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Olocausto, tra memoria e storia: quando ricordare non è un obbligo Inspiegabile assenza degli amministratori comunali: insensibilità o colpevole indifferenza del centrodestra?
15 febbraio 2007

La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed al rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. Così vuole la legge. Molfetta non si è sottratta alla memoria. Il 29, 30, 31 gennaio, Casa dei popoli, Arci e Amnesty international, col patrocinio del Comune di Molfetta, hanno organizzato una serie di incontri presso la Fabbrica di San Domenico. Ad aprire la visione dell'intervista-documentario “Nata 2 volte-storia di Settimia, ebrea romana”: un'interessante descrizione tutta al femminile della vita ad Auschwitz. Vita fatta di un filo di rossetto sui volti privati di vita, per ricordare di essere donne, di pidocchi strappati via dai capelli, di momenti di atrocità gratuita, violenze, anche sessuali. Dopo il video, trenta minuti di vuoto. Previsto l'intervento dei rappresentanti dell'amministrazione comunale. Ma non si è presentato nessuno. Dettagli. A seguire il monologo teatrale “Le donne di Pola”, di e con Marco Cortesi. Un talento davvero speciale quello dell'attore ventiseienne, che ricorda che i genocidi non sono finiti dopo la Shoah. Basato sulla sua esperienza personale nei territori della ex-Jugoslavia, il monologo racconta le gratuità dei conflitti, visti dagli occhi disillusi dei rifugiati nel campo profughi di Kamp Kamenjak, nella città istriana di Pola. Donne violentate, soldati che hanno giocato a non far cadere per terra i cadaveri sparando loro senza interruzione, occhi strappati via con cucchiai, bambini trucidati, uomini ammazzati perché confessavano alle autorità dell'ONU i soprusi subiti nei campi di concentramento. Non sono crimini dell'Olocausto, soltanto quelli della ben nota guerra del Kosovo combattuta nel vicino 1998, atto finale di scontri tra etnie che si protraevano da anni. “Mai più” fu il motto diffusosi dopo la Shoah. Ma quella pagina oscura della storia non è mai stata strappata via e dimenticata. La seconda giornata ha previsto l'intervento di Carlo Spartaco Capogreco, professore di storia contemporanea. Una voce fuori dal coro di chi ricorda gli “italiani brava gente”, che eroicamente aiutarono gli ebrei. Senza negare l'esistenza di poche audaci figure, il professore Capogreco ha impostato il suo discorso sull'Italia abietta, sull'Italia fascista, sottolineando come nella legge sulla giornata della memoria non compaia mai la parola fascismo, che pure fu il braccio destro del nazismo. A chiudere il monologo “M120X190”, scritto e recitato da Corrado la Grasta , con la regia essenziale, efficace e coinvolgente di Giulia Petruzzella, che ha raccontato l'Olocausto attraverso il sogno e la passione di un bambino: il calcio. S'incomincia con il ricordo della celebre partita tra la squadra ucraina nella Dinamo Kiev contro quella tedesca di Frakelf. La squadra dell'Ucraina vince 4 a 2, la partita va rigiocata. Quando l'Ucraina batte i tedeschi per la seconda volta, ormai i giocatori, guidati da Nicolai Trusevich, sono destinati alla fucilazione nello stesso campo in cui si è giocata la partita. Il sogno del bambino ebreo continua anche nel campo di sterminio in cui viene deportato. Così, durante una insolita domenica, una partita di calcio giocata in un macabro campo delimitato dalle ceneri di ebrei, risveglia nel bambino il senso del sogno, della dignità, della vita. È per questo motivo che la squadra ebrea cerca di far vincere i tedeschi. Per vivere. Ma quando un giocatore ebreo decide di segnare ad ogni costo, dieci miseri passi verso il portiere tedesco lo conducono alla morte, un urlo finale da campione: goal. L'urlo di chi tifa per la vita e la dignità degli uomini.
Autore: Alina Cormio
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