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Molfetta, incontro sul piano dell'agro visto dal mondo agricolo
29 giugno 2011

MOLFETTA - Venerdì 1° luglio alle ore 19.30 nella sala stampa (sala Zagami) di palazzo Giovene, piazza Municipio in Molfetta si terrà un incontro sulle prospettive dell'Agricoltura: Attività e Cultura. Il piano dell'Agro vista con gli occhi del mondo agricolo.

Interventi.
Ignazio Cirillo, Agronomo. Civiltà contadina per la salvaguardia della biodiversità rurale. Prospettive, Commercializzazione e Legislazione.
Saverio Patimo Responsabile COPAGRI e Consigliere comunale Molfetta. Situazione di crisi in agricoltura. Iniziative e Proposte.
Vito  Laterza v.Presidente COPAGRI Puglia. Le novità del settore. I PAC
Gregorio Minervini, Ingegnere, Imprenditore Agricolo. Tutela  e Modernità dell' Agro di Molfetta.  Le indicazioni nel piano dell'Agro.
Coordina l'incontro Tommaso Minervini (foto).
Presenzieranno gli Agricoltori, i Consiglieri Comunali, il coordinatore Camera Lavoro Filannino.
 

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L'attività umana accelera molto i ritmi di erosione naturali. Coltiviamo ripidi pendii senza adeguati terrazzamenti, pratichiamo un'irrigazione poco razionale, usiamo eccessivamente i pascoli. Poi sfruttiamo troppo il suolo, finchè la sua solida struttura cede. Quel che è peggio, eliminiamo la protezione degli alberi. Il suolo portato via dall'acqua o dal vento finisce nell'oceano (e in piccola parte nei laghi). Ed è come se precipitasse in un grande “pozzo”, per non tornare mai più. Il fenomeno è assai grave per la nostra civiltà. Perché si formi uno strato superiore di 2,5 cm possono occorrere dai 100 ai 2.500 anni, secondo il tipo di suolo. Purtroppo invertire il processo è facile: si possono distruggere 2,5 cm di suolo nell'arco di soli 10 anni. In molte delle zone più aride del mondo, i deserti stanno avanzando a un ritmo allarmante. Nelle poche aree dove ciò è naturale, definiamo il processo di “desertizzazione”. Ma dove è provocato dall'intervento umano, lo definiamo “desertificazione”, una parola molto brutta per un fenomeno molto brutto. In realtà, non è proprio giusto dire che il deserto sta “avanzando” o che ci sta “invadendo”. E' più esatto dire che una striscia di deserto in più viene “attaccato” al deserto originario. Anche terre più lontane dal confine dei veri deserti subiscono un degrado, fino a diventare quasi completamente aride. I deserti raramente si espandono a causa del clima, salvo che in periodi di tempo assai lunghi. Nel complesso, un terzo della terraferma del pianeta è semiarido o arido. Queste terre desolate ospitano circa 700 milioni di persone, di cui almeno una su dieci vive in un'area che viene sempre più impoverita dalla progressiva scomparsa della vegetazione, dall'erosione del suolo, e dalla formazione di dune. Ogni anno circa 12 milioni di ettari si deteriorano al punto da essere inutilizzabili per l'agricoltura. Il 40 per cento di queste terre sono campi coltivati, che perdono lo strato fertile e le loro riserve nutritive. Il resto sono pascoli talmente sfruttati, che in essi si verifica un'erosione, e la vegetazione cambia, passando dall'erba nutritiva a erbacce che perfino le capre disdegnerebbero. Se queste terre continuassero a essere coltivate, potrebbero rendere almeno 20 miliardi di dollari all'anno. Mentre il peso della desertificazione è altissimo, la spesa per ridare vitalità alle terre degradate e per arrestare l'avanzata del deserto non supererebbe i 2,5 miliardi di dollari all'anno. Tuttavia i fondi messi a disposizione finora non arrivano a un quarto di tale cifra. Allora perché i paesi non stanziano le somme necessarie, visto che un'operazione del genere sarebbe economicamente giusta? Uno dei motivi per cui non lo fanno è che le persone colpite dal fenomeno non hanno il minimo peso sociale. Sono di nessun conto in due sensi: in quanto vivono in terre improduttive, non hanno alcuna influenza nell'ambito della struttura economica e sociale. I governi decidono di spendere anche molti soldi nelle zone aride soli quando nascono problemi di tipo diverse. Spendono più di quanto servirebbe per ridare vitalità alle terre degradate, in armamenti, per difendere le rotte delle petroliere e i grandi pozzi di petrolio, quando i contadini poverissimi, si sfidano tra di loro per conquistare nuovi spazi vitali, e scoppiano guerre di frontiere. (GAIA BOOK, 1980)
