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Pd al bivio: no al “ciambotto” di destra a Molfetta, col rischio di fughe dal partito. Meglio tentare l'accordo con Rifondazione, candidando Di Gioia
10 febbraio 2017

MOLFETTA – Del “ciambotto” delle liste civiche di centrodestra che hanno scelto come leader politico Tommaso Minervini, non avendone uno proprio, abbiamo già parlato. Ora vediamo cosa avviene nel centrosinistra e nel Partito democratico in particolare. Quella parte di questo partito che propendeva per l’accordo con le liste civiche “tammacchiane” e cioè i vari De Nicolo, Lagrasta, Annalisa Altomare (che nell’ultimo periodo, per la verità, si era smarcata, spiazzata da Tommaso Minervini anch’egli aspirante alla candidatura a sindaco) si è ritrovata all’improvviso “senza famiglia”. Così qualcuno ha pensato di dettare un articolo al solito media amico e a qualche collaboratore servile, che, in mancanza di argomenti seri, si presta a fargli da megafono (in verità in modo molto grossolano, tant’è che se ne sono accorti tutti), mentre qualche altro ha optato decisamente per l’accordo con la vecchia maggioranza vincente nel 2013.
E il Pd è al bivio e spaccato. Forse solo una candidatura del segretario Antonio Di Gioia, non prevista, potrebbe rimettere insieme i cocci, anche perché risponderebbe alla mozione congressuale approvata all’unanimità: «Abbiamo il dovere di collaborare con tutte le forze democratiche e progressiste di centrosinistra, siano esse partiti o movimenti civici, che possano condividere un progetto di chiara impronta riformista, come abbiamo il compito di cercare di aggregare anche altre forze politiche e movimenti civici che, come noi, credono nei principi di uguaglianza, solidarietà, libertà, interesse per il bene comune e per i più deboli».
E se vogliamo citare un vecchio proverbio, possiamo dire anche che fra i due litiganti Tommaso e Annalisa, il terzo (Antonio Di Gioia) gode. Infatti, questa candidatura sarebbe nuova e potrebbe essere condivisibile dalle altre forze di centrosinistra, che non volevano inciuci con quello che consideravano il peggiore passato (i ciambottisti). Se gli altri, i De Nicolo e i Lagrasta scelgono i “tammacchiani”, sarebbero costretti a lasciare il partito. Oppure De Nicolo, con la forza delle tessere, potrebbe spaccare ancora una volta il Pd costringendo lui l’area Di Gioia-Altomare ad abbandonare il partito, ma questa sarebbe la fine definitiva del Pd a Molfetta e lo stesso Emiliano non glielo permetterebbe. Dovrebbe ingoiare il rospo, ma resterebbe una mina vagante.
La stessa Rifondazione comunista che vuole correre da sola (anche perché solo così spera di rimediare un consigliere comunale), potrebbe tornare al tavolo del centrosinistra, per evitare l’estinzione. Sarà il congresso cittadino a deciderlo, sperando che gli iscritti riescano a superare quell’isolazionismo snobistico e antidemocratico, intollerante al dialogo e al confronto, che caratterizza il partito della falce e martello e che ha spinto gli operai a votare prima per Berlusconi e poi per Grillo e Salvini. Restare nella riserva indiana o comportarsi come gli ultimi giapponesi rimasti nella foresta che scoprono dopo diversi anni che il mondo è cambiato, significherebbe rintanarsi nella propria sezione a recitare slogan stalinisti nostalgici.
Pretendere che il centrosinistra conceda a Rifondazione la candidatura a sindaco, significa volere una ulteriore umiliazione di un partito già ridotto allo stremo dalla politica degli ultimi anni. La mancanza di umiltà è una dote che manca ai rifondaroli: li hanno portati all’estinzione a livello nazionale. Ripetere quell’errore, sarebbe letale anche a Molfetta. Al massimo i rifondaroli potrebbero rimediare un posto da vice sindaco, ma data per scontata la presidenza del consiglio a Piergiovanni, si lascerebbe scoperta la casella Linea Diritta con Bepi Maralfa. Poi ci sono le due anime di Sinistra italiana, i paolini e i guglielmini, che attendono anch’essi di capire cosa verrà fuori dal congresso.
La partita è ancora aperta e tutte le anime del centrosinistra sono pronte a giocarla, soprattutto ora che il sen. Azzollini, che, verde di bile, spara saette contro Minervini e Tammacco, sembra ormai fuori gioco, dopo che i suoi ex pretoriani lo hanno abbandonato e ha perduto le sue legioni. Si attende la designazione del suo candidato, soprattutto ora che la data delle elezioni politiche sembra slittare all’autunno o alla prossima primavera, scadenza naturale della legislatura. Ma i nomi che girano, compresi ex personaggi politici presuntuosi ma inconsistenti della vecchia area missina, rischiano di fargli fare una figura peggiore di quella del 2013 con il candidato sindaco Ninnì Camporeale (quello degli aeroplanini), oggi schierato nel “ciambotto”.
Altra incognita resta Pasquale Mancini che, da una candidatura Di Gioia, potrebbe essere stimolato ad aderire all’area di centrosinistra, con un’ulteriore ferita per il senatore.
Se l’opzione Di Gioia diventerà concreta, si apre una strada tutta in salita per lui, perché dovrà superare la diffidenza di chi lo considera troppo legato al padre Lillino e alla madre putativa politica Annalisa Altomare, per conquistare una non facile leadership. I pontieri sono al lavoro: riusciranno i nostri eroi a ricomporre un tavolo che resta traballante?

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