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Precari, i sogni muoiono all'alba
15 novembre 2008

Tempi difficili quelli dei giovani oggi, tempi in cui il dramma della ricerca del lavoro pare flagellare tutti, indistintamente. E se il problema più urgente pare essere quello della porzione di ragazzi non laureati in cerca di un percorso costruttivo, gli iperspecializzati, le cosiddette eccellenze non se la passano certo meglio. Il minimo comune denominatore è lo stesso anche per loro: senza soldi non si può costruire nulla, e, paradossalmente, dopo anni di sacrifici e formazione ad altissimi livelli, si rischia di far la figura dei mammoni, dei giovanottoni col cervello, ma incapaci di gestire il proprio futuro. Menzione speciale per il popolo dei dottorandi, dei ricercatori dell'università italiana, che si trovano, ogni giorno, davanti alla scelta ardua: precariato e disoccupazione in Italia, nella propria università, o prestigio e retribuzione sicura e calibrata all'estero? Forse trovare la risposta non è compito così arduo. Son anni che si parla di fuga dei cervelli, e li si immagina quasi, questi colpevoli emigranti, che, furtivi, impacchettano i loro beni e volano in America, Inghilterra, Francia, Germania a regalare il loro italico sapere. In coloro che non conoscono da vicino il mondo universitario serpeggia la convinzione che sia una scelta opportunistica, e che i ricercatori italiano siano una sorta di mercenari della scienza, pronti a vendersi al miglior offerente. «Tanto poi loro un lavoro lo trovano, i soldi li hanno, son laureati!». Ma forse non tutti sanno che le borse di studio per i dottorandi sono da fame, di base 800 euro al mese con i quali puoi al massimo affittare uno scantinato, e che ci sono anche i casi in cui la borsa nemmeno viene vinta, e in quel caso si vive di aria e cultura. A conclusione dei tre anni di dottorato c'è la possibilità di continuare con al massimo due anni di assegno di ricerca, da due anni ciascuno, a 1200 euro. «Ma cosa volete di più? lo stipendio medio è quello!», obiettano. Peccato che gli assegni di ricerca non siano garantiti, e che, se l'università non ha fondi, dopo il dottorato torni a casa da mamma e papà. I più fortunati vanno avanti con contratti co.co.co. fino a quando non si partecipa al concorso per un posto da ricercatore, anche quello non garantito, una attesa che può far diventare bianchi i capelli. Resta ancora da capire come e cosa si possa costruire, nella propria vita, con la politica del “poi vediamo se riusciamo”, per non parlare dei pochi soldi per le attrezzature e le trasferte. Altra obiezione gettonata è l'invito ad occuparsi di altro: «Cercati una azienda! tanto i laureati in materie scientifiche sono come il maiale, non si butta via niente e li impieghi ovunque». E i sogni? le famose aspirazioni personali che ci suggeriscono di salvaguardare? Allora va bene rivendicare il bisogno di un lavoro, va bene sostenere le parti più deboli, ma è altrettanto sacrosanto la volontà di difendere la ricerca italiana, motore primo del futuro del nostro paese.
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