Erika Cormio nella redazione di "Quindici"
MOLFETTA – PD, atto finale! Il Partito democratico di Molfetta ha abbandonato anche la parvenza di partito, per trasformarsi in una lista civica al servizio del padrone di turno, che muove i fili dall’esterno.
Il padrone invisibile, ma sempre presente e sempre operativo quando cominciano i giochi elettorali, è sempre lo stesso Piero de Nicolo. E’ l’artefice della distruzione del partito, lui che è riuscito a fare meglio di Matteo Renzi come rottamatore: ha distrutto l’amministrazione di centrosinistra di Paola Natalicchio, ha demolito pezzo per pezzo un partito con una storia importante in questa città, fino al colpo finale, l’eliminazione del segretario politico Erika Cormio, che ha tollerato fino a quando poteva essergli utile. Poi l’ha gettata via come un vecchio arnese, con la complicità dei Giovani Democratici e il silenzio di chi, pur di mantenere le proprie posizioni, ha lasciato correre, all’insegna del “vivi e lascia vivere”, per apparire l’amico di tutti.
Sono stati inutili tutti i tentativi di Erika di fare del Pd di Molfetta un partito normale e soprattutto un partito di sinistra, malgrado avesse imbarcato personaggi di destra (come Peppino De Nicolò, che ora ha mollato anche lui, non avendo ottenuto i tornaconti politici che gli erano stati promessi dallo stesso Piero de Nicolo, quello senza accento).
Si era illusa la Cormio che le cose potessero cambiare, ma non si era accorta che il “signore delle tessere” era più forte e politicamente più abile. Così una bella sera Piero le ha dato il benservito (perché ora non serviva più, avendo bisogno di avere le mani libere con le elezioni regionali in arrivo), dicendole che doveva andare via, senza alcuna motivazione.
Erika ha resistito, ritenendo di dover rispondere solo all’assemblea e in quella sede rimettere il mandato di segretario politico. Poi è arrivata l’emergenza coronavirus e ha bloccato tutto, riunioni di partito comprese, ma non ha bloccato i giochi politici nei quali il De Nicolo (quello senza accento) è abile. Quelli sì che si fanno e si facevano da sempre col distanziamento sociale e con la mascherina.
Oltre ai suoi valvassori e valvassini, abituati a cambiare casacca come lui, da destra a sinistra a seconda delle convenienze politiche, pronti a servire come mercenari, il “padrone” del partito, che aveva imposto la logica feudataria al Pd di Molfetta, come afferma la stessa Cormio, è riuscito anche a pilotare i Giovani Democratici (ragazzi ingenui o arrivisti?), pronti a schierarsi col “padrone” allettati da promesse e prebende che, chissà se mai arriveranno. Ma non importa, almeno così avrebbero avuto una visibilità che nessuno avrebbe riconosciuto loro fuori del partito.
Ahimè, una volta i giovani facevano il Sessantotto opponendosi al sistema di potere dominante, oggi fanno i valvassini del feudatario di turno. Peccato! Eppure i giovani dovrebbero essere gli artefici del cambiamento! Così al comando del “padrone”, i Giovani Democratici hanno inviato una lettera al segretario politico Erika Cormio, invitandola ad andarsene.
A questo punto c’è stata la legittima reazione della stessa Cormio che ha scritto la sua lettera di dimissioni al segretario regionale Marco Lacarra e al commissario provinciale, quell’Ubaldo Pagano che ha fatto da spalla a De Nicolo (quello senza accento) per fare fuori la giunta di centrosinistra di Paola Natalicchio, ricevendone forse in... premio una candidatura e una elezione alla Camera?
Infatti, alla lettera della Cormio, è seguito il silenzio del partito e dello stesso governatore Emiliano, che, forse, non è nemmeno aggiornato su quello che accade a Molfetta, periferia dell’impero.
Erika ha rivendicato il merito di aver servito il partito con orgoglio, cercando (ma forse illudendosi) di tenere insieme una comunità, tentando di farne un collettivo, “ispirando ogni azione al principio integerrimo della rettitudine”.
Visti vani tutti gli sforzi, aveva già deciso di lasciare, ma per quella disciplina di partito ereditata da suo nonno, il mitico Sandro Fiore, esponente di spicco del Pci locale e regionale, aveva tergiversato in attesa delle elezioni regionali, per portare il partito compatto anche in questa competizione, come aveva fatto con quelle precedenti.
