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Molfetta, il Centro anziani organizza "Come eravamo... il matrimonio di altri tempi"
26 novembre 2011

MOLFETTA - Il Comune di Molfetta e l’Assessorato alla Socialità, da sempre sensibili e vicini alle tematiche legate al mondo dell’anziano, ancora una volta attraverso il Centro Anziani di Molfetta, valorizzano l’anziano, con l’attività ”Come eravamo…il matrimonio di altri tempi”.
Tale attività avrà luogo lunedì 28 novembre, dalle ore 16,30, presso la “Sala Onda” del Centro Commerciale Mongolfiera di Molfetta. Tramandare i propri ricordi ed ascoltare quelli degli altri è un rituale da sempre presente in tutte le civiltà e rende possibile lo scambio comunicativo, fondamentale per l’instaurarsi delle relazioni umane e della socialità. Ma la trasmissione della memoria di generazione in generazione è un’attività che nella società odierna si sta perdendo; spesso, infatti, non si ha più il tempo di ascoltare o non ci sono più le occasioni che consentono ad anziani e giovani di ritrovarsi.
L’attività ”Come eravamo…il matrimonio di altri tempi” ha pertanto l’obiettivo di restituire all’anziano e alla sua esperienza il valore che nei secoli passati gli si è sempre riconosciuto. L’anziano, raccontandosi, recupera il ruolo che solo in questo ultimo secolo ha perso, quello di essere fonte e veicolo di esperienza, conoscenza, saggezza. Si vuole restituire all’anziano una dimensione attiva. Il permettere di raccontare la propria esperienza, di testimoniare il fatto di esserci stato, oltre a donare all’anziano stesso il piacere del racconto, permette a noi di comprenderne l’importanza, restituendogli il ruolo di portatore di esperienze.
Gli anziani hanno accolto l’idea progettuale del Comune che grazie alla Cooperativa GEA ha trovato realizzazione ed è per questo che hanno deciso di collaborare; lo hanno fatto perché condividono gli scopi del progetto e credono sia fondamentale che certi eventi del passato, certi valori e un certo modo di vivere, oggi scomparso, non vadano dimenticati.
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Nel disperato tentativo di opporsi all'intelligenza della natura, che, per la sopravvivenza della specie, vuole l'inesorabile declino degli individui, chi non accetta la vecchiaia è costretto a stare continuamente all'erta per cogliere di giorno in giorno il minimo segno di declino. Ansia, ipocondria e depressione diventano le malefiche compagne di viaggio dei suoi giorni, mentre le sue ossessioni sono lo specchio, la bilancia, la dieta, la palestra, la profumeria, e quanto può dare l'illusione di ridurre la distanza della giovinezza. A queste si aggiunge la potenza invasiva della pubblicità, che ci ha insegnato a visualizzare il nostro corpo come semplice interprete del desiderio dell'altro, allucinandolo con quei bisogni da soddisfare quali la bellezza, la giovinezza, la salute, la sessualità che sono poi i nuovi valori da vendere. Basta guardare la televisione per accorgerci che tutta la religione della spontaneità, della libertà, della creatività, della giovinezza, della bellezza, della sessualità gronda del peso produttivismo, anche le funzioni vitali si presentano immediatamente come funzioni del sistema. Per questo la vecchiaia è dura da vivere, non solo per il decadimento biologico, ma per una serie di destrutturazioni che in età giovanile sarebbero devastanti e al limite della psicosi, mentre nell'età senile non assumono necessariamente questo aspetto perché arginate dall'irrigidimento delle abitudini. Le tue abitudini ti rassicurano e insieme ti incatenano. I tuoi gesti creativi ti appaiono per quel che sono: riprese di antiche e trascorse suggestioni. Solo l'amore ti rianima, non perché scopri una “giovinezza interiore”, che esiste solo nei complimenti di chi ti vuole comunicare che ormai sei vecchio, ma perché lo vedi scaturire proprio dalla tua età che, come ci ricorda Manlio Sgalambro, “non avendo più scopi, può capire finalmente cos'è l'amore fine a se stesso”. Ma come deve essere un vecchio? Naturalmente mite, dolce, sensibile, perché se si commuove troppo “ha l'arteriosclerosi”, se è gioviale “non accetta la vecchiaia”. Deve prendere parte alla conversazione, ma guai se ripete un aneddoto. Deve avere interessi, ma guai se progetta qualcosa come fosse un ventenne. La vecchiaia quindi, prima che un decadimento, è uno stile di vita imposto dagli altri, che ai vecchi concedono uno spazio espressivo molto ridotto, oltrepassato il quale il vecchio o è giudicato trascurato, disordinato, sciatto, o ambizioso, vanitoso, ridicolo. E tra l'essere considerato scialacquatore o avaro, impotente o maniaco sessuale, senza personalità o testardo, imprudente o vigliacco, non si dà via di mezzo. Le culture primitive compensavano gli inconvenienti biologici della vecchiaia con quei vantaggi culturali concessi dalla selezione della razza umana che, nel corso della sua evoluzione, ha privilegiato i fenomeni di encefalizzazione. In linea con questo processo della specie, il vecchio era il depositario del sapere e dell'esperienza e, quando moriva, come dice Max Weber, moriva SAZIO e non STANCO della vita. Ma se per il vecchio il passato è una tortura, il presente non è la saggezza, come si è soliti dire quando si è in cerca di vane consolazioni. La saggezza, infatti, non dipende dagli anni, né dalla nostra fedeltà ai principi guida della nostra vita, ma da quella visione del mondo che nasce dalla consapevolezza che noi siamo irrimediabilmente mortali, per cui cinicamente potremmo dire che è opportuno, se si è giovani, dimenticare di esserlo (cosa che di solito riesce naturale), se si è vecchi dimenticare tutto, anche il fatto di essere stati giovani (cosa più difficile, ma anche di grande sollievo). “ONORA LA FACCIA DEL VECCHIO”, è scritto nel Levitico (19, 32), perché la faccia è il primo segnale da cui prende le mosse l'etica di una società. (Tratto e condensato da: I miti del nostro tempo – Umberto Galimberti)
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