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Noi giovani, precari senza futuro
15 ottobre 2017

Lavoro è vita e senza quello esiste solo paura e insicurezza, affermava John Lennon nel lontano 1969, un anno dopo la nota rivoluzione giovanile che ha scosso il mondo compreso il nostro Paese. “Paura ed insicurezza”: ecco cosa provano i giovani che, conclusi gli studi, si trovano di fronte ad una realtà sociopolitica italiana che non offre possibilità di lavoro, men che meno al Sud. Non è vero, come spesso si sente dire, che i giovani appartengono ad una generazione di “mammoni e nullafacenti”, poiché tantissimi, pur di lavorare, si accontentano di un’occupazione che non rispecchia il proprio titolo di studio. Chi ha conseguito una laurea, un dottorato o un master ha speso il suo tempo, la sua volontà, il suo impegno, la sua giovinezza nella speranza di essere un giorno ricompensato con un lavoro onesto e dignitoso senza sentirsi usato, parcheggiato o ancor peggio sfruttato. Sembra davvero un sogno essere indipendente economicamente dai genitori (i quali in molti casi sovvenzionano gli studi e corsi vari) e addirittura un miraggio formarsi una famiglia e costruirsi il proprio futuro. Valanghe di curricula sono inviati in centinaia di aziende pubbliche e private del nostro Paese confidando di essere almeno convocati per un colloquio. Si è disposti a trasferirsi in altre regioni d’Italia, a lavorare full time o part time anche nei weekend, pur di lavorare. Quando questi lavoretti invece di essere provvisori diventano sistematici e quasi “forzati” per racimolare qualcosa, è naturale che si giunga all’insoddisfazione, alla delusione, per cui il giovane decide di andare all’estero: Inghilterra, Germania, Svizzera, U.S.A. risultano le mete più ambite. Questi Paesi danno la possibilità di cominciare a costruire il proprio futuro. In Italia, invece, occorre fare i “salti mortali” tra corsi di specializzazione, corsi di aggiornamento, master, certificazioni linguistiche e informatiche e chi ne ha più ne metta, perché sembrano essere “requisiti necessari” per lavorare a scuola o nelle aziende. A conti fatti, se un giovane deve possedere tutti questi titoli, insieme all’«esperienza e alle competenze», parole tanto di moda ai nostri giorni, non potrà lavorare prima dei 40 anni! Come può un giovane acquisire esperienze e competenze se non comincia a lavorare? Non temete! A questo interrogativo c’è già una risposta: deve frequentare tirocini e stage senza alcuna retribuzione o deve addirittura pagare per potervi partecipare. Ma qual è l’altra faccia della medaglia? È che non vi è alcuna garanzia che dopo la conclusione dell’eventuale corso si possa essere assunti. tratto di qualche mese e poi si torna a casa, ripiombando nella disperazione di dover cercare un altro lavoro. Si tratta dell’ennesima strategia per “parcheggiare” i giovani, perché in verità non ci sono posti di lavoro, soprattutto in ambito statale. Ricordiamoci che l’esperienza e le competenze in qualunque ambito si acquisiscono mentre si lavora. Tocchiamo adesso il tasto “scuola”. Che caos! Grazie al decreto 616 del 10 agosto 2017, il Ministero dell’Istruzione ha proposto che i non abilitati (chi non ha conseguito il TFA) e chi non ha 180 giorni di servizio nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, di tutte le classi di concorso, dovranno acquisire 24 CFU (crediti formativi universitari e accademici) nei settori antropologico-psicologico-pedagogico e metodologie e tecnologie didattiche, per poter partecipare al Concorso Docenti 2018 (del quale tutt’oggi non si hanno notizie certe). Ciò comporta che tutti coloro che sono già laureati da anni devono studiare discipline che il loro piano di studi non prevedeva! E via al pagamento di corsi alle Università e agli enti di formazione, corsi che non servono per lavorare ma per accedere ad un concorso per il quale non si ha la certezza di superare. Ma non finisce qui: dopo il superamento del Concorso ci sarà il percorso FIT, percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente, per il quale, però, non si conoscono le modalità. Solo dopo aver terminato il suddetto percorso si diventerebbe, finalmente, docente di ruolo. E’ assurdo che insegnanti ultrasessantenni, che vedono purtroppo la pensione allontanarsi sempre di più, siano costretti a seguire corsi di aggiornamento con tutor ben retribuiti, quando invece i giovani esperti nella digitalizzazione, nella didattica innovativa stanno “in panchina” ad aspettare quel “tram chiamato desiderio”: l’insegnamento per il quale occorre vocazione e competenza. È vergognoso che nessun sindacato si sia opposto con tutte le forze a risanare certe proposte che stroncano la speranza dei giovani: il percorso per l’insegnamento sembra sempre più irto di ostacoli tanto da scoraggiare la maggior parte di essi che preferisce insegnare all’estero o optare per un altro tipo di lavoro. Non si può vivere di precariato, di finti lavori, di illusioni. È destabilizzante non sapere quale sia il proprio ruolo nella società e di conseguenza sentirsi utili. Se pensiamo che nella vicina Germania persino i tirocini vengono retribuiti, che idea ci facciamo del nostro Stato? Giovani, dove stiamo andando? Dove sta andando il nostro “Stato libero”? Le seguenti parole di Roosevelt dovrebbero portare tutti a riflettere: La vera libertà individuale non può esistere senza sicurezza economica e indipendenza. La gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature”.

Autore: Dora Adesso
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