si sente dire altro che il mondo non sa più da che parte girarsi, che si va avanti così, questo o quell'altro è destinato al collasso. Nell'anno 2000 e qualcosa, per questa o quella ragione – potremo scegliere, per ora tra una delle seguenti sciagure: “esplosione demografica”, “catastrofe climatica” “estinzione della specie in pericolo”, “ buco dell'ozono”, “inquinamento dei generi alimentari”, “capitalismo puro”, e chi più ne ha più ne metta – si verificherà questo o quel disastro. Il risultato? Sconforto, paure. La coscienza del pericolo dà autorità, rende gli uomini super-uomini. Il relatore annuncia le cose ultime, e con esse si trastulla, nella voluttuosa consapevolezza dell'imminente rovina; poi, con un sublime voltafaccia, apre piccolissime scappatoie, che però vengono immediatamente richiuse da una raffinata disperazione. Alla fine, quando anche le ultime scintille di speranza si sono spente, egli ci serve, con uno charme sadico, una piccola crestina di panna di speranza. Alle pretese del catastrofismo la gente risponde nei modi più diversi. Sicuramente, la reazione più frequente è quella che consiste nel ripararsi dalle possibili infiltrazioni: alle notizie di catastrofi, la gente cerca di ripararsi come farebbe con una grandinata in piena estate. Al cospetto di una fine inevitabile ci si crea una sorta di pellicola di indifferenza in grado di proteggere dalle notizie più orribili come una pelle di coccodrillo. Accanto a questa possibilità, adattarsi a un ambiente catastrofico esiste un'altra possibilità di reazione, che si potrebbe classificare come una normalissima schizofrenia: tutti quelli che nello spirito si sono convertiti all'ecologia ma agiscono come un gruppo industriale chimico ambulante. Poi ci sono i furbi, quelli che già da tempo hanno mangiato lo foglia: dove ci sono dei rischi affluiscono i finanziamenti; rischi ben documentati sono quasi assegni in bianco della mano pubblica. Qui c'è bisogno di aiuto, costi quel che costi. I deserti, proprio quando sono stati creati dagli uomini, fanno presto a trasformarsi in fonti di denaro. Naturalmente ci sono anche i riformatori. Essi vivono della catastrofe. L'allarme rosso incomincia a lampeggiare quando i notiziari annunciano che forse la catastrofe non ci sarà. In questo caso, la vera catastrofe diventa la catastrofe mancata.
Viviamo un conflitto generazionale ma non abbiamo a che fare con una caduta dei valori, ma con un conflitto tra valori, tra due concezioni diverse, per stile e per contenuto, della società, della politica e della democrazia. Coloro che si lamentano della caduta dei valori, commettono in realtà un pericoloso peccato di presunzione. Dal piedistallo delle loro convinzioni, deplorano l'ingratitudine della società e dei giovani, che non vogliono riconoscere la straordinaria efficienza delle nostre istituzioni e dei loro capi. D'altra parte, molti giovani – anche se, trattandosi di figli della libertà, bisogna essere cauti a generalizzare - vengono posti di fronte a un contesto globale con problemi completamente nuovi – e questo vale sia in grande sia in piccolo, tanto per la loro vita quotidiana quanto per la società globale-, a cui gli adulti e le loro istituzioni non sanno dare delle risposte, in quanto non hanno compreso la situazione e non sono quindi in grado di prendere sul serio le questioni che essa pone. I figli della libertà devono confrontarsi con un mondo che non è più diviso in due schieramenti avversi, ma è comunque pieno di spaccature, di crepe, e di fenditure tra le quali nessuno è più in grado di destreggiarsi. Il futuro è divenuto multidimensionale, i paradigmi interpretativi delle generazioni precedenti non riescono più a far presa. Gli enigmi senza risposta si moltiplicano, e le stesse soluzioni a uno sguardo più attento si rivelano gravide di questioni irrisolte. Quello che stupisce non è tanto che il lamento dei conservatori sulla presunta caduta dei valori non colga nel segno, ma che esso ci impedisca di vedere le fonti e i movimenti da cui potrebbero emergere la disponibilità ad affrontare i problemi del futuro. Se non estenderemo e non rafforzeremo la libertà politica, e la società dei cittadini che ne costituisce la forma sociale, in futuro non funzionerà più nulla. Il vecchio e apparentemente paradigma “più reddito, più carriera, più consumo dimostrativo” si dissolve, e al suo posto si fa avanti una nuova gerarchia di priorità, spesso assai difficile da decifrare, in cui tuttavia il valore immateriale della qualità della vita gioca un ruola di primissimo piano. Che una maggiore disponibilità di “tempo per se stessi” conta più di un reddito elevato o di una carriera brillante, in quanto il tempo è la chiave di un accesso ai tesori dell'”epoca della propria vita: conversazione, amicizia, autonomia, simpatia, divertimento ecc.. Il mutamento dei valori sta facendo crescere la tolleranza nei confronti dei “diversi” e dei gruppi sociali marginali, siano essi stranieri, omosessuali (vedi il recente referendum in Irlanda), handicappati o soggetti socialmente svantaggiati. Quest'epoca, in cui la società mondiale irrompe nella “propria vita” del singolo generando insicurezza, trova proprio nella deprecata “decadenza” dei vecchi valori la disponibilità ad accogliere l'altro, una disponibilità da cui si origina il miracolo nuovo.



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