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Natalicchio è venuta troppo presto!
15 giugno 2016

Ha ragione il consigliere comunale Caputo con la sua analisi oggettiva: “[Natalicchio] ci consegna una città e una macchina amministrativa in una situazione di abbandono totale. Il verde pubblico è stato lasciato senza alcuna programmazione, l’impiantistica sportiva in completo degrado, le strade urbane sono al collasso a seguito dell’assenza di manutenzioni stradali, i lavori pubblici bloccati, l’urbanistica bloccata, i servizi sociali allo sbando… le strutture pubbliche bruciate, gli appalti sospetti, le consulenze sospette e una città sporca in tutti i sensi; questo è quello che ci lascia.“ Ma siccome lui non gode di grande credibilità, ha sicuramente ragione Antonio Azzollini: ”Dopo soli 3 anni l’amministrazione Natalicchio è caduta. Un’amministrazione la cui cifra si può sintetizzare in tre parole: incompetenti, inconcludenti e incapaci… Si sono perse occasioni, si sono persi finanziamenti, non si è data alla città alcuna delle risposte che in tempo di crisi un’amministrazione deve dare… Occupazione, benessere, serenità è ciò di cui le famiglie hanno bisogno”. Ha proprio ragione il senatore, del mediare e spartire leader indiscusso al senato. Ha dato a tutti, pure molti posti di lavoro, ha elargito troppi milioncini di euro per il benessere dell’ambiente molfettese, sta sopportando pure sospetti assurdi sulla correttezza della sua generosità politica. Hanno pure ragione i suoi apprendisti tra cui Tammacco, che da primo della classe misura le parole. Dicono più o meno la stessa cosa i “traditori” della sinistra, da Ignazio Cirillo a Annalisa Altomare, nutrice di La Grasta e portavoce di chi non dice parola come De Pinto e De Ceglia. Poco aggiunge il coro del condominio molfettese che si è scatenato dai bar alle panchine di corso Umberto. Per questo, forse, ha soprattutto ragione Onofrio Romano: “La realtà è che il “consenso” nei territori è oggi detenuto da singoli imprenditori della politica, i quali intercettano e provano a soddisfare direttamente gli interessi grezzi – piccoli e grandi – che i soggetti sociali esprimono. Costoro non obbediscono a nessuno schieramento “politico”, anche quando si aggrappano per anni ad un determinato partito. Badano solo a sopravvivere come singoli “padroncini”. La sinistra su questo territorio fa scendere una visione politica con un’emozione collettiva che garantisce la conquista del potere, come è avvenuto con Natalicchio. Lo perde, però, perché “continua a navigare in un’orbita politica tutta immaginaria, evitando di darsi un’organizzazione, di riconnettersi ai bisogni delle persone in carne ed ossa, di radicarsi sul territorio per scalzare i padroncini.” Non sono un politologo. Non m’intendo di sociologia. Posso aggiungere, però, da mediocre esperto dei processi formativi, che è difficile soddisfare i bisogni dei cittadini in una società che vede, in parte a ragione, inciuci ad ogni livello e non crede più nelle istituzioni. Soddisfare quei bisogni significa imporre i valori irrinunciabili della buona amministrazione, legalità, rispetto dell’ambiente, efficace seminazione culturale, attenzione alle fasce marginali. Orbene, la sinistra a Molfetta ha tentato quasi sempre, almeno da Finocchiaro (in modo parziale) fino al 2001, di realizzare quei valori coniugandoli con la mediazione. Talora questa mediazione è stata copertura di pura spartizione. Ed è entrata in crisi quando ha perso di vista la priorità assoluta dei contenuti, i valori, la visione politica; questo è avvenuto con la fine dell’amministrazione Minervini, di Guglielmo, e l’inizio del tavolo, a partire da Tommaso, dove la mediazione è stata solo rito della spartizione al ribasso, pur di mantenere la poltrona. Natalicchio ha fatto esattamente il contrario, ha definito quel tavolo un tagadà ed ha chiuso radicalmente la giostra per il perseguimento cocciuto di quei valori e basta. A Molfetta lei è stata estranea non alla città, ai bisogni delle persone in carne ed ossa, anzi, ma ai dispositivi mentali dei politici che dominano da decenni, di generazione in generazione, di mediazioni in spartizioni. E lo strapotere dei “padroncini“, presenti pure nel PD, che si truccavano con quei valori, è stato spiazzato. Per questo ha ragione Antonio Azzollini. Egli conosce benissimo le logiche del potere a Molfetta, i cognomi dei valvassini e pure le modalità per annebbiare la coscienza critica di qualche sagrestia. E li conosce anche per storia famigliare. Suo fratello Nicola, per più di un ventennio, ha dominato prima la sinistra molfettese con Finocchiaro e poi, come finanziere di levatura nazionale, l’economia non solo della nostra città. Nicola, quando sotto il suo balcone passava il corteo della neoeletta sindaca, guardava attonito, come