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Quelli che le elezioni... Viaggio nei quartier generale dei due schieramenti in attesa dei risultati
15 maggio 2001

Domenica 13 maggio, cosiddetto election-day: è notte inoltrata quando uno dei tre telefoni installati nel comitato elettorale dell’Ulivo spegne il nervoso cicaleccio che riempe il locale e lascia in sottofondo gli altalenanti exitpoll della tivvù. Collaboratori, amici, ex assessori, volontari della campagna elettorale, tutti con gli occhi fissi su quel telefono. I primi risultati ad arrivare sono quelli delle sezioni di fuori città e non sembrano preludere, però, a niente di buono. L’aria si fa più pesante e satura di tensione, i telefoni continuano a squillare e ben presto questa lascia il posto a una sconcertata delusione. Non se lo era aspettato, Guglielmo Minervini. Nome e volto conosciuti anche al di là delle mura cittadine, responsabile regionale de “I democratici”, candidato in un collegio senatoriale che da sempre ha sfornato parlamentari di centrosinistra (l’ultima volta toccò ad Ayala che la spuntò proprio sullo stesso Azzollini, poi all’epoca ripescato), il due volte sindaco di Molfetta davvero faceva fatica a mandar giù quei numeri che così nettamente tratteggiavano la sua débacle. Non parlava nemmeno, l’ex primo cittadino molfettese. Forse ripensava a qualche ora prima quando durante una cena l’altra candidata ulivista (alla Camera), Rosanna Moroni, gli aveva quasi fatto in anticipo le congratulazioni per la sicura vittoria. O forse pensava a Ruvo, unica enclave del collegio a sventolare il suo vessillo. O, chissà, forse rimpiangeva quei voti targati Bertinotti o magari quelli dipietristi che in circostanze politiche diverse quantomeno gli avrebbero consentito di sperare in un ripescaggio che in quel momento, invece, appariva troppo lontano. L’orologio segnava le tre quando, accompagnato dalla moglie, ha lasciato il comitato inseguito da un corale e commosso applauso. Stesso momento, diverso angolo della città, altri applausi. Ma nel comitato elettorale berlusconiano (in piazza Cappuccini), le urla festanti del riconfermato senatore Antonio Azzollini erano più forti degli stessi applausi. Voce arrochita dall’euforia, capelli arruffati, sguardo stinto dalla notte insonne e dalla overdose di emozioni, cravatta allentata e l’odiato abito messo a dura prova dagli abbracci dei suoi fans: così appariva l’unico parlamentare molfettese a poche ore dalla consacrazione elettorale. E a chi, in coda per una stretta di mano gli chiedeva del suo avversario, lui rispondeva: “A casa. A lavorare”. Il day-after elettorale, poi, ha riproposto lo stesso copione. Più o meno già scontato. In ballo, questa volta, il nome del nuovo sindaco. Nel primo pomeriggio di Lunedì 14, a pochi minuti dall’avvio dello spoglio elettorale, Tommaso Minervini lo si incontrava rintanato nel suo quartier generale di via Rattazzi ipnotizzato dallo schermo di un computer portatile e in compagnia del suo ristrettissimo entourage. Sull’altro fronte, in via ten. Ragno, l’aria disincantata dell’altro candidato sindaco, Nino Sallustio, si sovrapponeva alla rabbia mista a preoccupazione dei tanti che affollavano il comitato commentando la sconfitta di Guglielmo Minervini e prefigurando un futuro a tinte fosche per la città. Del resto, dopo la batosta della notte prima era difficile credere a un miracolo e sono bastati tre o quattro telefonate da altrettante sezioni elettorali e il computer che già indicava uno svantaggio di migliaia di voti per realizzare che non ci si poteva nemmeno aggrappare al ballottaggio. Ed è stato così che fra una telefonata e l’altra Sallustio si è lasciato tentare da un trancio di focaccia: “ho bisogno di molte energie per prepararmi a fare l’opposizione” ha detto sorridendo senza troppo scherzare. Ed è arrivata sera. Le percentuali si son fatte definitive. E mentre Nino Sallustio lo si rivedeva in tivvù intervistato da una rete locale, un fin troppo composto e pacato Tommaso Minervini - come se nessuno gli avesse detto di essere diventato sindaco - nell’ovattato e patinato stanzone di via Rattazzi - riempitosi nel frattempo di giacche e cravatte - faceva gli onori di casa a un improbabile Antonio Matarrese. Mentre qualcuno si lasciava scappare un ironico “forza Bari!”. Cosimo de Gioia
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