Quando si è resa conto che il suo cammino diveniva sempre più inagibile e tortuoso, e, senza tanti complimenti le veniva chiesto di farsi da parte, perché era di ostacolo ai giochi politici futuri, ha deciso di lasciare e di uscire con dignità, non volendo fare da copertura a tali giochi e alle gestioni padronali e feudali del partito.
“Una liquidazione asettica e disumanizzante del segretario politico, fatta con modalità subdolamente padronali”, così l’ha definita la Cormio, che avrebbe voluto dimettersi in sede congressuale per evitare di consegnare la guida del partito nelle mani di un commissario ad acta, con i disastri, già conosciuti nell’epoca del commissario Giampiero De Nicolò (quello con l’accento), voluto dal segretario provinciale dell’epoca quell’Ubaldo Pagano che con un lapsus freudiano era stato capace di nominare uno con lo stesso cognome del deus ex machina del Pd di Molfetta, ma con un accento sulla “o”.
Erika Cormio ha quindi respinto la nota dal “tenore piuttosto minatorio” dei Giovani Democratici e ha preso le distanze dal modo feudale di gestire il partito, non attraverso i suoi organi ufficiali, ma con i giochi sotterranei, tipici di alcuni noti personaggi, nel silenzio anche di chi riveste cariche istituzionali, ma opportunamente, ha preferito mettere la testa nella sabbia.
Così abbandonando il “partito eterodiretto”, come lei stessa lo ha definito, Erika Cormio, non si sente sconfitta – come ha dichiarato a “Quindici” – ma vincente per non aver ceduto ai ricatti e alle pressioni padronali, rifiutando un ruolo servilistico, accettato da altri, mantenendo la dignità e uscendo a testa alta. Questa esperienza è stata educativa per me, mi ha arricchito, facendomi comprendere cosa significhi ricoprire ruoli di responsabilità in un collettivo, come è un partito. E questo anche dal punto di vista umano, perché mi ha permesso di costruire relazioni umane che vanno al di là della politica. Sono stata vittima di un’imboscata a una riunione di coordinamento, dove non mi hanno fatto nemmeno parlare, obbedendo agli ordini del padrone e trattandomi in modo disumano. Mi dispiace che i ragazzi, come diceva Guglielmo Minervini, si siano venduti al padrone di turno, quando dovevano essere l’emblema del rinnovamento e hanno preferito strade più comode, senza rischi e senza lotta”.
Gli scheletri nell’armadio del Pd sono tanti e, se dovessero venire fuori, creerebbero non pochi imbarazzi per qualcuno.
Cosa farà ora Erika? Continuerà nel Pd o abbandonerà? “Continuerò a fare politica, questo è certo. Non so se nel Pd o altrove, comunque dove potrò essere al servizio dei cittadini liberamente senza imposizioni padronali o feudatarie”.
Ma quali altri retroscena nasconde il Pd a marca De Nicolo (quello senza accento)? Perché De Nicolò (quello con l’accento) ha lasciato il partito? quali giochi politici ci sono dietro alcuni assessorati?
La maggioranza di destracentro “ciambotto” di Tommaso Minervini (che anche sulle dimissioni della Cormio, opportunisticamente tace) sembra ora più forte visto che il Pd si è trasformato anche ufficialmente in lista civica di Piero de Nicolo (del quale, nostro malgrado, siamo costretti a tornare a parlare, dandogli una visibilità che politicamente non merita). In realtà è più debole e il povero Emiliano, dovrà fare i conti con queste ulteriori frammentazioni non solo del suo partito, ma anche della maggioranza, dove dietro alla apparente tranquillità e stabilità diffusa dai comunicati dell’ufficio propaganda del sindaco e dai siti (non possono definirsi media) collaterali dell’amministrazione comunale, il fuoco cova sotto la cenere.
Ma di questo parleremo in un’altra occasione e soprattutto sulla rivista “Quindici” che ogni mese trovate in edicola e dove potete leggere quello che gli altri non dicono, senza fake news, ma con un giornalismo di qualità e professionalità, che non ha confronto a livello locale.
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