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Molfetta ricorda la lotta partigiana: il 25 Aprile un esempio per presente e futuro
26 aprile 2014

MOLFETTA - Il riscatto di un intero popolo che cercava di lasciarsi alle spalle gli anni bui del regime fascista ma anche un monito fondamentale per i giorni nostri: è sempre tempo di resistere davanti a ingiustizie diffuse e soprusi criminali. Molfetta ricorda così la lotta partigiana e lo fa presso la sala S. Domenico in compagnia dei ragazzi dell'associazione culturale Tesla e di Arturo Cucciolla dell'ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia). La serata prevedeva inizialmente la partecipazione di Giorgio Salamanna, un ragazzino di 94 anni che con instancabile entusiasmo continua a girare la Puglia per raccontare la sua esperienza di partigiano nei Balcani, quando si rifiutò di unirsi alle truppe naziste per seguire invece la strada della resistenza. Un acciacco ha tenuto Salamanna a casa. Ma il partigiano comunque, non ha rinunciato a esprimere il suo apprezzamento per un'iniziativa patrocinata dal comune di Molfetta e organizzato dai giovani dell'associazione culturale TESLA (Nella foto il dott. Arturo Cucciolla dell'Anpi, Vito Messina moderatore della serata, il sindaco Paola Natalicchio e Andrea D'Angella e Chiara De Gennaro di Tesla).

“Giorgio si complimenta con il sindaco di questa città Paola Natalicchio che ha voluto partecipare con entusiasmo a questa serata sottolineando l'importanza delle celebrazioni del 25 aprile ma fa anche i complimenti a questi ragazzi che si spendono per queste iniziative lodevoli. A voi Giorgio vuole anche dire: ragazzi non siete soli! Di iniziative così la Puglia è piena ed è fondamentale: per costruire il futuro serve un grande impegno in piena autonomia di tutti i giovani” ha ricordato emozionato Cucciolla che ha poi sottolineato l'importanza dell'operato dell'Anpi, associazione da qualche anno aperta a tutti, anche ai non partigiani.

“Con l'Anpi stiamo lanciando una serie di iniziative delle quali la più suggestiva è sicuramente quella delle pietre di inciampo: segnare fisicamente i luoghi dove sono accaduti fatti significativi della resistenza pugliese. E' un'operazione bellissima e antiretorica perché sono pietre che noi, poi, calpestiamo ogni giorno, ma ci permette di non dimenticare. A Bari abbiamo segnato la zona antistante la Camera del Lavoro difesa da Di Vittorio, la muraglia di Bari Vecchia dove Pietro Romito e gli altri ragazzi dei vicoli hanno respinto le truppe naziste e via Nicolò Dall'Arca dove l'esercito di Badoglio sparò sulla folla di cittadini che dopo l'8 settembre voleva liberare i prigionieri politici ancora in carcere). Sono  pezzi di memoria alla quale non possiamo rinunciare, radici del nostro essere italiani”.

Cucciolla ha poi ricordato l'importanza della Puglia nelle vicende della Resistenza italiana. In Puglia a Bari, è avvenuta l'ultima azione di resistenza(insieme a Parma) al potere fascista che ormai si irradiava su tutta la penisola e il generale barese Bellomo è stato l'unico generale italiano che si è opposto ai vertici fascisti, scelta poi pagata con la vita(il generale sarà condannato a morte dagli alleati, accusato di tradimento in seguito a un oscuro intrigo).

La serata che ha visto anche la partecipazione del sindaco Paola Natalicchio, è stata l'occasione  per ricordare molfettesi come Manfredi Azzarita, il capo partigiano ucciso alle Fosse Ardeatine dai nazisti e Giovanni Pansini, il repubblicano confinato a Ponza dal regime fascista per la sua attività democratica.

