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Morire alle Azzorre nel ’18
15 marzo 2018

Nel centenario della Grande Guerra televisione, giornali e riviste ci hanno abituato per l’Italia a filmati e foto di soldati asserragliati o falcidiati fra una trincea e un’altra del Carso o immortalati sull’Isonzo o sul Piave, e a riprese e immagini di marinai in azione prevalentemente nell’Adriatico, restringendo eccessivamente l’area geografica di un conflitto che notoriamente e in ogni senso fu mondiale e dispiegato su aree anche assai lontane rispetto alla madrepatria. Così è accaduto che alcuni marinai di Molfetta hanno perso la vita non nell’Adriatico o nello Jonio o nel Tirreno, ma al di là del Mediterraneo, al di là dello stretto di Gibilterra. È il caso del marinaio del C.R.E.M. (Corpo Reale Equipaggi Marittimi) Cosmo Amato (classe 1897) di Mauro e Anna Maria De Candia, del marittimo militarizzato Vincenzo Pisani (classe 1867) di Michele e Teresa Modugno, e del marinaio C.R.E.M. Sergio Sciancalepore (classe 1899) di Onofrio e Maria Altomare, che persero la vita il 30 aprile 1917 al largo del canale di Bristol sul piroscafo Ascaro di 3.245 tonnellate, dell’armatore Edoardo Mazza in Savona, che trasportava minerali ferrosi, silurato e affondato dal sommergibile tedesco U 93 insieme alle navi mercantili Horsa del Regno Unito e Parthenon della Grecia. Allo stesso modo nel 1918 Donato De Bari e Cosmo Gagliardi di Molfetta sapevano di correre il rischio della vita mentre infuriava la guerra, ma forse al primo imbarco non avevano nemmeno immaginato di poter morire molto lontano dalla propria terra, addirittura nell’Oceano Atlantico. Donato De Bari era nato il 14 luglio 1895 da Carlo, contadino, e Giulia Spadavecchia, casalinga, in vico San Benedetto, 6. Cosmo Gagliardi era nato il 22 maggio 1892 da Mauro, marinaio, e Teresa Mezzina, casalinga, in via San Vincenzo, 76. Entrambi tra il marzo e l’aprile del 1918 si trovavano sulla nave Sterope. De Bari era cannoniere scelto C.R.E.M., Gagliardi marinaio scelto C.R.E.M. La Sterope era una nave carboniera e cisterna per nafta della classe Br onte, progettata dal maggiore del Genio navale Giuseppe Rota, ingegnere navale napoletano di fama mondiale. Aveva una capacità di trasporto di 4.000 tonnellate di nafta (o benzina) e 2.000 tonnellate di carbone oppure 6.000 tonnellate di solo carbone. Impostata il primo ottobre 1903, fu costruita in poco più di quindici mesi nei cantieri Orlando di Livorno. Era lunga 119,2 metri, larga 14,35 e pescante 7,58 con una stazza di 9.490 tonnellate in carico ordinario. Aveva un apparato motore costituito da due motrici a triplice espansione con caldaie verticali a vapore, capaci di erogare una potenza di 4.000 CV, e due eliche, per una velocità massima di 14,5 nodi. Varata il 15 gennaio 1905 e completata per l’allestimento nei mesi successivi, entrò in servizio il 18 novembre 1906 come nave sussidiaria di 1a classe, con la possibilità di accogliere fino a 120 uomini di equipaggio fra ufficiali, sottufficiali e comuni. Inquadrata nel naviglio ausiliario della Forza Navale Mediterranea, partecipò il 7 ottobre 1907 alle esercitazioni della flotta italiana svolte tra Siracusa, Augusta e lo stretto di Messina, insieme alla gemella Bronte, alle navi da battaglia Regina Margherita, Benedetto Brin e altre congeneri, a incrociatori, cacciatorpediniere, torpediniere d’alto mare e altre unità, alla presenza del re d’Italia Vittorio Emanuele III e del re del Siam Rama V in osservazione sulla corazzata Regina Elena. Partita da