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Racket e import-export della prostituzione, blitz dei carabinieri: 13 arresti A capo di questa "holding" una donna
31 maggio 2007

ANDRIA - Storie di violenza, privazione della dignità, tortura fisica e psicologica perpetrata nei confronti di donne, in molti casi poco piu' che ragazzine, che hanno come unica colpa di aver creduto alla persona sbagliata quando hanno pensato di poter cambiare vita e cercare fortuna nel nostro paese. Questo, lo sfondo di una squallida storia di donne "trafficate" che, ieri, grazie ad una brillante operazione dei carabinieri della compagnia di Andria, sono state "liberate" dalla schiavitu' della violenza e dello sfruttamento sessuale. Ma stavolta, a capo di questa holding della violenza c'era una donna, rumena come loro, che gestiva il terribile mercimonio senza il benche' minimo scrupolo. Si trattava di donne venute dalla Romania, alla ricerca di condizioni di vita piu' umane e dignitose. Ad attenderle pero', c'era lei, il capo, la maitresse che insieme al suo compagno (anche lui rumeno), controllavano e gestivano il malaffare. Una chiave di lettura ancor piu' raccapricciante se si pensa ad una donna che sfrutta altre donne: un' immagine che pero', negli ultimi tempi, sta avanzando prepotentemente nel supermercato del sesso a pagamento. Oltre che nel controllo, la "protettrice" rumena, aveva un ruolo fondamentale nella fase di reclutamento nel paese d'origine. L'esca era la prospettiva di un lavoro, soldi finalmente e mai più quella povertà tanto sofferta. Le ragazze erano schiave e come tali venivano considerate in ogni momento della loro giornata. Per questo era naturale e funzionale la violenza nei loro confronti ed il controllo di ogni momento della loro vita. Se si infrangeva o si ostacolava il sistema di controllo scattavano le punizioni. Si subiva una pena violenta innanzitutto perché non si rispettavano gli ordini impartiti dal padrone. Questa notte il blitz dei carabinieri: Tredici ordinanze da eseguire - tre donne liberate dalla schiavitu'– un centinaio di espulsioni – numerosi casi di sfruttamento accertati nel corso delle indagini, con una ventina di arresti in flagranza. E' questo il bilancio dell'operazione “Alina”, nome in codice di una delle tre donne rumene che, dopo essere stata portata in località protetta, ha maggiormente collaborato con i carabinieri, svelando i retroscena di fenomeni criminali inquietanti e diffusi nella nuova provincia pugliese, il cui comune denominatore era lo sfruttamento dell'essere umano che andava dalla prostituzione al lavoro disumano nei campi (l'operazione era passata sotto silenzio per ragioni di riservatezza investigativa). Le indagini erano state avviate dopo la denuncia di un agricoltore che si era rifiutato di pagare una tangente di 30.000,00 euro, subendo il taglio di 150 alberi di ulivo. Da qui sono partiti i carabinieri che hanno scoperto un'organizzazione criminale composta da cittadini rumeni ed italiani, operante in perfetta simbiosi nel nordbarese. I primi, con la falsa promessa di un lavoro sicuro, convincevano i loro connazionali ad emigrare. Una volta giunti ad Andria a bordo di autovetture o di autobus, sotto l'occhio vigile di un membro dell'associazione, venivano avviati al lavoro nero nelle campagne ed in alcune aziende della zona. Ad attenderli anche cittadini italiani, che mettevano a disposizione abitazioni costringendoli a versare il “canone” per il posto letto, insieme ad una decina di connazionali per stanza. La paga derivante dal loro lavoro, così come i proventi della prostituzione, entravano nelle casse degli sfruttatori. Maniere forti per indurre le donne alla prostituzione: minacce, lesioni, sottrazione del passaporto ecc.. Sullo sfondo anche furti ed altri reati contro il patrimonio, consumati dagli italiani che si sono avvalsi della manovalanza di clandestini rumeni. In provincia di Firenze, un pregiudicato andriese membro dell'organizzazione, durante la consumazione di un furto, è precipitato dal capannone industriale sul quale era salito decedendo qualche giorno dopo. Tra gli arrestati anche Riccardo Quacquarelli classe 1946 con alle spalle gravissimi reati. Definito la “mente” del sequestro dell'imprenditore Nicola Abrusci, avvenuto nel 1978 nel sud-barese, con la complicità di siciliani e calabresi. Condannato a 26 anni ne aveva scontato poco più di 17 e mentre beneficiava dell'indulto organizzava il racket.
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