Prima dell'intervento di Cucciolla Chiara De Gennaro e Andrea D'Angella di Tesla, hanno letto una serie di brani legati alla Resistenza (particolarmente bello quello di un Gramsci diciassettenne sul concetto di oppressione) mentre Vito Messina, moderatore dell'incontro, ha sottolineato che la serata è il secondo appuntamento di un ciclo di incontri organizzato da TESLA e patrocinato dal Comune di Molfetta per ricordare la Resistenza e celebrarla nella più ampia pluralità di significati possibili:

“La Resistenza è un concetto complesso che coinvolge passato e presente: dai partigiani alle attuali resistenze in Palestina e alla Mafia”.

E' seguendo questo spirito che nei prossimi giorni interverranno esponenti della comunità palestinese di Puglia, del Movimento No Tav e No Muos e Salvo Vitale, il cofondatore di Radio Aut insieme a Peppino Impastato, il coraggioso militante comunista ucciso per volontà del boss Tano Badalamenti nel 1978 in seguito alla sua decisa azione di denuncia dei crimini mafiosi.

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Autore: Onofrio Bellifemine
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Estratto dall'intervista di Oriana Fallaci a Pietro Nenni da: Intervista con la storia – 1974. – “ Lei mi ricorda quanti, nella crisi 1920-22 dicevano: “Ma tu prendi troppo sul serio quel Mussolini! Dev'esser perché sei stato in galera con lui. Ma come vuoi che un tipo simile possa assumere il potere? Manca l'uomo per realizzare una dittatura in Italia!. Cosa significa “manca l'uomo”? Non c'è mica bisogno di un tipo eccezionale per farne il simbolo di una situazione! Basta un esaltato qualsiasi, uno stravagante ritenuto innocuo, un vanitoso in cerca di successo. Mussolini, del resto, cos'era nel 1920 e anche nel 21 e 22? Aveva preso quattromila voti nelle elezioni del 1919: quattromila voti a Milano, la città che praticamente dominava dal 1913, quand'era diventato direttore dell'Avanti!. Era pronto a scappare in Svizzera, credeva più in questa ipotesi che in quella di recarsi a Roma per formare un governo. E invece si recò a Roma. Come io temevo. Perché sapevo che quando gli avventurieri, anzi i “condottieri”, agiscono in una società malata, tutto diventa possibile. Sicchè è da incoscienti sorridere e dire dov'è-oggi-un-Mussolini, dov'è-oggi-un-Hitler. Lo si inventa un Mussolini, lo si inventa un Hitler. E per inventarlo bastano cento giornali che quotidianamente dicano “è un grand'uomo”, un papa che dichiari “è l'uomo della provvidenza”, magari unj Churchill che affermi “è il primo dietro il quale sento una volontà italiana”. Come accadde per Mussolini. (Riferimenti al mancato golpe di Valerio Borghese) Non si occupa l'Italia occupando Palazzo Chigi e la RAI-TV. Ammenochè non vi siano co0mplicità all'interno dello Stato, per esempio l'appoggio delle Forze Armate e delle Forze dell'Ordine. Il che, oggi, potrebbe avvenire solo su scala molto ridotta e grazie alla complicità al vertice dello Stato. Non dimentichiamo che Mussolini prese il treno solo dopo aver ricevuto il telegramma del re che lo invitava al Quirinale. Ma al Quirinale oggi non c'è il re………………
Manca una coscienza convinta di alternativa, rivoluzionaria nei confronti della cultura dominante, che oggi è ancora tale, aristocratica e separata dal popolo, anche quando veste panni di sinistra. Sono stati, è vero, ampiamente illustrati e verificati gli elementi della scuola fascista. Specie in questi ultimi anni, sono stati sfornati gran numero di libri, florilegi, e analisi critiche, di quanto si insegnò per due decenni di fascismo al potere. Sono studi e documentazioni importanti. Non si è tuttavia ancora indagato abbastanza sul rapporto tra condizione sociale delle classi popolari e il fatto scuola, il fatto educazione giovanile, anzi, trattandosi di un fatto totalitario, di quello che era un dichiarato programma di regime: manipolare fin da piccolo un ragazzo per inserirlo in precisi schemi intellettuali e di costume, di lavoro e di vita. Chi ha conosciuto quegli anni, chi ha vissuto quelle esperienze, a ricordarle, affolla interrogativi su interrogativi. Com'era possibile che il fascismo riuscisse così facilmente a degradare la scuola, specie quella elementare, fino a quel livello? Com'era possibile che gli insegnanti in generale fossero non solo ligi al regime, ma il più spesso convinti, ed anche entusiasti, pavoneggiandosi in divisa nelle piccole parate di borgata o di rione cittadino? Come potevano non essere intimamente riluttanti a programmi scolastici che erano tutto un grossolano imbonimento? Come potevano prendere sul serio le indicazioni di metodo didattico, soprattutto nelle attività che oggi si dicono sussidiarie: le ore di ascolto della radio (certe trasmissioni), la visione di film di propaganda, l'apprendimento di inni fascisti? Il periodo di obbligatorietà delle elementari era stato portato da tre a cinque anni. Ma padri e madri, osservando quella parodia di scuola, non potavano far a meno di dire: che bel progresso, insegnavano più cose a noi in tre anni che a questi nostri figli in cinque. Ne concludevano che non era una cosa seria, ma non sapevano andare più in là. Nel borgo contadino o nel rione operaio la scuola era diventata un corpo estraneo, l'attività scolastica un fatto strano, così diverso dall'attività familiare, dal lavoro, dagli impegni, dalle preoccupazioni familiare e collettive……………………………………………………………………………………………..??????!!!!!!!!

