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Molfetta non è una città per giovani
15 settembre 2017

Sembra una città di giovani, ma è una città di anziani, che aumentano sempre più, mentre i loro figli vanno via, sono lontani da casa, all’estero: Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti, Polonia. Per lavorare. Come i loro nonni. È una generazione di emigranti, non più con la valigia di cartone, ma con lo zaino firmato e il computer. Questa è Molfetta oggi, e lo sarà ancora di più nei prossimi anni. E non parliamo di impressioni, ma di situazioni reali. Quanti di noi hanno amici con i figli a Roma, Milano o all’estero? E poi lo confermano anche le statistiche nazionali: 79mila giovani lasciano l’Italia ogni anno, il 70% laureati E così Molfetta aggiunge al suo carnet un altro primato negativo. E poi ci sono quelli che illudono la gente con la prospettiva ossessiva della costruzione del nuovo porto commerciale, mentre in realtà pensano solo a realizzare un’opera pubblica che non riuscirà a dare occupazione e che, come tutte le grandi opere pubbliche, ha prodotto solo guai giudiziari. Questi politici sono quelli che non conoscono la città e non conoscono i suoi abitanti, i loro studi, le loro lauree e, magari, li vogliono far diventare tutti... scaricatori di porto. È una battuta, ma fotografa la situazione di ignoranza e insensibilità della nostra classe politica, che non si rende conto di come la città vada verso il deserto. E sono quegli stessi politici che la domenica vanno a messa, mentre sono contrari all’accoglienza dei migranti. I futuri ventenni non nascono più e quelli che lo sono se ne vanno. L’ospedale da tempo ha smesso di registrare nascite, perché non c’è più il reparto di ginecologia. Girando per la città si vedono sempre più anziani. Certo non siamo all’immagine di certi paesi deserti o popolati solo da vecchi della Basilicata, anche perché la città è grande, ma gli anziani soli o accompagnati sono la maggioranza. E la conferma ci viene dal risultato elettorale, dove la differenza l’hanno fatta gli over 50 che hanno votato il “ciambotto” camminando indietro come i gamberi. I pochi giovani che si vedono a Molfetta sono studenti, disoccupati, inoccupati o che non studiano o non cercano un lavoro. I cosiddetti Neet, termine inglese che vuol dire non impegnati. È uno dei pochi primati che l’Italia, Paese in decadenza, riesce a mantenere in Europa. Il rischio di impoverimento e di marginazione sociale, è alto. Quanti di questi giovani sono già sulla soglia della depressione che, in molti così, si trasforma in insoddisfazione perenne che li accompagnerà tutta la vita, anche quando troveranno un lavoro, anche ben remunerato, ma frutto di un compromesso, non di una scelta, ma solo di necessità. E in questo primato Italiano, svetta quello di Molfetta L’ultima conferma ci viene dall’Istat, in un’indagine pubblicata dall’Espresso, con una classifica dei primi 50 Comuni italiani in cui la popolazione giovanile fra i 18 e i 30 anni è diminuita dal 2008 ad oggi. Qui Molfetta ha un triste primato collocandosi al 18° posto nazionale con 1.450 giovani che sono emigrati con una perdita del 14,36% di questa fetta di popolazione (mentre gli imprenditori edili locali premono per costruire nuove case: per chi?). E la famiglia è diventata il nuovo ammortizzatore sociale, forse l’unico visto che lo Stato ha abdicato ad uno dei suoi principali compiti, se non il principale: quello di creare le condizioni per la crescita economica e quindi dell’occupazione. Un governo preoccupato solo di garantirsi la sopravvivenza, si è limitato ad assicurarsi il voto degli imprenditori con provvedimenti tampone, inutili o insufficienti come il jobs act e simili, che servono solo alle imprese a ridurre il costo del lavoro e, alla fine degli incentivi, a licenziare facilmente. E i ragazzi tornano nell’inferno del precariato. Mentre il governo pensa a garantire gli anziani a danno dei giovani. Una guerra fra generazioni, tra padri e figli, non era mai accaduto prima, ma che non viene vissuta come tale. I figli, infatti, restando in casa si sentono protetti, i genitori, costretti a proseguono nel lavoro per sostenerli, continuano ad averli vicini, rinviando l’amarezza del “nido vuoto” che li assale quando tornano ad essere soli e gli anni avanzano verso la vecchiaia. Ma è sbagliato. C’è il rischio di un grave problema sociale, quando questa generazione Y perduta per colpa dei governi, si ritroverà sola e senza risorse, quando i genitori non ci saranno più o non saranno più in grado di mantenerli, e loro vedranno avanzare gli anni verso una pensione che non ci sarà. E non parlate, per carità, di pensione integrativa: con quali soldi, con quelli dei sottosalari che non bastano per vivere oggi? Così, mentre da un lato si tende ad aumentare l’uscita dal lavoro, non essendoci risorse sufficienti per pagare le pensioni, dall’altro non si liberano posti