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Pezza nera La vita nel Pallone
15 giugno 2023

Il Signor Lello Lenza era un accanito innamorato del calcio. Per questo sport aveva dato tutto. La sua pensione, l’amore verso una donna che negli anni Settanta aveva visto in lui la speranza d’un futuro dolcissimo, da trascorre tra campetti da giuoco, osterie e trasferte senza meta. Lello gliel’aveva fatto credere fino in fondo. Anche ai suoi figli Diego, un nome che certamente nella famiglia Lenza non poteva mancare, e Gentile; già, aveva scelto il cognome di un glorioso calciatore juventino per portare a battesimo il suo secondogenito. Lello ne avrebbe fatti undici di figli, almeno così diceva ad alta voce, quando tra una trasferta e l’altra si fermava al bar degli autogrill e tra un bercio ed una risata reclamava a gran voce la sua mascolinità e quel potente desiderio d’avere una squadra calcistica legata dal sangue di famiglia. La sua carriera di imprenditore calcistico era cominciata da ragazzo, quando non potendo giocarci attivamente per un problema al ginocchio, aveva dovuto mettere su, un manipolo di calciatori disponibili a tutto. Proprio a tutto! Alcuni ragazzi marinavano la scuola pur di poter battere il selciato brullo di improvvisati campi da calcio, (davvero questi strappati all’agricoltura); altri mentivano ai genitori per raggiungere la propria squadra e così, via dicendo… Lello, uniforme blu, dentro la sua tuta da meccanico imprecava sulla linea laterale, impartiva gli ordini con frasi che sfuggivano ad ogni paradigma lessicale e che solo i suoi accoliti potevano intendere: «sposti la palla e lancia fondo!!», oppure «fermilo a quel cavallo e dagli a bere lo sprint!»; o ancora «la palla girala, Pietro, che poi ti metti la mano alla testa, com’o Sent»; «che cazzo tiri sempre in porta, che sei smiccio!!»… In città divenne un tormentone quando, negli anni Ottanta, durante l’ennesima sconfitta, un giornalista gli fece notare che alla sua compagine mancava l’amalgama e lui di rimando gli fece serio: «e vabbè diteci quanto costa che l’accattimm!». Eppure questo imprenditore sportivo riusciva tutti gli anni a spuntarla, nonostante non avesse mai vinto un campionato, nonostante un anno avesse messo un primato, in negativo s’intende, zero punti in classifica! Eppure ricomprando il titolo da cessioni che solo gli avvocati più esperti possono spiegare eccolo là, il Signor Lello Lenza a condurre nei tunnel degli stadii i suoi quindici, talvolta sedici, operai della palla. Col suo secchiello con l’acqua miracolosa, pronto ad intervenire personalmente quando dopo un affondo, un fallo temerario, qualcuno dei suoi fanti dovesse farsi male. A prescindere dal problema, quell’acqua con una spugna che a guardarla non ci laveresti nemmeno la macchina, passa di fronte in fronte, di carne in carne, di ferita in ferita. Acqua spugna e pezza nera, gli utensili d’un mago del pallone. Pezza nera, già, questo il suo soprannome, urlato a squarciagola dagli adulti inviperiti ed anche dai bambini che non sanno quanto dolore possano infliggere in un uomo quelle bestialità. E sugli spalti, più dell’arbitro, Lello Lenza è il bersaglio d’ogni frustrazione, la fiera della scurrilità. Un vero pallone da prendere a schiaffi, da umiliare, da calciare ad ogni istante. Fa tenerezza quest’uomo, e chi è come lui. In fondo che si tratti di calcio da terza categoria o da eccellenza poco importa. E’ difatti grazie a questi animi operosi che si coagulano le speranze dei ragazzi. E’ grazie a questa inconsapevole generosità che comunque nascono le cose. Come accadde a Vito il Greco, che per caso o per destino passò due anni, dal 1980 al 1982 nella Nuova Città Calcistica, diretta dal nostro Pezza nera. Il giocatore in erba fu notato da un tecnico del Torino e subito “rubato” come diceva il nostro Lello e portato in Piemonte a lastricare il suo futuro da giocatore di serie A. Già, perché la palla è come la ruota. La ruota della Fortuna e quando meno te l’aspetti, una pezza nera può diventare nastro d’oro. © Riproduzione riservata

Francesco Tammacco

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