La Spezia, la Sterope nel gennaio del 1910 si trovava a New York per caricare nafta, combustibile necessario in un settore in cui l’Italia era fortemente deficitaria. Salpata nuovamente da La Spezia, nel febbraio dello stesso anno la nave cisterna portò nel Corno d’Africa due spedizioni incaricate di installare due stazioni radiotelegrafiche di grande potenza a Massaua e a Mogadiscio. Intrapresa nel 1911 la guerra italo-turca per la conquista coloniale della Libia, la Sterope compì quattro viaggi nell’Oceano Atlantico e nel Mediterraneo, insieme alla Bronte, per trasportare in Italia 51.526 tonnellate di nafta acquistate dalla Regia Marina in Nord America e Romania. Scoppiata la Grande Guerra, non essendo più possibile dal 1915 rifornirsi di nafta dalla Romania a causa della chiusura dello stretto dei Dardanelli da parte della Turchia, la Sterope e la Bronte ripresero i viaggi oceanici verso gli Stati Uniti, in particolare verso il Texas e la Florida. Il 15 dicembre 1915 la Sterope navigava col suo carico per l’Albania, scortata da Taranto a Valona dai cacciatorpediniere Lampo e Indomito. Dopo aver caricato nafta (e forse anche armi) a Pesancola, in Florida, la Sterope il 7 aprile 1918 superò le isole Azzorre dirigendosi verso oriente per rientrare nel Mediterraneo. Comandava la nave il capitano di fregata in servizio attivo nello Stato maggiore della Regia Marina Agostino Scaparro di Giovanni, nato il 19 settembre 1869 nella lombarda Cassano d’Adda e ascritto alla capitaneria di porto di La Spezia. Tra i suoi ufficiali c’erano il tenente di vascello Andrea Schiappacasse di Prospero, nato il 21 maggio 1876 a Camogli nel Genovesato, il tenente medico Renato Buosi di Roberto, nato il 4 agosto 1889 a Copparo nel Ferrarese, e il guardiamarina Giuseppe Palmegiano di Vincenzo, nato il 14 giugno 1894 a Palermo. Sulla nave c’erano marinai di tutt’Italia, ma Donato De Bari e Cosmo Gagliardi famigliarizzarono anche con altri commilitoni pugliesi del C.R.E.M., come il cannoniere scelto Vincenzo Lopez e l’allievo fuochista Pasquale Camporeale di Margherita di Savoia, il fuochista Francesco Violante e gli allievi fuochisti Francesco Gelao e Antonio Ranieri di Bari, il marinaio Pietro Gentile di Mola di Bari e il sottocapo infermiere Andrea Spinelli di Polignano a Mare. Per difendersi da assalti nemici, la Sterope era armata con quattro cannoni da 76/40 mm, modello 1916 della Regia Marina, di originaria progettazione inglese, uno dei più diffusi calibri minori dell’artiglieria italiana, affidabile, ma di modeste capacità operative, usato in prevalenza a supporto delle unità navali leggere e in minore misura sulla terraferma in funzione antiaerea. Il pezzo aveva limitate possibilità di impiego nel tiro puntato e richiedeva sette serventi, che potevano garantire una cadenza di 12-15 tiri al minuto. La gittata massima del cannone era di 6.000 metri, ma il tiro diventava inefficace oltre i 5.500 metri. Il pericolo maggiore per i natanti dell’Intesa era costituito dai sommergibili tedeschi, da quando il generale Paul Ludwig von Hindenburg, capo dello stato maggiore germanico, per rompere il blocco navale alleato, porre fine alla carenza di viveri in Germania e tentare di ridurre alla fame il Regno Unito nell’arco di sei mesi, il 31 gennaio 1917 aveva rilanciato la guerra sottomarina «senza limitazioni» contro le navi da trasporto di qualsiasi nazionalità, comprese quelle dei paesi neutrali. La risposta degli Stati Uniti era stata immediata, con la rottura delle relazioni diplomatiche voluta dal presidente