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Preventorio alla Lega del Filo d'oro. E gli anziani? Una scelta che fa discutere. Priorità dimenticata per favorire i privati?
15 gennaio 2004

Quando eri bambino e avevi la pertosse, ti facevano svegliare presto la mattina e ti portavano “a respirare al Preventorio”. È capitato anche a me e ricordo quella pineta come un luogo simbolo della mia infanzia, dove mi facevo portare la domenica, a giocare a pallone o a sgambettare tra i fiori gialli acqua&vino, quelli con il gambo che si morde. Ogni volta che correvo per la pineta, e schiacciavo con i sassi i pinoli caduti dagli alti pini nostrani, guardavo il palazzo antistante, con i vetri rotti e le mura scrostate, e chiedevo sempre a mio padre: «Ma qui chi ci stava?». E papà rispondeva: «I nonnini». «E quando lo aggiustano chi ci verrà ad abitare?». E papà: «Sempre i nonnini». Sono cresciuta, e al Preventorio sono tornata sempre meno spesso. Ricordo una sera, qualche anno fa: ci passai con gli amici per una festa. La musica alta, le birre e i vetri sempre rotti, le mura scrostate. Poi mia nonna si è ammalata di Alzheimer nel 1996. Abbiamo cercato un posto, a Molfetta, dove trovare assistenza. Niente: solo badanti o costosissimi ospedali fuori città. Così l'abbiamo tenuta in casa, in condizioni di estremo disagio e difficoltà. Passando con la macchina, sulla via per Terlizzi, in quei mesi, ho guardato spesso quella struttura con rabbia, ripensando alla bugia che mio padre mi aveva raccontato da bambina. Quella del Preventorio con i nonnini dentro. Solo vetri rotti e mura scrostate. A un certo punto, nel 1997, è iniziata a girare in città la voce per cui qualcosa potesse cambiare. Pareva che tra le ultime cose buone dell'amministrazione di centro-sinistra, ci fosse proprio il riordino di tutta la situazione giuridica dell'immobile. Un atto notarile, fortemente voluto dalla vecchia giunta, riconobbe la titolarità del Preventorio alla Ausl Ba2, insomma alla Regione. Grazie alla azione rapida del Comune, la Regione mise a posto le carte dello stabile e riuscì a richiedere, a pochi giorni dalla scadenza, i finanziamenti al CIPE. I famosi svariati miliardi di vecchie lire (una decina in tutto) con cui, tra la fine del 1997 e il 1999, il Preventorio è stato ristrutturato. Così, passando con la macchina sulla via di Terlizzi, la rabbia è diminuita, guardando a quella struttura giallo canarino, tutta messa a nuovo, con dentro 76 posti letto già pronti, due piani, due palestre, 4.000 mq, una chiesa, un parcheggio, le cucine, gli apparati per la riabilitazione… Mancava solo la scelta della gestione. A chi dare in mano le chiavi del Preventorio. L'utenza la città l'ha sempre data per scontata: gli anziani, gli undicimila anziani molfettesi, e soprattutto, fra loro, gli anziani in difficoltà, come mia nonna, bisognosi di una struttura per la lunga degenza, attrezzata e a portata delle loro tasche. Dal 1999 all'ultimo consiglio comunale, in cui l'apertura del Preventorio è stata annunciata come prossima ventura, sono passati quattro anni. Quattro anni in cui, mentre Raffaele Fitto ci ha privato del nostro ospedale senza che peraltro ce ne indignassimo troppo, avevamo un potenziale centro anziani pronto, sfavillante e vergognosamente chiuso, sempre per colpa di quel presidente della Regione che qualcuno, in città, ha avuto in passato il coraggio di votare. Ma il Preventorio riapre, ci hanno promesso a fine dicembre con un volantino bianco e blu. Gli anziani, però, non c'entrano più niente. Non compaiono più nei programmi, nel futuro della struttura, anche se l'immobile era stato pensato e realizzato per loro, e i finanziamenti erano stati chiesti per loro. La struttura, ci dicono, passerà a breve nelle mani della Lega del filo d'oro e diventerà un centro d'eccellenza per tutto il meridione per l'assistenza ai bambini sordociechi. Dinanzi ai bisogni dei più piccoli, dice qualcuno, nessuno può alzare la voce e osare battaglie politiche avverse. Ma una comunità deve pensare ai bisogni dei più deboli. E non può dimenticare gli undicimila anziani di Molfetta, ancora orfani di una struttura assistenziale pubblica. Ci piace pensare che il buonsenso superi le amenità inspiegabili della politica e che magari bambini e anziani possano trovarsi a passeggiare insieme nella pineta del Preventorio. Come in quella canzone di Guccini: per mano. Paola Natalicchio
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