assistesse all’incoronazione di una beduina assolutamente inattesa. Da abile banchiere non avrebbe scommesso nulla su di lei. Possibile che si rovesci un prezioso tavolo di legno tanto ben stagionato? Tutto questo è sfuggito pure a Rifondazione Comunista che, dopo aver ottenuto l’orticello della nettezza urbana, se ne è servito per cantare le proprie lodi con la raccolta differenziata senza spendere parole utili in difesa del sindaco dimissionato e della visione politica che pure aveva condiviso. È sfuggito addirittura a tutta la restante sinistra che non aveva compreso l’ultimo allarme della sindaca dinanzi alla procurata eutanasia bugiarda del suo programma. Anzi l’ha cattivamente denigrata, usando quasi le tre medesime parole di Azzollini, salvo pentirsi dopo. Troppo tardi. Un evento è certo: lei, improvvisamente, con una mossa a sorpresa, dinanzi ad una città maleducata dai traffici e dai maghi, all’insaputa dei suoi matusa partner, ha acceso le luci, ha aperto il sipario e la sinistra, con il sorriso imbarazzato della destra, ha mostrato le proprie ignominie senza foglia di fico per nasconderle. E tutti a dire che si poteva continuare la sceneggiata in difesa ad oltranza di quei valori. Si è gridato da tutte le parti all’antipolitica divenuta istituzione con la tortura di chi ha, invece, degnamente rappresentato l’Istituzione, all’insegna di un programma efficace ma soprattutto dell’incorrotta trasparenza. Natalicchio è venuta troppo presto! Non lo so, ma penso che siamo ad un capolinea. Devo, devo credere in gran parte di questa nuova generazione di amministratori, perché, come nei periodi migliori delle storie comunali e nazionali, vuole restituire alla politica il luogo dove le ragioni deboli, i valori trascurati del bene comune, devono avere il radicale sopravvento su quelli forti delle clientele e dei disvalori semmai con una nuova grammatica delle relazioni. È una generazione (con i dovuti distinguo) a cui fanno orrore i padri e gli zii della politica, e non senza ragione. Per essa i principi, i valori devono essere sempre al di sopra di ogni sospetto, senza se e senza ma, gestiti in modo ultratrasparentissimo, dato che la trasparenza non è una modalità dell’amministrare, ma il principale contenuto del buon governo. E un programma amministrativo non può mai essere rallentato dalle mediazioni, né tanto meno svenduto da spartizioni. E se la destra a Molfetta è stata messa a digiuno, quanti della stessa sinistra non hanno chiesto qualcosa a Paola? La novità di Natalicchio è stata la sua ferma trasgressione alle regole della mediazione. Appena ha avuto ripetuto sentore che ormai essa non aveva più neanche il minimo pudore di rivelarsi ricatto e spartizione, ha fatto saltare il tavolo. Resta allora da sperare che la sinistra (e anche la buona destra) si rimetta all’opera affinché tra venti anni, o magari molto prima, alla scuola di possibili nuove regole della politica, di cittadini onesti, di imprenditori efficaci, di padri generosi, di docenti attenti, di parrocchie non traffichine, lasciando la cattiveria degli insulti reciproci, riscopra il gusto di questa fertilità amministrativa seria ed onesta, cresciuta con le corse di Sandro Fiore, i percorsi di Guglielmo Minervini, il sudore di questa amministrazione che ha ereditato un incredibile disastro amministrativo ed etico, occultato prima di Paola ed ora ormai dimenticato. E ha saputo non lasciarsi cucinare dal fuoco fatuo dei bugiardi e dal petulante questuare degli amici, mentre, con intransigenza, ha dimostrato che quel bene comune si può realizzare a costo di una fatica immensa, per nulla fatua, e di una prevedibilissima cacciata. Bisogna imparare la lezione da chi, con la propria novità amministrativa, ha cercato di rimettere la casa in ordine, disinfettandola dappertutto. È stata una precauzione forse eccessiva ma sicuramente utile dopo quasi un ventennio di infezioni subdole e gravi, non solo a Molfetta. Ha imposto il suo lodevole scrupolo e non ha ascoltato i suggerimenti squalificanti che riceveva. D’altronde Natalicchio era stata imposta non dai partiti ma da quanti avevano smesso di credere nella cosiddetta medicina ufficiale e in lei trovavano un nuovo vaccino. E certamente non avrebbero rivotato questa maggioranza se minimamente avessero avuto l’impressione, solo l’impressione, che quella trasparenza fosse stata svenduta. Ora chi voteranno? Intanto Azzollini riprende la parola e, dall’alto della sua cattedra, ritorna a fare le magie. Per iniziare, assicura che la raccolta porta a porta non è tanto utile all’economia delle famiglie quanto pesante, perché costringe a scendere in pigiama per depositare i sacchetti. Natalicchio, è vero, non si trascina la vita. “Ciascuno cresce solo se sognato"

Autore: Lazzaro Gigante
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