In questa nostra società, quanta violenza mascherata di progresso. E' importante non liquidare con facile superiorità i dati di trasmissione detti “tradizione”, perché la frantumazione violenta di ciò che è stato filtrato attraverso generazioni e generazioni equivale al suo contrario, ad uno sfruttamento che inchioda le situazioni sociali a schemi fissi. Una classe dominante, per mantenere soggette le altre classi può giocare, su queste due tavole di valori, che sono poi solo apparentemente contrarie, in realtà unificate da uno stesso metodo, che è quello di rompere continuamente valori e doti d'intelligenza anziché dargli la possibilità di crescere,m perché la loro crescita vorrebbe dire una progressiva tensione comunitaria che darebbe spazio alla conoscenza umana e metterebbe in pericolo poteri, privilegi e profitto. Secondo questa logica le tensioni creative devono essere bruciate prima che si manifestino. Bisogna – prosegue questa logica – che resti sconosciuto un concetto fondamentale: la scuola come educazione alla libertà. Se il popolo si impossessa di questo concetto, se lo fa proprio e lo sviluppa, cade tutta l'impalcatura di un sistema oppressivo. L'istruzione scolastica non sarà più un sistema di “istruzioni”, cioè un sistema di apprendimento di determinare le cose, per inserire le persone in determinati ruoli. Imparare vorrà dire “riflettere su”. Il linguaggio, i modi di comunicazione popolana, senza più fraseologie artificiose o goffe, o espressioni derivanti da ciò che è stato istillato da una morale stravolta. Il fascismo le aveva assolutizzate, insieme a tante altre cose. E il fascismo non è purtroppo, una fase storica superata. Fino a quando non si abbatte questo distacco tra cultura e popolo, fino a quando tutto il popolo non diventa protagonista della sua vicenda in Italia restiamo in balia di un sostanzioso fascismo. Per le caratteristiche storiche, culturali e politiche del nostro paese il pericolo si chiama tuttora fascismo, inquinamento fascista nelle varie componenti sociali che formano la classe dominante; e non solo in questa, anche nelle classi popolari, nella misura in cui non posseggono i necessari strumenti di conoscenza e di giudizio, e quindi non hanno la possibilità di avviare una vera e globale partecipazione democratica. E premessa fondamentale per “partecipare” non possono essere che una scuola veramente nuova.

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