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Molfetta fra conflitti e visioni privatistiche della vita comune. Riflessioni sulla musica in piazza e la richiesta del silenzio
02 ottobre 2014

MOLFETTA - Negli ultimi tempi una miriade di conflitti di varia entità attraversa la città di Molfetta, sintomo evidentemente della sua innegabile vivacità ed esuberanza. Da gruppi che nascono per rivendicare il silenzio, facendo spesso ancor più rumore di quelli che contestano, a beghe consiliari che scatenano bizzarri siparietti, traducendosi in un fatto quasi esclusivamente “estetico”, visto che la posta in gioco a livello politico resta quasi sempre oscura, la città è in continuo fermento. Da alcuni mesi a Molfetta stanno nascendo pub e locali attivi nella produzione artistica e musicale, e alcune piazze e strade vengono sempre più riempite di musica ed eventi. Molti di questi spazi fino a poco tempo fa erano privi di qualsiasi forma di socialità e svuotati di momenti di vita in comune. Certamente la gestione dello spazio comune, delle piazze, delle strade, dei quartieri della città, richiedono un confronto e una mediazione con le esigenze di chi abita quei luoghi. Riempire gli spazi comuni di attività senza alcuna mediazione con gli abitanti dei quartieri implica una concezione privatistica delle piazze e dei beni comuni, che richiedono una progettazione condivisa in quanto sono il luogo per eccellenza della cooperazione. Non appartenendo a nessuno in particolare, ma essendo il luogo del radicamento di una comunità, richiedono confronto, gestione condivisa dei tempi, progettazione e mediazione. Il fatto che un privato, in maniera unilaterale, imponga un certo modo di fare musica e cultura, invadendo anche lo spazio sonoro senza alcun confronto con gli abitanti del quartiere, significa distruggere in partenza un percorso che può portare davvero ad una gestione comunitaria della città, a partire dalle esigenze ma anche dai desideri di chi vi abita, con la creazione di momenti di vita, di socializzazione e di riappropriazione del futuro. D’altro canto, l’opposizione netta ad ogni iniziativa, con un richiamo irrimediabile al silenzio, rischia di riportare la partita al di qua della posta in gioco. Ci sono piazze, strade ed interi quartieri che per anni sono rimasti preda del degrado proprio perché svuotati completamente di vita, di momenti di incontro e di fruizione culturale. E’ nella cultura che matura lo spirito di una comunità, che si confronta e sviluppa un orizzonte condiviso di valori e significati a partire dai quali contribuire alla crescita della città come bene comune, appartenente a tutti i cittadini. Opporsi senza alcuna possibilità di mediazione se non quella legale (o della minaccia) alla musica e alla vita serale significa ancora assolutizzare la dimensione privata dell’esistenza, quella condotta nel chiuso delle proprie case, sorda rispetto a tutto ciò che sta attorno. E’ fondamentale, in questo contesto, un richiamo alla mediazione, al confronto, alla condivisione pubblica, che rifiuta le assolutizzazioni dei punti di vista e fa maturare una progettualità comune di vita e di sviluppo. Necessaria, insomma, è la pubblicità della discussione e delle scelte, secondo il motto kantiano secondo cui la giustizia riferita ai diritti di altri uomini o alla politica implica necessariamente la trasparenza e la circolazione orizzontale, senza disparità, delle idee. E’ necessario uscire dalla una visione monadica e privatistica della gestione della città e rimettere alla discussione pubblica le proprie idee sugli spazi comuni. Forse, spostando il discorso su un altro piano, questa idea di pubblicità, intesa come trasparenza e condivisione, tornerebbe a dare fiducia anche ad una politica amministrativa che, nei propositi di partenza, era alimentata da idee di condivisione e partecipazione, e sempre più è preda di beghe interne oscure alla maggior parte dei cittadini, e che riducono la progettazione del futuro ad affari di segreteria. Questa sembrerebbe un’altra questione, eppure in gioco è sempre l’alternativa fra visione pubblica e privata della città tutta intera.

Autore: Giacomo Pisani
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“Negli ultimi tempi una miriade di conflitti di varia entità attraversa la città di Molfetta, sintomo evidentemente della sua innegabile vivacità ed esuberanza”. Dottor Pisani, sicuro trattasi di “sintomo della sua innegabile vivacità ed esuberanza”? Se invece fosse tutto il contrario? Se fosse “sintomo di esuberante confusione e incapacità di riflessioni”? Le racconto. Molti, molti anni fa, feci scalo in Brasile su di un cargo liberiano. Santos, Porto Allegre, Rio, Recife etc., etc., tutto mi pareva “innegabile vivacità ed esuberanza”, poi, scoprii l'infelicità di un popolo e le recenti vicissitudini a volte nascoste degli ultimi mondiali di calcio, confermano quanto da me sempre asserito. La notte e il giorno sempre pieni di vita, allegria, balli e grida di gioia, musica a volte assordante e senza limiti di orari, bellezze femminili dappertutto, sempre disponibili a donare e donarsi così, solo per il piacere di dare, comunicare la propria gioia: un'isola felice dalla straordinaria capacità di trascinare anche il più misantropo degli uomini. Il dolore e l'infelicità si manifesta anche in questi esuberanti modi, egregio dottor Pisani. Un modo come un altro per “distrarre” le masse popolari. Quando raccontavo agli amici il mio pensiero, cioè il Brasile come una nazione di infelici e sottomessi, quella loro filosofia di vita non era altro che l'addormentamento delle coscienze, la melassa informativa e pubblicitaria che invita a chiudersi in se stessi, esauriti in balli, canti e carnevalate senza sosta, vivere il momento senza pensare agli altri né al domani, mi tacciavano di essere un “comunista visionario”. Non ero un comunista, solo prestavo attenzione a quello che c'era dietro l'angolo delle apparenze. Quando un popolo canta e balla, sbraita e rumoreggia senza rispetto, nella maggior parte dei casi è un popolo infelice. E' mia impressione ci siamo arrivati anche noi, non so quanto involontariamente. Un grande in bocca al lupo.



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