Di tutta la terraferma libera dai ghiacci, solo un miliardo e mezzo di ettari (circa l' 11%) sono disponibili per la coltivazione. Si pensa tuttavia che, con un intervento umano adeguato, e investendo molti soldi, si potrebbero coltivare a cereali un altro miliardo e 700 milioni di ettari. In ultima, o meglio in prima analisi, tutti noi siamo piante. Senza il manto verde che ricopre il nostro pianeta, e che è costituito da più di 300 mila specie vegetali, la vita animale come la conosciamo (Homo sapiens compreso) non si sarebbe mai sviluppata. Fu grazie al diffondersi della vegetazione che, milioni di anni fa, l'ossigeno (all'inizio presente solo in tracce nell'atmosfera) passò alla proporzione di un quinto, favorendo l'esplosione della vita animale. Alcuni biologi ritengono che l'estinguersi di una specie vegetale possa condurre all'estinzione di varie specie animali, forse addirittura una trentina, perché le conseguenze si ripercuotono sulla catena alimentare. Le piante trasformano la luce del sole in una riserva di energia chimica da cui dipende tutta la vita animale, sia per il cibo, sia, nel caso degli esseri umani, per il combustibile. L'enorme varietà di piante consente alle forme di vita animale di adattarsi a tutti gli ambienti immaginabili: al deserto, alla tundra, ai tropici, che hanno la più ricca speciazione. Dipendiamo continuamente da questa ricchezza verde, che ha indirettamente effetti benefici sul suolo e sul clima, e che rifornisce direttamente la nostra tavola, le nostre fabbriche e i nostri ospedali. Quanta vegetazione c'è sul pianeta? E dove cresce più rigogliosa? Una volta che avremo risposto a tali domande, sapremo a quali zone guardare per aumentare la nostra produzione di cereali o di fibre. “Fitomassa” è il termine scientifico che si usa per misurare una determinata quantità di materia vegetale secca (le piante non secche pesano tre o quattro volte di più), ed è espressa in tonnellate per ettaro. Confrontare le quantità di fitomassa nelle varie zone del mondo è solo uno dei metodi che abbiamo per valutare il “potenziale verde” di diversi ecosistemi e diverse regioni. Grazie all'agricoltura intensiva, le nostre terre coltivate producono circa 15 miliardi di tonnellate di fitomassa all'anno (l'11 per cento del totale mondiale.) Un buon raccolto di granoturco negli Stati Uniti può generare 15-20 tonnellate di materia vegetale per ettaro all'anno, e un buon raccolto di patate quasi 30. Le colture artificiali rappresentano solo lo 0,35% della fitomassa esistenti, ancor meno nei deserti......
In agricoltura occorre una nuova rivoluzione, sia scientifica che politica. Per fortuna il germe di quella scientifica c'è già. Politicamente, invece, la volontà e i mezzi per metterla in atto esistono solo a metà. Finora il metodo seguito è stato “piegare” l'ambiente perché si adattasse alle nostre coltivazioni. Adesso, grazie agli interventi di ingegneria genetica sui vegetali, potremo invece “piegare” le piante, manipolare le colture in modo che prosperino in armonia con l'ambiente, anziché nonostante esso. Già ora invece di riempire il terreno di fertilizzanti, acqua, diserbanti e antiparassitari, possiamo coltivare piante capaci di provvedere a se stesse: abitanti del deserto come la jojoba, nuove fibre adatte alle terre aride come il fagiolo “morama” o il “buffalo gourd (specie che sopportano temperature molto alte), e anche determinate varietà di grano, orzo o pomodori che tollerano l'irrigazione con acqua di mare. Se la nuova agricoltura vorrà sollevare il Sud dalla sua condizione di svantaggio, dovrà essere rivoluzionaria. Occorre privilegiare l'agricoltura anziché l'industria, soddisfare le esigenze alimentari locali invece di coltivare prodotti da esportare, e favorire più i piccoli proprietari che i grandi. I piccoli agricoltori dovranno essere aiutati dagli enti regionali per poter disporre di strumenti essenziali come credito, possibilità di prezzi e smercio migliore, servizi di trasporto, di consulenza e di ricerca, e accesso a terre fertili. Coltivare lavorando al minimo la terra è conveniente e protegge il suolo. I residui e la stoppia lasciati a terra trattengono le sostanze nutritive e provengono l' erosione. Si semina in solchi stretti e poco profondi o a righe senza rivoltare il suolo. Per ottenere i risultati sperati, occorrerà potenziare la ricerca più di quanto si sia mai fatto, e adottare una serie di nuove strategie economiche atte a sollevare l'agricoltura dalla sua condizione di Cenerentola. Ma occorrerà soprattutto una nuova strategia politica, un mutamento così radicale da avere influenza su tutti gli individui: perché finchè i cittadini dei paesi industrializzati, con le loro diete ad alto contenuto di carne, incoraggeranno l'assurda coltivazione di cereali foraggeri, la terra verrà troppo lavorata, e la gente continuerà ad avere fame. E finchè certi paesi in via di sviluppo privilegeranno l'industria, l'urbanizzazione e i raccolti da esportare, senza curarsi delle esigenze della popolazione locale e delle condizioni dei piccoli agricoltori, si avranno le stesse conseguenze.- Era il secolo appena trascorso: cos'è cambiato?
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