Thomas Woodrow Wilson a partire dal 3 febbraio. Così, al grido di «U-Boote heraus! (Fuori i sommergibili!)», la guerra illimitata sotto i flutti era stata ripresa dai tedeschi con la massima determinazione, tanto che dal 3 febbraio al 18 marzo 1917 i sommergibili della Kaiserliche Marine, oltre a molte navi avversarie e neutrali, avevano affondato nell’Atlantico cinque mercantili americani. Il 3 febbraio l’U 53 aveva mandato a picco il piroscafo statunitense da 3.143 tonnellate Housatonic, colmo di grano. Si era perduto l’intero carico, ma l’equipaggio si era salvato. Per incoraggiare la ripresa del traffico marittimo, il 26 febbraio Wilson aveva chiesto al Congresso di decidere che i mercantili nazionali venissero muniti di cannoni per difendersi dagli attacchi dei sommergibili e il 12 marzo il Congresso aveva assentito, adottando in tal modo un atteggiamento di «neutralità armata». In quello stesso 12 marzo l’U 62 aveva affondato, senza vittime, il vetusto piroscafo Algonquin da 1.806 tonnellate, zeppo di merci varie. Il 16 marzo – non il 19, come si legge in alcuni testi – l’U 70 aveva affondato il vecchio cargo a vapore Vigilancia da 4.115 tonnellate con il suo carico di zucchero e prodotti alimentari, facendo perire 15 persone. Il 17 marzo l’UC 66 aveva fatto inabissare il piroscafo per passeggeri City of Memphis da 5.252 tonnellate, senza sacrificare vite umane. Il 18 marzo l’UC 21 aveva catturato e poi affondato la petroliera Illinois da 5.225 tonnellate, lasciando salvo l’equipaggio. L’affondamento del Vigilancia, considerato per le sue perdite umane un’«azione palese» germanica, era diventato il casus belli. Wilson non aveva dimenticato i 128 cittadini americani morti il 7 maggio 1915 con altri 1.073 civili in prevalenza inglesi a causa del siluramento del transatlantico britannico Lusitania. Il presidente, che tra l’altro intendeva tutelare gli interessi commerciali e bancari americani, il 1° marzo 1917 aveva reso pubblico il telegramma cifrato tedesco che invocava un intervento del Messico contro gli Stati Uniti per riconquistare il Texas, il Nuovo Messico e l’Arizona. Perciò il 20 marzo aveva convocato una sessione straordinaria del Congresso. Quindi il 2 aprile aveva chiesto di votare per la guerra ammonendo che «il mondo» doveva «essere reso sicuro per la democrazia» e il Congresso aveva approvato a larghissima maggioranza. Di conseguenza il 6 aprile 1917 gli Stati Uniti avevano dichiarato guerra alla Germania. La propaganda alleata, compresa quella italiana, chiamava «pirati» i sommergibilisti tedeschi. Malauguratamente, mentre la Sterope il 7 aprile 1918 navigava senza scorta a est delle Azzorre, in quelle acque era in agguato l’U 155. Questo sottomarino germanico, varato nel 1916 col nome di Deutschland per il trasporto di materie prime da paesi neutrali per eludere il blocco navale anglo-francese, dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti, come gli altri della classe U 151, era stato convertito nel 1917 in U-Boot da combattimento. L’U 155 era lungo 60 metri, largo 8,90 nel punto più ampio e alto 9,25. Aveva un pescaggio di 5,30 metri e una dislocazione di 1.512 tonnellate in emersione e 1.875 in immersione. La potenza di 800 HP di due motori Diesel gli consentiva una velocità di 12,4 nodi in emersione e 5,2 in immersione. Aveva anche due motori elettrici di propulsione e una batteria di accumulatori e montava due eliche. L’equipaggio era di 56 uomini, ma vi erano 20 alloggi aggiuntivi per gente di navi affondate. Era dotato di due tubi lanciasiluri da 500 mm