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Pasticcio alla molfettese
15 dicembre 2009

Di quando in quando a questo mondo va a proposito una bisboccia, specie a me che sto nel fondo e lavoro come un cane? Mi arrabatto fra debiti e debitucci: mai si cambia quella stella! Abbiamo tirato il canapetto (rischiato la rottura): mi sento ancora il torcicollo per due scorze di nocelle, per due fette di capocollo. Quanto veleno ci è costato questo boccone di frittata! Con quella sorta di disdetta, Dio lo sa… chi ci trova il rimedio: chi a rifondere è stato pronto ogni sera la cassa del monte? Ogni volta che ci penso, mi vien proprio lo sconforto. Quando vincevo, povero me, si avventavano come gatti. Gli veniva la tremarella appena detto: — Tombola è fatta —. Allora vedevi che brontolio: succedeva un bailamme! A lor Signori non sembri strano: un occhio ride e l’altro vi piange. Specie l’allievo di Cosimuccio ha tenuto la fortunella! Inghiotte (a vuoto), ora, non dice nulla; non si merita una nocella a far sempre una tiritera, a vincere, a vincere… Che faccia di corno! Entra in campo un Nervoso: — Questa lanterna la vista mi offende! Presto, otturate quella fessura: da dove viene questa corrente? — Imbacuccato fino alla collottola, se ne scappa in tutta fretta. Poi si mette greve greve come certi cantastorie a strimpellare la chitarra. Questi son fiori. Il bello qual era? Mentre ero proprio sul punto di gridare: «Son uscito di conto», entra in campo la Commare, come quelle vedette di mare: — Alto là! la tombola è fatta ! — Tu sentivi scoppiare una bomba. Che vedevi? La rivoluzione! Cartelle per aria col tombolone. Belle-trine con una brutta cera: — Zia Margherita, hai il colera! Non vale! ora ci mandi tutti quanti in rovina! — — Questa donna è una diavolessa... — borbotta il Farmacista, Io me ne vado in dissesto, pesto l’acqua nel mortaio... Commare mia, ci hai distrutto: sei un asso pigliatutto... — Mi sento opprimere il petto, — sbuffa don Sergio. — Uh, che dispetto! Nessuno al mondo, vorrei scommettere, ha avuto questa disdetta: o prendi Napoli o lasci Milano, cambi Firenze o prendi Trani, vado più presto ruzzoloni, a capofitto capitomboloni. Mi sento colmo come una botte: o gioco infame, va’ a farti fottere! — E s’infuria, pesta e rugge, sbatte le cartelle, lascia e fugge. Per due scorze di nocelle, per un boccone di frittata, abbiamo tirato il canapetto (rischiato la rottura): quanto veleno abbiamo ingoiato!.. — …Magari metterei qualcosa sotto i denti, — dice don Peppe. — Io non me la prendo se va il mondo sottosopra: son filosofo di natura. Vinco o perdo? Basta che ingollo, e del resto non me ne curo. Mi dispiace che è stata poca la frittata: è con i fiocchi! Ora volevo (avrei voluto) un’altra fetta... Si, è vero, è proprio lei (è perfetta)! Vi assicuro ch’è molto benfatta: alla bellezza di chi l’ha fatta!

Autore: Marco I. de Santis
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