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“Osservatorio 7 luglio”, dopo 10 anni si torna indietro Intervista 1 - Amaro bilancio di Matteo d'Ingeo sull'iniziativa contro l'illegalità
15 luglio 2002

La morte violenta di Gianni Carnicella scosse le coscienze dei molfettesi e segnò per molti il momento del risveglio. L”Osservatorio 7 luglio” fu uno dei frutti di quell'epoca. Dopo 10 anni abbiamo incontrato Matteo d'Ingeo, suo principale animatore. Ne è venuto fuori il ritratto amaro di una stagione politica e in fondo di un'occasione perduta, quella di riuscire a cambiare, con l'elezione a sindaco di Guglielmo Minervini, la politica e l'idea stessa di cittadinanza. Per Matteo d'Ingeo (nella foto) il bilancio più doloroso sta proprio nel dover constatare la fine ingloriosa di un sogno e nel timore di un possibile ritorno di un'illegalità diffusa, magari anche benevolmente tollerata nel timore di un possibile ritorno di un'illegalità diffusa, magari anche benignamente tollerata. Quale fu la spinta che portò alla nascita dell'”Osservatorio 7 luglio”? “L'associazione – ricorda Matteo d'Ingeo - nacque nel 1992 all'indomani dell'omicidio del sindaco Carnicella, con l'intento di denunciare tutto ciò che nella città risultasse illegale, dal pubblico al privato. In un momento storico in cui ci parve davvero di avere la forza di cambiare. C'erano Mimmo Favuzzi, Maria e Vincenzo Valente, Enzo Farinola, Franca Carlucci, gran parte di quelli che dettero poi vita al “Percorso”. Io fui nominato coordinatore”. Quali furono le prime battaglie? “La prima denuncia riguardò un episodio apparentemente insignificante: le basole attorno alla scuola elementare “Cesare Battisti”. Pietre con un valore storico che avrebbero potuto benissimo essere restaurate, evitando di dare l'appalto e la direzione dei lavori ad un ingegnere che, lo scoprimmo Marta Palombella ed io seguendo il camion, faceva scaricare le basole divelte in una sua campagna, creando una sorta di deposito di materiale di proprietà pubblica per utilizzarle privatamente. Fatto che denunciammo alla magistratura. La prima di una lunga serie di denunce”. E le campagne più scottanti? “Le prime denunce grosse furono sull'edilizia convenzionata che, a distanza di 10 anni, hanno portato al primo risultato della condanna di Silvio Spadavecchia per concussione. Anche se tutti sanno che lo scandalo edilizia convenzionata non si limita a questo caso. L'Osservatorio fece sua parte, ma non si passò mai dalla piccola denuncia su un singolo episodio ad un'unica inchiesta sul mondo dell'edilizia a Molfetta. Molti costruttori hanno tuttora dei processi a loro carico, ma mai nessuno, a cominciare dal procuratore capo, ha voluto inglobarli in un'indagine unica, allora sì che sarebbe scoppiato il bubbone della “tangentopoli molfettese”. Calcolammo che circolarono a Molfetta, al momento della costruzione della Zona 167, almeno 40/50 miliardi di soldi al nero, denaro che non si sa che fine abbia fatto. Noi ipotizzammo che fosse utilizzato non solo per le campagne elettorali, ma anche per certe attività illegali che hanno pur bisogno di un capitale iniziale. Solo riflessioni, che non furono però solo dell'Osservatorio, tutti sapevano e sanno, ma fanno finta di ignorare e la magistratura non ha mai messo il dito in questo ginepraio”. La storia di Molfetta negli ultimi anni sul versante della legalità è stata segnata anche dalla lotta allo spaccio di droga. L'Osservatorio 7 luglio vi ebbe parte? “Già a metà degli anni '80 Molfetta diventò crocevia dello smercio di droga, ma fino alla prima “Operazione primavera” tutti preferirono far finta non vi fosse, garantendo in definitiva una copertura allo spaccio. Se in alcuni quartieri per anni la droga è stata venduta alla luce del sole, vuol dire che mai nessun carabiniere, nessun vigile urbano, nessun politico, nessun'associazione, si pose mai il problema, finendo con l'assicurare una copertura a queste attività illegali. L'Osservatorio ebbe il coraggio di squarciare questo silenzio, creò un dossier, in base ad un lavoro fatto sul territorio, denunciando le strade e qualche volta anche i numeri civici dove avveniva lo spaccio”. Quali furono le conseguenze di questa attività? “Sul piano personale pesanti. Ricevetti minacce da coloro che sapevano della mia collaborazione con i carabinieri e che mi considerarono il principale responsabile dei loro guai giudiziari, penso soprattutto alle famiglie coinvolte nelle operazioni antidroga. Ho dovuto lasciare il quartiere in cui vivevo, Molfetta vecchia. Tuttora, se mi capita di entrarci, sono appellato “infame” dai vari familiari degli spacciatori. Del resto sono stato persino chiamato a testimoniare nell'aula bunker a Trani per i processi contro lo spaccio, con la possibilità di essere segnalato agli occhi di tutti gli indagati. Mi capitò anche d'essere minacciato di morte all'uscita di un Consiglio Comunale da una dipendente comunale, madre di due degli arrestati per spaccio, da me querelata, condannata, ma