a prua, stivava 18 torpedini e sul ponte montava due cannoni antinave da 105 mm e due cannoni antiaerei da 88 mm. Quando il trentasettenne capitano di corvetta Erich Eckelmann avvistò la Sterope, decise di risparmiare i siluri e di attaccarla in emersione a cannonate, nel tentativo di provocarne la resa. Tuttavia il quarantottenne capitano di fregata Scaparro non era disposto ad arrendersi e rispose coraggiosamente al fuoco nemico. Venne ingaggiata una dura battaglia, che si prolungò per oltre due ore, ma i meno potenti cannoni italiani ebbero la peggio. Gran parte dell’equipaggio rimase ucciso o ferito e alla fine anche il comandante Scaparro perse la vita. Il suo coraggio gli valse una medaglia d’argento alla memoria con questa motivazione: «Comandante della nave Sterope attaccato di sorpresa col cannone da un sommergibile, per due ore, con serenità e sprezzo del pericolo, guidava la sua nave al combattimento finché gloriosamente cadeva colpito a morte (Oceano Atlantico, 7 Aprile 1918)». Il tenente di vascello Schiappacasse non fu da meno in abnegazione e meritò una medaglia di bronzo alla memoria. Prima che la nave martoriata e incendiata affondasse, alcuni marinai riuscirono a calare le scialuppe di salvataggio disponibili e vogarono disperatamente per allontanarsi dal gorgo che stava inghiottendo la Sterope a 38° e 44’ di latitudine nord e 18° e 09’ di longitudine ovest. Ammirati per la valorosa difesa degli italiani, i tedeschi si accostarono cavallerescamente alla lancia più vicina e fecero salire sul sommergibile il più elevato in grado. Era il ventitreenne guardiamarina Palmegiano, che, non volendo lasciare i suoi compagni e finire prigioniero in Germania, rifiutò la proposta di restare a bordo in maggiore sicurezza. Su una scialuppa più lontana si trovava il tenente medico Buosi, che affrontò con altri naufraghi i pericoli della fame, della sete e dell’immensità oceanica. Purtroppo, dopo una settimana di navigazione a remi nel mare tempestoso, priva di bussola e di acqua, quando arrivò in vista di Cabo de São Vicente nell’estremità sudoccidentale del Portogallo, la lancia fu travolta dai flutti. Al contrario, la scialuppa su cui era imbarcato l’ufficiale Palmegiano fu avvistata da un brigantino danese e i superstiti riuscirono a salvarsi. Al ritorno in patria dei sopravvissuti, Achille Beltrame dedicò al guardiamarina la retrocopertina della Domenica del Corriere n. 21 del 26 maggio – 2 giugno 1918, con una significativa didascalia sotto l’illustrazione: «Dopo aver lottato leoninamente sulla nave “Sterope” contro un sommergibile tedesco, il sottotenente Palmegiano, ferito, febbricitante, stremato, rifiuta sdegnosamente l’ospitalità che l’ammirazione dei pirati gli offriva, e non vuole abbandonare i compagni superstiti». Quanto ai due oscuri marinai molfettesi Donato De Bari e Cosmo Gagliardi, rispettivamente di 22 e 25 anni, sia pure ipotizzando il sacrificio sul posto di combattimento del cannoniere De Bari, in realtà non conosciamo i particolari precisi della loro fine e purtroppo mancano le loro foto perfino nel prezioso obituario illustrato Molfetta ai suoi valorosi caduti sul campo dell’onore nella guerra mondiale dal 1915 al 1918, custodito nella locale Biblioteca Comunale. Possiamo solo riferire che il crudele destino dei due giovani fu quello di morire al largo delle Azzorre nell’ultimo anno di quella maledetta guerra, lontano dall’amatissimo cielo di Molfetta. © Riproduzione riservata

Autore: Marco Ignazio de Santis
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