>>Pe nèn scherdà, canti, detti, aneddoti della tradizione molfettese alla Fidapa<<
Il passato di una città, specialmente quello popolare è un patrimonio da tutelare. Laddove venisse trascurato, rischierebbe di andar perso per sempre. Per tale ragione, la Fidapa (Federazione italiana donne arti professioni affari) ha ospitato nella sede di via Termiti 8 del centro antico, recentemente intitolata alla prof.ssa Depalo, il gruppo di studio della tradizione orale molfettese “Pe nèn scherdà” Canti, detti, aneddoti della Tradizione Molfettese, a cura di Luigi Salvemini. La presidente Fidapa Angela Alessandrini ha spiegato che l’obiettivo di questo gruppo è quello di custodire la tradizione in quanto essa narra la storia della gente della nostra città e si impegna perciò a mantenere viva la catena orale tramandandola alle future generazioni. In nessun libro possiamo ritrovare quello che la loro voce è capace di raccontare proprio perché è il frutto dell’ascolto di storie, di esperienze di vita e della saggezza degli anziani molfettesi, i quali hanno dipinto loro un passato povero e semplice ma ricco di valori. Collaboratrice del gruppo e voce narrante della serata è stata Maria Giancaspro, alle chitarre i maestri Vito Vilardi e Vito Mongelli e al flauto Mariagrazia Petruzzella, mentre il gruppo canoro era composto dal soprano Lucia de Bari e da Anna de Felice, Luciana Caputi, Margherita Colasanto, Mena Pischetola, Gianni Maino, Luigi Binetti, Luigi Salvemini, Nicola Germinario e Onofrio Lazzizzera. Maria Giancaspro ha introdotto i canti specificando che la loro origine risale alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento e la maggior parte di essi aveva alla base un sentimento di letizia, che oggi purtroppo manca. Il gruppo ha aperto l’esibizione con il canto “Quand’è bèlle u primm’ammore”, la cui versione molfettese – ha riportato la voce narrante – aveva in origine il secondo verso che mostrava tutta la forza del legame d’amore di un tempo e infatti la sua traduzione era “e di te chi si deve scordare” poi sostituito dal famoso “u seconde è chiù megghie angore”. Triste invece era “U chiènde èmère” che toccava l’argomento dell’emigrazione stagionale dei braccianti agricoli. Il canto racconta la disperazione di una donna costretta a prostituirsi a causa della povertà, in assenza del marito. Ma è stata subito riportata l’allegria con le “Stornellate” e “Tumme, tumme, tumme… (La ballate melfettêise)”. Si è poi parlato delle dichiarazioni d’amore e la narratrice ha letto alcuni bigliettini d’amore dell’epoca, che scritti in un italiano sgrammaticato, mostravano tutta la semplicità e l’ingenuità dei primi approcci. Il gruppo canoro ha intonato le serenate di allora, come “E ci r’avève da disce…” e “La catarra sefennète”. Non poteva certo mancare un canto di carattere politico come “Pènzine e Salvèmene” con cui le donne molfettesi sostenitrici di Salvemini, assaltarono un comizio tenuto da Pansini per le elezioni del 1913. La prima parte viene cantata riprendendo la melodia della Santa Allegrezza. Un canto carnevalesco molfettese era “U ponde de Varrêtte”, filastrocca dedicata al ponte che crollò a Barletta, mentre un canto che accompagnava il corteo funebre da casa del defunto fino alla chiesa di S. Domenico era “Vella” eseguito sulle note della marcia funebre “Una lacrima sulla tomba di mia madre” di A. Vella. Il valore che troviamo in “Alla lèmbe, alla lèmbe” è invece quello dell’amicizia, dove un amico consola il compagno dopo una delusione amorosa. “Tenèive né megghière” è una sorta di battibecco tra marito e moglie, i quali pur elencando l’uno i difetti dell’altra, continuano a volersi bene. L’esibizione si chiude con “La Marianna che va in campagna”, canto anteriore agli anni Cinquanta. Questo spettacolo si è svolto, nonostante la presenza di alcuni brani che toccavano argomenti quali la povertà e la morte, all’insegna della giovialità e dell’allegria, a dimostrazione di come i nostri predecessori nonostante le ristrettezze economiche e le difficoltà della vita quotidiana, scorgessero sempre il lato positivo della vita e riuscissero a ridere anche dei tiri mancini che essa riservava loro. Il compito che il gruppo di studio si è dato non è finito, i suoi membri sono sempre alla ricerca di cose non ancora raccontate, pertanto chiunque conosca storie del passato può contattarli per contribuire ad arricchire la storia di Molfetta.