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Nuovo episodio di bullismo. Ma i genitori dove sono?
15 marzo 2014

Rabbia, rabbia, rabbia e ancora rabbia. E’ la reazione provata alla notizia dell’ennesimo e probabilmente non ultimo episodio di violenza minorile. Due ragazzi, il maggiore dei quali di sedici anni, rinchiudono un altro ragazzo all’interno di un locale interrato per derubarlo di pochi spiccioli e oggetti in suo possesso e di fronte alla sua opposizione, non esitano a versargli candeggina, mirando soprattutto agli occhi. L’abusato non si abbatte e prontamente, allerta, tramite il telefono cellulare che aveva preservato dalla rapina, i carabinieri che immediatamente accorrono, assicurando i delinquenti alla giustizia. Questa è in poche righe la notizia di cronaca, ma al di là della fredda cronaca cosa trasmette questo episodio, quali sentimenti suscita, di quali provvedimenti necessita? Pareri discordanti, sentimenti differenti anche tra i collaboratori della nostra redazione di Quindici, quando abbiamo affrontato l’argomento, come facciamo sempre per discutere di uno tanti fenomeni cittadini. Come mamma, ho assunto una posizione critica nei confronti del ruolo genitoriale dei minori colpevoli, mentre il mio plauso va ai genitori del ragazzo colpito che non ha esitato a chiamare la forza pubblica. Tale reazione è stata evidentemente generata da una fiducia nelle istituzioni, trasmessa da genitori che assolvono degnamente un compito gravoso ma che hanno deciso di assumere consapevolmente sin dal momento del concepimento. E i genitori dei bulli? Dove erano, dove sono stati durante gli anni di vita dei propri figli? Non si arriva in un solo pomeriggio a tanta inaudita violenza, apice di sfide sempre più “alte”. Cosa genera tali reati? Pochi spiccioli e forse un telefonino producono un guadagno tale da rischiare una denuncia e il riformatorio? La risposta appare ovvia, ma la rapina scaturiva da uno stato di necessità o da altro? Le mancanze, ribadisco, sono dei genitori che, a voler essere ottimisti, non hanno saputo adempiere ai compiti che il ruolo genitoriale impone. Non si nasce genitori, è vero, ma lo si diventa, se si vuole e alcuni non lo diventano mai, per immaturità affettiva, per carenze dovute a infanzie difficili e genitori assenti non solo fisica mente, per povertà anche culturale. Non attribuiamo pertanto tutte le colpe ai minori che forse, si spera, trarranno insegnamento dalle conseguenze delle loro malefatte, ma proviamo a ipotizzare un progetto sulla genitorialità. Investendo sui genitori, ricadute positive si avrebbero sui minori, inevitabilmente. Questa opinione contrasta con quella di alcuni ragazzi della redazione, quasi coetanei dell’aggressore. Luca, iscritto al Liceo tecnologico, che ha frequentato per un anno la scuola secondaria con il maggiore dei bulli, nonché residente nel quartiere dello stesso, pronuncia un laconico “ben gli sta” e di fronte al nostro sgomento, afferma che tra le sue amicizie, ci sono ragazzi che vivono situazioni di disagio dovuto alla perdita di lavoro del capofamiglia, alla malattia di una persona cara, ma nessuno pensa di compiere reati. Si frequenta la scuola regolarmente e con profitto per non rischiare di perdere un anno scolastico, ci si limita a fotocopiare i libri anziché comprarli, non si indossano felpe griffate, non si va in gita scolastica, si cercano tanti lavoretti, tante limitazioni per un ragazzo, ma se questo è onesto, niente e nessuno lo indurrà a perdere la strada maestra. Anche se minorenni, i ragazzi hanno pensieri ed eseguono azioni meditate, nel bene e nel male, che spesso non coincidono con il volere dei propri genitori e se giuridicamente acquisiscono capacità giuridica con la maggiore età, questo non li esime da comportamenti responsabili. Quali benefici si otterrebbero ad essere “bravi ragazzi”? Altri pareri, sono emersi e ci è parso opportuno evidenziarli.

Autore: Beatrice Trogu
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