Primarie del centrosinistra: contrastata vittoria di Lillino di Gioia
Nel centrosinistra si trova ora solo chi “l'aveva detto”, che le primarie sarebbero finite così. Ma partiamo dai fatti.
I numeri dicono in maniera inequivocabile che Lillino di Gioia, con 2.574 voti, è il candidato più suffragato, su Mino Salvemini, secondo con 1.405 voti, Cosimo Altomare, 1.390, e Vito Copertino, che ha ottenuto 894 voti.
Il dato più interessante è forse quello dell'affluenza. Domenica 4 dicembre hanno votato 6.286 cittadini.
Per fare un raffronto, furono in 1.819, lo scorso 16 gennaio, a partecipare alle primarie per la scelta fra Vendola e Boccia, e il 16 ottobre votarono, invece, in 2.261 per le primarie nazionali.
Alla vigilia, chi se ne intende, si aspettava un'affluenza in salita fino a quattromila e, non si capisce bene perché, fissava più o meno a cinquemila voti il tetto massimo affinché le primarie si potessero dire regolari, intendendo con questo che fossero realmente espressione della volontà del popolo di centro sinistra, oltre questo limite, si sarebbe parlato di primarie “inquinate”, cioè determinate dalla partecipazione di elettori di centro destra.
Si spiegano così i musi lunghi dei dirigenti dei partiti dell'Unione nel vedere le lunghe code ai seggi allestiti per l'occasione.
L'alta affluenza
Paradossalmente proprio l'elevata partecipazione ha fornito argomenti a chi, da subito, ha gridato all'inganno e proposto di rifiutare il risultato. Infatti, scartata l'ipotesi di dichiararle non valide per vizi di forma, visto che il Comitato dei garanti ha fondamentalmente ratificato il risultato, è serpeggiata piuttosto l'idea di una condanna politica. La grande affluenza, sproporzionata rispetto alla consistenza del centro sinistra, sarebbe segno che avrebbe partecipato ben altro che questo elettorato. Si sarebbe determinata, insomma, una sorta di mutazione genetica delle primarie, condizionate dal centro destra.
Le primarie
Nei partiti tramortiti da un risultato inaspettato, nelle proporzioni forse anche dallo stesso Di Gioia, la domanda più urgente è quella del “che fare?”. Non è mancato chi ha additato le primarie in sé come responsabili della frittata o ciambella senza buco che dir si voglia. Memoria troppo corta, ci si dimentica che senza il ricorso alle primarie mai Vendola sarebbe stato candidato alla presidenza della Regione e il valore della vittoria della Borsellino in Sicilia, nella stessa domenica 4 dicembre, per la quale si sarebbe esultato, se non si fosse stati troppo impegnati a piangersi addosso. Si trascura di chiarire in quale altra maniera si sarebbe dovuti arrivare all'individuazione del candidato, forse tirando a sorte o ripetendo quanto accaduto cinque anni fa, cioè tirarla per le lunghe ai tavoli fra partiti, fino a che qualcuno avrebbe ceduto per sfinimento, alla vigilia delle elezioni, in tempo per preparare la sconfitta.
C'è stata facile amnesia anche sul fatto che qualcuno ha a lungo provato a far intendere che andavano fissate diversamente le regole per l'espressione del voto, presentando delle proposte, tutte regolarmente bocciate al tavolo dell'Unione. Non le primarie in sé sbagliate, quindi, ma la maniera in cui sono state fatte a Molfetta, una prima volta in cui si è peccato di ingenuità o forse di presunzione. Perché anche questo bisognerà pur dire, un errore presentare tre candidati che assieme hanno totalizzato circa il 60% dei consensi, inutilizzabile ora, errore sopravvalutare le proprie forze e sottovalutare quelle del Di Gioia che, nel procedere della campagna elettorale, è riuscito a ramazzare il sostegno di sempre più formazioni politiche.
Il dopo primarie
Dopo il 4 dicembre si è assistito ad una strana fase di stallo. Il vincente Di Gioia avrebbe salire subito su di un palco assieme ai suoi ex antagonisti, per dare alla città l'idea di una coalizione ricompattata, pronta a proporsi per il governo, con un progetto condiviso. I partiti hanno preso tempo e, al momento in cui andiamo in stampa, non hanno ancora tutti reso noto cosa intendono fare. Soprattutto a sinistra, si è alzata la voce di chi sostiene che Di Gioia non lo voterebbe mai, l'ex democristiano, il vecchio nemico, il responsabile di tutte le malefatte della città, per motivi che sconfinano da una valutazione genuinamente politica, colui che ha vinto le primarie del centro sinistra viene percepito come estraneo alla coalizione stessa.
Fra i partiti, sono stati i Ds i primi a uscire dalla strana afasia post primarie ed a prendere posizione, accettando il risultato, ma imponendo a Di Gioia condizioni ben precise, il rispetto del Codice etico già firmato, il rifiuto pubblico degli eventuali voti del centro destra e soprattutto la definizione in tempi brevi della squadra, il che consentirebbe di presentare alla città un programma ed una classe dirigente, in cui il candidato è un primus inter pares. Un posizione sostanzialmente condivisa dai Comunisti italiani.
Gli altri si chiedono ancora che fare.
La tentazione di rifiutare il risultato delle primarie si dibatte in mari perigliosi, non è solo una questione di onore, che pure conta, i candidati ed i partiti che li appoggiano si sono impegnati pubblicamente, più volte a sostenere i vincente. Come ritirarsi ora? Dicendo che i 2.574 votanti di Di Gioia sono tutti brutti, sporchi e cattivi e non conoscono a memoria l'Internazionale? Cosa difficile da dimostrare. Regge ancora meno l'ipotesi del Di Gioia “estraneo” al centro sinistra. Prima di tutto non si capisce come possa essere ritenuto tale un dirigente regionale della “Margherita” e poi, perché non dirlo prima, al momento della sua adesione al centro sinistra, e ne è passato del tempo, o quando si è candidato. Ora non c'è scampo o i dirigenti di tutti i partiti di centro sinistra dichiarano di aver sbagliato, visto che anche se “l'avevano detto”, hanno tutti, ma proprio tutti, firmato il Documento politico-programmatico che ha portato alle primarie, si dimettono in massa e ci si dà appuntamento per il 2011 oppure si rispetta se stessi, i 6.286 votanti e magari si lavora per capire in che città viviamo, da cosa è fatto quel ventre molle in cui la sinistra, a quanto pare, nonostante gli atavici richiami al proletariato, non riesce ancora ad incidere.
Lella Salvemini
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