per i giovani, che cominceranno a trovare occupazione sulla soglia dei 40 anni e oltre, con la prospettiva di dover andare in pensione ultraottantenni con un assegno da fame. Insomma per loro la prospettiva è solo di impoverimento e marginalizzazione sociale. E non per essere pessimisti, ma semplicemente realisti. Basti considerare che la popolazione inattiva aumenta, mentre la fascia produttiva si riduce. E tutti pensano al presente e non al futuro. Un Paese che vuole crescere, deve dare più spazio ai suoi giovani, spendendo di più nella formazione, sulle politiche attive del lavoro, sulla ricerca. E deve cambiare il metodo di reclutamento oggi affidato al nepotismo senza meritocrazia e alle conoscenze personali e soprattutto politiche. Così i giovani passano le loro giornate a inviare curriculum che finiranno regolarmente nel cestino, perché in Italia il sistema di reclutamento è ti tipo “mafioso” voluto dai politici per gestire i loro bacini elettorali e raccogliere voti. Del resto non è un mistero che almeno l’80% della gente che inizia a fare politica attiva, lo fa solo per sistemare sé e i propri familiari. Una volta ottenuto il risultato, si lascia, tranne coloro che vivono di politica, trasformata in un mestiere ben retribuito, soprattutto grazie a generosi vitalizi. Ecco perché anche chi è stato espulso dalla politica, poi tende a ritornare, come avviene a Molfetta. Mentre i giovani che entrano in politica, lo fanno solo per sistemarsi. Tra 40 anni, è stato calcolato che l’Italia avrà una regione in più grande quanto la Toscana, formata solo da over 65, anche a causa del declino delle nascite, dovuto anch’esso alla difficoltà di sistemazione dei giovani che non riescono a formare una famiglia autonoma, o lo fanno troppo tardi, perché il lavoro arriva tardi e non c’è tempo per dedicarsi ai figli. Quella dei millennials, nati tra gli anni ’80 e ’90, viene definita la “generazione cavia”, sottoposta a subire riforme su riforma: basti per tutte quella della scuola. Così sono sottoposti al bombardamento per vedere se sopravvivono. L’unico scudo è quello dei genitori. I giovani che oggi hanno fra i 30 e i 35 anni, sono entrati nel mondo dell’università o del lavoro, proprio nel momento in cui una nuova riforma lo stava modificando profondamente. E sempre a loro danno, come la riforma del 3+2 dell’università, un fallimento totale. E ha prodotto, per dirla in linguaggio anglosassone il brain drain (fuga di cervelli), dopo che lo Stato ha speso 170 milioni l’anno per formarli accanto al brain waste (spreco di cervelli). L’immigrazione, perciò, malgrado quello che dicono i razzisti, sarà, anzi lo è già una necessità. Ma anche qui non investiamo in politiche di integrazione, offrendo lavori poco qualificati anche agli immigrati più prepararti che si spostano verso altri Paesi. Ci teniamo la peggiore immigrazione e non investiamo in talenti extracomunitari. Un dato significativo è quello che mentre le imprese di immigrati in Italia sono cresciute del 20%, quelle italiane sono calate del 2,9%. Come mai i giovani non si ribellano, come è avvenuto con i loro coetanei del ‘68, che poi sono i loro genitori? Perché sono stati travolti e confusi dai cambiamenti e dalle trasformazioni che hanno dovuto subire, prima ancora di comprenderne gli effetti, per cui, vista l’impossibilità di ottenere qualcosa da uno Stato sempre più in crisi e indebitato, vista l’impossibilità di provocare dei cambiamenti, si sono rivolti alla famiglia come unico rifugio sicuro. E impediscono ai vecchi di invecchiare e di fare i nonni sia perché devono continuare a lavorare per sostenerli, sia perché i giovani non mettono al mondo figli, non avendo un progetto di vita sicuro. I migliori, le eccellenze, sono fuggiti all’estero impoverendo ancora di più il territorio, soprattutto al Sud. Ma le eccellenze non sono la maggioranza. Cosa devono fare quei giovani che stanno nella media e che sono la maggioranza. Ognuno ha fatto per sé e i più furbi, i più facoltosi e anche i più fortunati sono andati avanti. Senza fare massa, come nel ‘68, il cambiamento non è possibile e questo sta bene ai politici che insistono ossessivamente in progetti inutili, come il porto di Molfetta, creando l’illusione dei posti di lavoro conseguenti alle grandi opere, ma che, in mancanza di uno studio delle prospettive di sviluppo e di impiego di manodopera, sono destinate a produrre nuove cattedrali nel deserto. E nuove illusioni e disillusioni. A somma zero. Ecco perché si tende a ridurre il potere dell’informazione e della cultura, per poter manovrare le masse a proprio piacimento. Le masse di illusi destinati a restare povere e ai margini: i giovani di oggi, i disoccupati di domani e i pensionati poveri di dopodomani. Molfetta non è una città per giovani e una città che non dà spazio al suo futuro, è una città finita.

Autore: Felice de Sanctis
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