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Molfetta, “tempesta” nel porto il 6 gennaio: danni ai motopesca e alle piccole imbarcazioni Causa del fenomeno, la costruzione della banchina di sud-ovest del nuovo porto commerciale, in assenza del secondo braccio foraneo e del ponte di sud-ovest. Le onde trovano un bacino chiuso e sono riflesse all'interno del porto
09 gennaio 2012

MOLFETTA - «Un sogno che diventa realtà». Così il sindaco della nostra città Antonio Azzollini aveva battezzato nel febbraio 2008 il progetto del nuovo porto di Molfetta. Quattro anni di false speranze per i molfettesi. L’affissione di manifesti propagandistici, in cui il sindaco Azzollini, entusiasta del lavoro, comunicava il termine della seconda fase del dragaggio (l’ultima, fino alla bonifica dei fondali del porto prevista per il 2016) per costruzione del nuovo porto, ha fatto molto discutere. Dire che i marinai di Molfetta, che convivono ogni giorno con questo “sogno diventato realtà”, siano delusi e furiosi è un eufemismo.
La realtà dei fatti è, invece, un’altra. Il banchinamento del nuovo porto ha peggiorato la situazione nel bacino del porto. Il “bel sogno” è diventato un incubo per marinai e armatori. Il disagio si manifesta ogni volta che a Molfetta giunge il maltempo (in particolare con i venti da nord-est). Basterebbe un comune temporale per far generare una tempesta nel porto e allarmare i marittimi.
È quanto accaduto lo scorso 6 gennaio. Il maltempo, il forte vento proveniente da nord e le violente correnti hanno trasformato il porto in un mare in tempesta. Alcuni motopesca sono stati allontanati dalla terraferma per evitare danni nell’urto, le barche della piccola pesca erano sbalzate dalle onde, mentre i pontili galleggianti erano completamente fuori controllo. Molti marinai hanno vegliato le proprie imbarcazioni, altri ancora hanno cercato di metterle in sicurezza, rischiando in alcuni casi anche danni alla propria persona (guarda il video).
Come si sentiranno i marinai quando stanchi, dopo una dura giornata di lavoro, anziché tornare a casa dalle loro famiglie, devono restare a bordo per tutta la durata del cattivo tempo, per controllare ed evitare che la loro imbarcazione non subisca gravi danni? E se nel tentativo di salvare il proprio motopeschereccio qualcuno dovesse farsi male? Prima di avviare la costruzione del porto, l'amministrazione e il Comune hanno valutato l'impatto umano e ambientale? O hanno preferito procedere con il paraocchi in tutta fretta?
Secondo una comunicazione della Lega Navale inviata al Comune di Molfetta nel novembre 2009, la causa del fenomeno è la costruzione della banchina di sud-ovest del nuovo porto commerciale, in assenza del secondo braccio foraneo e del ponte di sud-ovest (come Quindici ha spiegato nel numero di novembre 2011). Infatti, in passato le onde che penetravano dall’imboccatura dissipavano la loro energia nell’avamporto, sulla battigia tra Molo Pennello ed ex tiro a volo e nel canale di reflusso tra la Diga Salvucci e la terraferma.
Attualmente le onde provenienti trovano un bacino chiuso e sono riflesse all’interno del porto dalla banchina di sud-ovest appena realizzata. Uno studio ha stimato che ogni onda hauna massa di circa 6mila tonnellate d’acqua. I dati parlano chiaro
Ma, il Comune di Molfetta si è limitato a realizzare una scarpata alla radice del Molo Pennello (la zona maggiormente investita dal fenomeno).
Ad oggi, nonostante i danni alle imbarcazioni e le rimostranze dei marinai, la situazione è statica, in quanto nessuna autorità, tantomeno il Comune, si sforza di trovare una soluzione al problema. In attesa di una soluzione, i marittimi molfettesi ringraziano per un porto che non solo ha cancellato le speranze di un futuro migliore per i loro figli, ma ha anche rovinato il loro futuro partendo da questo presente.
 
© Riproduzione riservata
 
 
 
Autore: Elisabetta Ancona
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FUORI TEMA!!!!!…………..”Le nuove tecnologie al servizio della comunicazione soddisfano anche il bisogno infantile di onnipotenza, perché garantiscono illusoriamente il dominio e il controllo delle persone e degli eventi che ci interessano, con conseguente ridimensionamento dell'ansia a essi connessa. L'ansia non viene più elaborata, ma immediatamente agita e placata dalla risposta e dalla rassicurazione dell'altro. Ciò comporta che le nostre capacità interiori di gestire ansie e conflitti si indeboliscono progressivamente, e al loro posto subentra quella sorta di delirio di onnipotenza che ci dà l'illusione, ma non più che l'illusione, di poter controllare la realtà a distanza con la semplice attivazione di una tastiera o di un auricolare”. – Il bisogno di visibilità la dice lunga sul terrore dell'anonimato in cui gli individui, nella nostra società, temono di affogare. “Anonimato” qui ha una duplice e tragica valenza: da un lato sembra la condizione indispensabile perché uno possa mettere a nudo, per via telefonica o per via telematica, i propri sentimenti, i propri bisogni, i propri desideri profondi, le proprie (per)versioni; dall'altro è la denuncia “dell'isolamento dell'individuo”, che ciascuno cerca a suo modo di colmare attraverso i contatti telefonici o telematici dove, senza esporre la propria faccia, si soddisfa “il bisogno di essere al centro dell'interesse di qualcuno, di non sentirsi soli al mondo e del tutto isolati” in un solipsistico rapporto privato tra sé e quel vuoto di sé che ciascuno di noi avverte quando può vivere solo se un altro lo contatta. Come i bambini possono cominciare ad abitare il mondo, a padroneggiare la realtà e a instaurare relazioni affettive tramite gli orsacchiotti e i giocattoli preferiti, così sembra che noi adulti non siamo più capaci di abitare il mondo e di garantirci le relazioni affettive senza quel tramite che è il cellulare o il computer portatile, in nulla dissimili dall'orsacchiotto o dal giocattolo preferito dal bambino. Che dire a questo punto? Che le nuove tecnologie, di cui andiamo tanto fieri, portano a una progressiva infantilizzazione di tutti noi e, in generale, della società in cui viviamo? Pare di sì”. (Tratto e condensato da: I miti del nostro tempo – Umberto Galimberti)






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