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Molfetta, “Pazzo Van Gogh”, in scena all'Odeon con Digressione Contemplattiva
08 giugno 2011

MOLFETTA - E’ andato in scena il secondo appuntamento della rassegna “Sulle ali della bellezza”, organizzato dall’etichetta discografica Digressione Contemplattiva, con lo spettacolo “Pazzo Van Gogh”.
Una serata in cui Salvatore Marci, attore-lettore, ha saputo dar voce alla pazzia di Van Gogh, leggendo il testo tratto dall’opera di Antonin Artaud, “Van Gogh, il suicidato della società”. Un filo conduttore, quello del rifiuto della società, che unisce le vite di Artaud e Van Gogh, che furono vittime della società in cui vivevano che gli affidò la patente di pazzi. Una lettura cadenzata, espressiva e sofferente, quella dell’attore Salvatore Marci, che viene accompagnato in scena nel suo viaggio nella pazzia dalle musiche di Francesco Defelice (vibrafono e marimba) e Angelo Manicone (sax tenore e flauto), accompagnati da Daniele Antezza (live electron ics) e da Michele Maggi al contrabbasso, Tonio D’Arminio alla batteria e Gianni Vanchieri alla chitarra. Un mix di suoni, alternati alla voce dell’attore, che esprimevano tutto il dissenso dell’autore verso quella società che aveva fatto scaturire la sua follia, una pazzia partorita dalla stessa società cattiva e oppressiva che lo aveva costretto alle catene e all’elettroshock.

Lo spettacolo, messo in scena nel cinema Odeon di Molfetta, ha ricalcato tutte le tappe della pazzia di Van Gogh, facendo un excursus della sua vita e delle sue opere, caratterizzate, come scriveva nel 1980, Albert Aurier, “dall'eccesso, l'eccesso della forza, l'eccesso della nervosità, la violenza dell'espressione nella sua categorica affermazione della caratteristica delle cose, nella sua sovente temeraria semplificazione delle forme, nella sua insolenza nel guardare il sole in faccia, nella foga del suo disegno e del suo colore, fino ai più piccoli particolari della sua tecnica, si rivela una personalità potente, audace, molto brutale ma a volte ingenuamente delicata. Questo, inoltre, si intuisce anche dalle esagerazioni quasi orgiastiche presenti in tutta la sua pittura: è un esaltato, nemico della sobrietà borghese e delle minuzie, una specie di gigante ebbro [...] un genio folle e terribile, spesso sublime, qualche volta grottesco, quasi sempre svelante qualcosa di patologico”.
Un’analisi che non rispecchia pienamente quello che Van Gogh voleva fare della sua arte, perché Van Gogh voleva, come lui stesso scrive in quegli anni, “fare dei ritratti che tra un secolo, alla gente di quel tempo, sembrassero delle apparizioni. Non cerco di raggiungere questo risultato attraverso la somiglianza fotografica – scriveva Van Gogh - ma attraverso un'espressione appassionata, impiegando come mezzo di espressione e di esaltazione del carattere la nostra conoscenza e il nostro gusto moderno del colore”.
Un genio, che negli anni in cui la società soffoca l’individuo che vuole emanciparsi, diventa pazzo, come pazzo fu Artaud.
 
© Riproduzione riservata
Autore: Giovanni Angione
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