mantenuta al suo posto di lavoro dall'amministrazione di Guglielmo Minervini. Il sindaco Guglielmo Minervini, che tante volte si è fregiato di aver riportato a Molfetta la legalità, in realtà non ha mai fatto molto, anzi, lui ed altri mi hanno lasciato solo. E l'isolamento personale, politico e associativo ha contribuito a mettere a tacere l'Osservatorio”. Quale fu il legame fra “Osservatorio 7 luglio” e la nascita del “Percorso”? “All'inizio furono un tutt'uno, si trattò di due modi di rispondere alla medesima domanda di legalità, di una politica diversa, di cambiamento. Ma dopo la vittoria nel '94 si crearono delle barrire. A livello personale mi fu difficile svolgere contemporaneamente il ruolo di coordinatore dell'”Osservatorio” e di consigliere comunale di maggioranza. Poi, quando ho cominciato a denunciare anche certe scelte della vita amministrativa, iniziò l'azione di isolamento”. A che punto l'Osservatorio” ha cominciato a perdere colpi? “Ritengo proprio da quando fui eletto consigliere. Finché l'Osservatorio si scagliava contro i democristiani o tutto ciò che faceva parte del passato andava bene, quando si propose di combattere le illegalità anche della nuova amministrazione fui isolato e allontanato. A cominciare dalla vicenda della stecca della Zona 167, originalmente riservata a servizi e cui un noto costruttore (già Dc lattanziano, poi in lista col Psi, ndr) riuscì a far cambiare destinazione per rivenderla e lucraci. Sì, di lì tutto iniziò a cambiare, con scelte politiche lontane dallo spirito iniziale. Considero l'ex sindaco responsabile del fallimento di un progetto di rinnovamento che non si riproporrà più. Lui ha distrutto un sogno non solo mio, ma di tanti altri, che mai potrà ritornare in questa città. Quando si rifiutò di procedere alla rotazione dei funzionari comunali, che hanno continuato a detenere il vero potere sul Comune, quando cedette al primo ricatto dei consiglieri di allora. Avrebbe fatto meglio a dimettersi, in quel momento storico i cittadini avrebbero capito se fossero stati chiamati a votare nuovamente, perché ci credettero davvero portatori di un cambiamento. Un cambiamento che le denunce dell'Osservatorio prepararono”. Dopo 10 anni, qual è il bilancio, cosa è cambiato? “La sera del 7 luglio 2002 ho avuto una sensazione fortissima. Ho notato uno degli operai che stava smontando le strutture servite per la cerimonia commemorativa della morte di Gianni Carnicella. Un operaio che lavorava con Cristoforo Brattoli fino alla mattina dell'omicidio, sempre smontando transenne e trasportando sedie. Sicuramente una persona normalissima, ma mi è sembrato un segno, come se davvero tutto fosse rimasto uguale ad allora. E poi, risfogliando gli atti processuali relativi all'omicidio, ho ritrovato un passaggio in cui il Pubblico Ministero descrive il contesto in cui questo maturò, quello di Piazza Paradiso, considerata allora luogo di illegalità diffusa. Ci sono passato proprio stamattina, lì e a Via Immacolata, ho trovato di nuovo i marciapiedi occupati dai banchi di frutta e verdura e dietro di essi le stesse famiglie, i parenti dei Magarelli, di Alfredo Fiore, di Tommaso Recanati, che organizzarono il concerto di Nino d'Angelo, la cui mancata autorizzazione causò il delitto, personaggi che anni dopo si è scoperti anche implicati nello spaccio. Una società in cui c'era anche Saverio Petruzzella, che subentrò in consiglio comunale allo stesso Carnicella e che non sentì il dovere morale di dimettersi”. Ci sarebbe ancora bisogno dell'Osservatorio 7 luglio? “L'Osservatorio non è stato mai ufficialmente sciolto, né può esserlo fino a che non si concludano alcuni processi. Ce ne sarebbe bisogno, ma sarebbe anacronistico pensarlo separato dalla politica. A Molfetta occorrerebbe ridar voce ad un soggetto politico che metta nel proprio modo di lavorare l'attività dell'Osservatorio. Sì, ci sarebbe bisogno soprattutto della politica, che manca fin dagli ultimi anni dell'amministrazione di Guglielmo Minervini, quando si perse l'abitudine di andare in piazza, di incontrare la città. O forse bisognerebbe andare indietro nel tempo, fermare un altro fotogramma, quello dell'assemblea del movimento del '94, a pochi mesi della prima elezione, quando Guglielmo Minervini invitò la base a tornare alle proprie attività di associazione e volontariato. Quegli uomini e quelle donne tornarono a casa e lui si chiuse nel palazzo”. Sì, forse era finita già allora: l'Osservatorio, la rivoluzione politica, il sogno. Lella Salvemini Sentenza emessa dalla Corte di Assise di Trani il 3 novembre 1993, p. 6: … all'origine del grave fatto di sangue… vi fu l'organizzazione di un concerto del cantante napoletano Nino D'Angelo e tale ultima iniziativa, a sua volta, scaturì da una scommessa intervenuta tra il Brattoli ed alcuni esponenti di quel mondo variegato (e spesso ai margini della legalità) che in Molfetta va comunemente sotto il nome di“Piazza Paradiso”.
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